Il registro di classe, e i reati di falso materiale ed ideologico

di Giovanni Paciariello, DirittoScolastico.it,  26.7.2022.

Consigli per una loro corretta gestione.

Gilda Venezia

L’obbligo di compilazione del registro di classe trova un suo primo fondamento normativo nell’art. 41 del RD n. 965/1924 che recita:

Ogni professore deve tenere diligentemente il giornale di classe, sul quale egli registra progressivamente, senza segni crittografici, i voti di profitto, la materia spiegata, gli esercizi assegnati e corretti, le assenze e le mancanze degli alunni…”

Tale obbligo è stato rinnovato con il DM 5 maggio 1993, che in riferimento al registro di classe recita:

È questo lo strumento usato da tutti i docenti di classe per la registrazione quotidiana delle lezioni svolte, delle assenze, (con loro motivazioni se ricorrenti e loro giustificazioni), dei compiti assegnati e di tutte le annotazioni di rilievo riguardanti l’attività della scolaresca, il comportamento degli alunni e gli eventuali provvedimenti disciplinari.
In quanto raccolta dei dati essenziali relativi alla vita della classe nelle sue tappe di percorso giornaliero esso costituisce per gli insegnanti mezzo quotidiano, immediato, di comunicazione reciproca e nello stesso tempo testimonianza dell’azione complessiva svolta nell’arco dell’anno scolastico.
Le informazioni in esso contenute permettono quindi di ricontrollare ritmi, temi e condizioni di lavoro ed anche di regolare la propria attività alla luce delle attività dei colleghi, sia in vista di un eventuale concorso rispetto a specifici contenuti ed obiettivi, in ottica pluridisciplinare, sia in ragione del quadro complessivo di compiti in cui i ragazzi vengono giorno per giorno impegnati (prove di verifica, lavori di gruppo – per classe o classi aperte – esercitazioni, lezioni tradizionali, operatività nei laboratori, gare d’istituto, visite guidate, ecc.). E questo al fine di rendere varia la giornata scolastica anche in riguardo alle metodologie di approccio formativo e di non sovraffaticare gli allievi per esempio con verifiche o eccessivi oneri concomitanti.

La normativa in oggetto spiega molto bene l’esigenza funzionale e didattica della compilazione quotidiana del registro di classe.

E’ anche ben delineata la differenza tra registro di classe e registro dei professori; in riferimento a quest’ultimo registro si può leggere:

Questo registro documenta innanzi tutto la programmazione del singolo docente, nella quale è opportuno siano esplicitati gli obiettivi operativi, individuati con riferimento ai criteri portanti dei Programmi c presenti nella scheda.
Esso si configura inoltre come lo spazio organizzato per registrare l’attività didattica svolta, le osservazioni sistematiche sul processo di apprendimento e sul livello di maturazione raggiunto dai singoli alunni, le assenze. Questa documentazione servirà anche per verificare l’efficacia dell’azione didattica svolta e degli interventi tesi al rinforzo, alla compensazione e al potenziamento delle abilità e delle competenze di ciascun alunno, nell’ambito della individualizzazione delle metodologie di approccio formativo.
In proposito la già citata C.M. 252/78, al punto 5, recita esplicitamente: “Si richiama, peraltro, l’attenzione sulla necessità che tale registro preveda l’annotazione delle osservazioni sistematiche sul processo di apprendimento dell’alunno e sul livello di maturazione raggiunto nelle singole discipline, in modo da consentire al docente di riferire in modo significativo e puntuale al Consiglio di classe in sede di espressione dei giudizi trimestrali.
Dette osservazioni, infatti, anche se non sono più da riportare sulla scheda,
costituiscono, con questi ultimi, un “sistema” di annotazioni unitario anche se distinto e diversamente formalizzato nelle sue parti.”

In altri termini il registro del professore è “un diario di bordo” dell’attività didattica svolta, mentre il registro di classe ne attesta formalmente e pubblicamente il suo manifestarsi e sviluppo; ma entrambi i registri risultano essere atti pubblici.

