I test INVALSI per una scuola più giusta

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di Chiara Saraceno, la Repubblica, 3.12.2018

– I test Invalsi non hanno mai goduto di molta popolarità tra gli insegnanti
e anche tra molti pedagogisti, per motivi diversi.

I test Invalsi non hanno mai goduto di molta popolarità tra gli insegnanti e anche tra molti pedagogisti, per motivi diversi. Si va, infatti, dall’ostilità di principio a ogni tipo di valutazione (di fatto degli insegnanti, visto che questi valutano, eccome, gli allievi) all’ostilità verso tutti i test standardizzati, inclusi quelli Ocse-Pisa, al test come strumento di valutazione di effettive capacità e apprendimento di uno studente e dei suoi progressi nel tempo. È stato anche denunciato il progressivo adattamento della didattica alla preparazione per i test, scambiando il mezzo per il fine. Ci sono interi scaffali di libreria dedicati a come superare i test Invalsi, a imitazione di quanto è già successo per i test di ammissione all’università. Ovvero, invece di agire sui meccanismi che favoriscono (oppure ostacolano) l’apprendimento, la capacità di comprensione e il ragionamento logico, si addestra a utilizzare lo strumento test, come se si trattasse di un concorso a quiz.

Lasciando da parte l’ostilità a ogni tipo di valutazione dell’efficacia del proprio operato rispetto al contesto specifico — una cattiva traduzione della libertà di insegnamento come insindacabilità e inverificabilità — le preoccupazioni per i rischi di trasformazione della scuola in un “testificio” non vanno sottovalutate. Così come non va sottovalutata la sfiducia circa l’uso cui questi test sono destinati: valutazione degli studenti rilevante a fini curriculari anche sul mercato del lavoro?

Valutazione degli insegnanti più o meno contestualizzata? Valutazione dei problemi specifici sperimentati nell’apprendimento e nella maturazione delle capacità cognitive da bambini e ragazzi in contesti difficili? Queste domande non hanno trovato risposte chiare e univoche sia dai responsabili Invalsi che si sono via via avvicendati sia dal ministero. A livello pubblico, comunicativo, rimangono le impietose fotografie tra le scuole e le regioni che danno risultati migliori e peggiori, senza che questo produca una riflessione, appunto, sui meccanismi all’origine delle differenze e tantomeno solleciti interventi mirati, ampliamento delle risorse, là dove c’è più bisogno.

Molti dunque, anche se per ragioni diverse, festeggeranno l’avvio dello smantellamento dell’Invalsi. Lo prospetta il disegno di legge sulla semplificazione.

A chi si rallegra, pur comprendendone le buone ragioni, chiedo tuttavia se sia un bene che il sistema scolastico italiano, gli insegnanti, i politici, si privino di uno strumento che, certamente perfettibile, consente di monitorare le disuguaglianze nell’offerta educativa in Italia, le necessità diversificate che presentano i vari contesti e che non possono essere lasciate da affrontare, con scarsi mezzi e scarsi riconoscimenti, ai singoli insegnanti. Non sarebbe meglio circoscriverne e chiarirne gli obiettivi, specificandone il carattere di monitoraggio del sistema su alcune dimensioni selezionate? Temo che con la cancellazione dell’Invalsi o la sua trasformazione, da organismo indipendente in ufficio del Miur, non prevarrà chi si batte per una scuola più giusta e più attenta allo sviluppo di ciascun bambino e ragazzo, quindi anche più attenta a compensare le disuguaglianze di contesto e famigliari.

Al contrario, il Miur non si troverà più nell’imbarazzante situazione di sapere che l’uguaglianza rispetto all’istruzione è lungi dall’essere attuata, ma di non fare nulla. Potrà continuare a non fare nulla sotto il “velo dell’ignoranza”, evitando di essere valutato esso stesso.

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I test INVALSI per una scuola più giusta ultima modifica: 2018-12-15T21:22:23+01:00 da
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