Attualmente il registro elettronico (legge n. 135/2012) racchiude in sezioni separate il registro di classe, e il registro del professore.

La puntuale, celere, e corretta compilazione dei due registri costituisce un ambito di applicazione di quanto previsto dall’art. 1 della legge n. 241/1990, e dall’art. 3 del DPR n. 62/2013.

Ma la questione oggetto dell’articolo ha anche rilevanza a livello penale, e non solo amministrativo e civile, come risulta dalle seguenti sentenze della Corte di Cassazione, riportate a livello esemplificativo.

In merito si cita la sentenza della Corte di Cassazione penale n. 708/1984

“Costituisce falso in atto pubblico la alterazione del registro o diario di classe, il quale, pur non identificandosi con il registro del professore, è un documento formato da un pubblico ufficiale ed è destinato a provare fatti giuridicamente rilevanti.”

Sempre in merito si cita la sentenza della Corte di Cassazione penale n. 790/1996:

“Ha natura di atto pubblico il registro di classe, che, pur non identificandosi con il registro del professore, costituisce dotazione obbligatoria in ciascuna classe ed è destinato a fornire la prova di fatti giuridicamente rilevanti e a documentare avvenimenti relativi all’amministrazione scolastica e in particolare a far fede erga omnes, quale attestazione di verità, dell’attività svolta in classe dall’insegnante. (Nella specie la S.C. ha ritenuto corretta la configurabilità del delitto di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, ex art. 479 c.p., in un caso in cui il registro di classe attestava che l’insegnamento di diritto e scienza delle finanze era stato tenuto da un insegnante diverso da quello che lo aveva effettivamente tenuto).”

Infine si riporta la esaustiva sentenza della Corte di Cassazione penale n. 34479/2021

“5. Preliminarmente va premesso come risulti incontestato che l’alterazione addebitata alla M. sia stata effettuata sul registro elettronico di classe, in cui, grazie ai dati contenuti nella copia di salvataggio dell’archivio dell’istituto scolastico di cui in premessa, con riferimento alla materia d’insegnamento dell’imputata e all’alunna T., risultavano essere stati inseriti, per la prova scritta, due voti, un “sette”, inserito il 23 maggio alle ore 9,59, e un “sei”, inserito l’8 giugno alle ore 18.42; per la prova orale, un “4,5”, inserito il 6 maggio alle ore 00.33 e un “4”, inserito in data 6 giugno, alle ore 00.26 (cfr. p. 5 della sentenza di secondo grado).

6. Ciò posto manifestamente infondato appare il primo motivo di ricorso, incentrato sulla dedotta diversità tra il registro di classe e quello del professore, sostenendo il ricorrente la tesi che solo il primo, disciplinato dal R.D. n. 965 del 1925, art. 41, ha rilevanza giuridica indiscussa quale atto pubblico, mentre il registro del professore, non oggetto di specifica disciplina normativa, non avendo alcuna rilevanza giuridica non può essere considerato un atto pubblico, atteggiandosi esso semplicemente come “uno strumento di promemoria del docente, con lo scopo di supportare più agevolmente la sua funzione didattico-educativa e valutativa”.

Come da tempo affermato dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, il registro personale del professore è espressamente previsto dal R.D. 30 aprile 1924, n. 965, art. 41 con l’indicazione di “giornale di classe”: esso deve essere tenuto da ogni professore ed è diverso dal diario di classe che riguarda l’intera classe e sul quale “si succedono” le attestazioni dei professori delle varie materie che espletano i loro compiti in quel giorno, registro in dotazione obbligatoria a ciascuna classe e incontestabilmente atto pubblico. Nel giornale di classe debbono essere registrati “…i voti, la materia spiegata, gli esercizi assegnati e corretti, le assenze e le mancanze degli alunni”: è quindi indiscutibile la natura di atto pubblico di tutte le attestazioni di cui sopra riguardanti “attività compiute dal pubblico ufficiale che redige l’atto di fatti avvenuti alla sua presenza o da lui percepiti”; natura che si ricava anche sotto il profilo di attestazioni rilevanti ed anzi essenziali nel procedimento amministrativo diretto al risultato dello scrutinio finale e della produzione di effetti rispetto a situazioni soggettive di rilevanza pubblicistica, quali il conseguimento del titolo di studio riconosciuto valido nell’ordinamento giuridico statale. Risponde pertanto di falso in atto pubblico il professore che attesti falsamente fatti riportati nel registro “giornale di classe” (cfr. Cass., Sez. 5, n. 12862 del 21/09/1999, Rv. 214890).

Il registro personale del professore, sul quale devono essere annotati la materia spiegata, gli esercizi assegnati e corretti, le assenze e le mancanze degli alunni, i voti dagli stessi riportati, e’ pertanto, atto pubblico, in quanto attesta attività compiute dal pubblico ufficiale che lo redige, con riferimento a fatti avvenuti alla sua presenza o da lui percepiti (cfr. Cass., Sez. 5, n. 12726 del 06/11/2000, Rv. 218547).

Principi ribaditi anche da un più recente arresto, secondo cui in tema di falso ideologico in atto pubblico, aggravato ex art. 476 c.p., comma 2, il registro di classe e il registro dei professori costituiscono atti pubblici di fede privilegiata, in relazione a quei fatti che gli insegnanti di una scuola pubblica o ad essa equiparata, cui compete la qualifica di pubblici ufficiali, attestano essere avvenuti in loro presenza o essere stati da loro compiuti (cfr. Cass., Sez. 5, n. 14486 del 21/02/2011, Rv. 249858).

7. Infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente deduce l’impossibilità di considerare il registro del professore un “documento informatico pubblico avente efficacia probatoria”, conformemente alla previsione di cui all’art. 491 bis c.p.(“Se alcuna delle falsità previste dal presente capo riguarda un documento informatico pubblico o privato avente efficacia probatoria, si applicano le disposizioni del capo stesso concernenti rispettivamente gli atti pubblici e le scritture private”), cui, a suo giudizio, va ricondotta la fattispecie concreta in esame, potendosi considerare tale solo quello sottoscritto con firma elettronica qualificata ovvero con firma digitale.

Ed invero, rileva la ricorrente, ai fini della validità di qualsiasi documento informatico è necessario che esso venga sottoscritto dal pubblico ufficiale con una firma digitale, come previsto dall’art. 21 comma 2, del codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82 del 2005), le cui disposizioni attribuiscono ai documenti informatici valore probatorio privilegiato solo nel caso in cui ad essi sia apposta la firma digitale, il che non era previsto nei registri elettronici in uso all’Istituto (OMISSIS), ai quali si poteva accedere semplicemente tramite il nome dell’utente, digitando la password attribuita a ogni singolo docente.

Orbene, se da un lato va condivisa la riconducibilità della condotta della M. al paradigma normativo, di cui all’art. 491 bis c.p. (sostenuta anche dal pubblico ministero nella sua requisitoria scritta), apparendo evidente, per le ragioni che si diranno in seguito, che il registro del professore di cui si discute è un documento informatico avente efficacia probatoria, le conseguenze che la ricorrente pretende di trarre da tale diversa qualificazione giuridica non sono condivisibili.

Ed invero, la norma di cui si discute, introdotta dalla L. 23 dicembre 1993, n. 547, ha inserito nel sistema penale la fattispecie del falso informatico, vale a dire della falsificazione di documenti informatici.

Come è stato osservato, la ratio legis di tale previsione normativa va individuata nella “tutela della fede pubblica attraverso la salvaguardia del documento informatico nella sua valenza probatoria. La lesione o la messa in pericolo del bene tutelato, infatti, si realizzano solo quando la falsificazione introduce falsamente e fa venir meno la prova in ordine a un dato o informazione contenuto nel documento”.

Il disposto dell’art. 491 bis c.p., non contiene una definizione di “documento informatico pubblico o privato”, ma essa può facilmente desumersi dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 1, lett. p), (Codice dell’amministrazione digitale), secondo cui deve intendersi per documento informatico “la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”.

Come è stato rilevato in dottrina, con condivisibile argomentare, l’art. 491 bis c.p., “attribuisce la natura di documento informatico a qualsiasi specie di supporto, che contenga dati, informazioni e relativi specifici programmi di elaborazione. Il documento informatico, quindi, costituisce nient’altro che un documento codificato nel quale la rappresentazione dell’informazione, dato o programma, può essere letto”, come appunto nel caso del registro del professore utilizzato dalla M., solo con un particolare apparato di visualizzazione o di decodificazione, costituendo una entità funzionale inscindibile tra supporto fisico e bit”.

La rilevanza penale della falsificazione del documento informatico è subordinata alla funzione cui è destinato il documento stesso o, per meglio dire, i dati, le informazioni o i programmi in esso contenuti, essendo punita solo la falsificazione di quei documenti informatici, pubblici o privati, che abbiano una funzione probatoria.

Orbene la fallacia della tesi difensiva consiste nel ritenere che gli unici documenti informatici pubblici aventi efficacia probatoria, a partire dal 2005, siano solo quelli sottoscritti da un pubblico ufficiale con firma digitale.

Tale interpretazione, tuttavia, non trova conferma nel contenuto delle disposizioni del Codice dell’amministrazione digitale specificamente dedicate ai documenti informatici e, in particolare, in quelle concernenti la validità e l’efficacia probatoria di tali documenti (cfr. artt. 20, 21, 22 e 23), secondo cui i documenti informatici ai quali sia apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata, sono dotati di un’efficacia probatoria privilegiata, senza, però, che ciò escluda l’efficacia probatoria di quei documenti, che, pur potendosi definire “informatici” sulla base della previsione del citato D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 1, lett. p), non sono dotati delle menzionate modalità informatiche di sottoscrizione, come appunto il registro del professore, sulla cui natura di atto pubblico si è già detto, la cui efficacia probatoria può, dunque, formare oggetto di libera valutazione da parte del giudice (cfr. D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 20, comma 1-bis).

In questa prospettiva non appare revocabile in dubbio che il registro del professore tenuto con modalità informatiche, come quello in uso presso l’istituto (OMISSIS), rientri nella nozione di atto pubblico rilevante ai fini dell’integrazione dei reati in materia di falso in atto pubblico.

Per orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, infatti, devono considerarsi atti pubblici dotati di efficacia probatoria anche gli atti cosiddetti interni, ovvero quelli destinati ad inserirsi nel procedimento amministrativo, offrendo un contributo di conoscenza o di valutazione, nonché quelli che si collocano nel contesto di una complessa sequela procedimentale – conforme o meno allo schema tipico ponendosi come necessario presupposto di momenti procedurali successivi.

Ciò in quanto anche gli atti interni possono avere valenza probatoria in relazione all’attività compiuta dal pubblico ufficiale, attività che si pone come necessario passaggio di un più complesso ed articolato “iter” amministrativo (cfr. Cass., Sez. 5, n. 7295 del 14/05/1997, Rv. 208599; Cass., Sez. 5, n. 14486 del 21/02/2011, Rv. 249858).

Tali caratteristiche si rinvengono nel registro del professore, in quanto, come si è già detto, esso contiene attestazioni rilevanti ed anzi essenziali nel procedimento amministrativo diretto al risultato dello scrutinio finale e della produzione di effetti rispetto a situazioni soggettive di rilevanza pubblicistica, quali il conseguimento del titolo di studio riconosciuto valido nell’ordinamento giuridico statale (cfr. Cass., Sez. 5, n. 12862 del 21/09/1999, Rv. 214890).

Non a caso, del resto, in applicazione di tali principi, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che integra il reato di falso ideologico commesso dal privato su documento informatico pubblico, la condotta di colui che inserisca dati relativi al superamento di esami mai sostenuti su un supporto informatico, concernente il proprio curriculum universitario, che abbia funzione vicaria dell’archivio dell’Università e, pertanto, destinazione potenzialmente probatoria, quanto meno provvisoria, considerato che, ai fini della configurazione del reato in questione, l’art. 491 bis c.p., equipara espressamente il supporto informatico a quello cartaceo (cfr. Cass., Sez. 5, n. 15535 del 06/03/2008, Rv. 239485).

8. Infondato deve ritenersi il terzo motivo di ricorso, perché il giudizio operato dalla professoressa M. non rappresenta una valutazione assolutamente discrezionale, ma, piuttosto, una manifestazione di discrezionalità tecnica.

Al riguardo appare opportuno ribadire il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di falso (ideologico) in atto pubblico, nel caso in cui il pubblico ufficiale, chiamato ad esprimere un giudizio, sia libero anche nella scelta dei criteri di valutazione, la sua attività è assolutamente discrezionale e, come tale, il documento che contiene il giudizio non è destinato a provare la verità di alcun fatto; diversamente, se l’atto da compiere fa riferimento anche implicito a previsioni normative che dettano criteri di valutazione si è in presenza di un esercizio di discrezionalità tecnica, che vincola la valutazione ad una verifica di conformità della situazione fattuale a parametri predeterminati, sicché l’atto potrà risultare falso se detto giudizio di conformità non sarà rispondente ai parametri cui esso è implicitamente vincolato.

Pertanto non è configurabile il reato di falso ideologico in atto pubblico nel caso in cui il pubblico ufficiale è chiamato ad esprimere un giudizio svincolato da criteri di valutazione predeterminati, trattandosi di attività assolutamente discrezionale, sicché il documento che contiene il giudizio non è destinato a provare la verità di alcun fatto (cfr. Cass., Sez. 5, n. 38774 del 12/05/2017, Rv. 271203; Sez. Sez. F, n. 39843 del 04/08/2015, Rv. 264364).

Orbene, nel caso in esame, non può affatto sostenersi che la professoressa M. fosse chiamata ad esprimere nei confronti degli studenti sottoposti alla sua valutazione un giudizio svincolato da criteri di predeterminati, non potendosi qualificare la sua attività come assolutamente discrezionale.

Nel momento in cui l’imputata ha alterato i risultati delle prove sostenute dalla T., infatti, la disciplina normativa di settore prevedeva regole specifiche alle quali il personale docente doveva attenersi nella valutazione degli alunni.

In particolare il D.P.R. 22 giugno 2009, n. 122, art. 1, “Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni e ulteriori modalità applicative in materia, ai sensi del D.L. 1 settembre 2008, n. 137, artt. 2 e 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 ottobre 2008, n. 169, pur prevedendo che “la valutazione è espressione dell’autonomia professionale propria della funzione docente, nella sua dimensione sia individuale che collegiale, nonché’ dell’autonomia didattica delle istituzioni scolastiche” affermava espressamente: “ogni alunno ha diritto ad una valutazione trasparente e tempestiva, secondo quanto previsto del D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249, art. 2, comma 4, terzo periodo, e successive modificazioni. La valutazione ha per oggetto il processo di apprendimento, il comportamento e ii rendimento scolastico complessivo degli alunni. La valutazione concorre, con la sua finalità anche formativa e attraverso l’individuazione delle potenzialità e delle carenze di ciascun alunno, ai processi di autovalutazione degli alunni medesimi, al miglioramento dei livelli di conoscenza e al successo formativo, anche in coerenza con l’obiettivo dell’apprendimento permanente di cui alla “Strategia di Lisbona nel settore dell’istruzione e della formazione”, adottata dal Consiglio Europeo con raccomandazione del 23 e 24 marzo 2000. Le verifiche intermedie e le valutazioni periodiche e finali sul rendimento scolastico devono essere coerenti con gli obiettivi di apprendimento previsti dal piano dell’offerta formativa, definito dalle istituzioni scolastiche ai sensi del D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, artt. 3 e 8“.

L’art. 4 del medesimo testo normativo, con particolare riferimento alla valutazione degli alunni nella scuola secondaria di secondo grado, prevedeva, inoltre, che la “valutazione, periodica e finale, degli apprendimenti è effettuata dal consiglio di classe, formato ai sensi del testo unico di cui al D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, art. 5, e successive modificazioni, e presieduto dal dirigente scolastico o da suo delegato, con deliberazione assunta, ove necessario, a maggioranza. La valutazione periodica e finale del comportamento degli alunni è espressa in decimi ai sensi dell’art. 2 del decreto-legge. Il voto numerico è riportato anche in lettere nei documento di valutazione, venendo ammessi alla classe successiva gli alunni che in sede di scrutinio finale conseguono un voto di comportamento non inferiore a sei decimi e, ai sensi del testo unico di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 193, comma 1, secondo periodo, una votazione non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline valutate con l’attribuzione di un unico voto secondo l’ordinamento vigente”.

Come si vede, dunque, anche nelle valutazioni periodiche del rendimento degli alunni la professoressa M. era tenuta a uniformarsi ad obiettivi e standard formativi predeterminati, che escludevano in radice la possibilità di formulare giudizi in termini assolutamente discrezionali e arbitrari, dovendo in ogni caso tali valutazioni, espresse in voti prefissati, essere rispettose, nell’interesse degli alunni, delle esigenze di trasparenza e tempestività, che la condotta dell’imputata ha compromesso.”

Tanto premesso e ricordando che il docente è per acclarata giurisprudenza un pubblico ufficiale, l’art. 476 del c.p., fa riferimento al falso materiale realizzato da pubblico ufficiale in atti pubblici, e recita

Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioniforma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni .

Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso[26992700 c.c.], la reclusione è da tre a dieci anni [482490492493].

In sintesi, il reato di falso materiale (ex art. 476 c.p.) si realizza:

  1. con la formazione in tutto o in parte di un atto falso (ad esempio un verbale di Collegio dei Docenti, i cui lavori non si sono mai svolti);
  2. con l’alterazione di un atto vero (ad esempio la modifica di una trascrizione sul registro di classe);
  3. con l’alterazione riportante fatti veri, ma priva della data di modifica.

Al reato di falso materiale, si collega il reato di falso ideologico, commesso da pubblico ufficiale. Di seguito il testo dell’art. 479 c.p..

“Il pubblico ufficiale, che ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite nell’art. 476 [487493

In altri termini il falso ideologico si sostanzia nel riportare nel documento redatto fatti e circiostanze non vere.

Per acclarata giurisprudenza della Corte di Cassazione dal punto di vista giuridico è sufficiente la consapevolezza e la volontà di alterare il vero a prescinde dall’intenzione di ingannare o di nuocere.

Pertanto alcuni consigli di sintesi per evitare, anche se animati da buone intenzioni, gravi responsabilità, non solo disciplinari, ma anche penali:

  • aggiornare sempre i registri in oggetto al termine dell’ora di lezione di riferimento;
  • se la registrazione avviene successivamente, specificare che la registrazione avviene ora per allora;
  • se sussistono errori, non cancellare l’errore, ma specificare che quanto in precedenza trascritto è errato, con le relative motivazioni;
  • se il voto non è ritenuto definitivo, non inserirlo nel registro; una volta inserito è immodificabile;
  • tutto ciò che è trascritto nel registro, oltre che vero devo essere esposto in modo chiaro e preciso.

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Gianni Paciariello, Presidente dell’Associazione Papa Giovanni Paolo II, che si occupa di tutela dei diritti degli studenti, e dirigente scolastico in quiescenza

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Il registro di classe, e i reati di falso materiale ed ideologico ultima modifica: 2022-08-06T10:35:46+02:00 da
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