La casella di posta del lavoro non è come la “cassetta delle lettere” di casa. Attenzione ad eccessivo abuso

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di Avv. Marco Barone, Orizzonte Scuola, 24.5.2016

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– Come è noto oramai nella scuola tutto il personale docente dispone di una mail che viene utilizzata per fini lavorativi. E spesso al proprio indirizzo email si accede anche dal computer della scuola per ragioni di servizio ecc.

La casella di posta elettronica è un luogo protetto e rappresenta, un “sistema informatico” rilevante ai sensi dell’articolo 615/ter cod. pen..

La Corte di Cassazione Penale con la sentenza numero n. 13057 del 2016 ha affermato che “la “casella di posta” non e’ altro che uno spazio di memoria di un sistema informatico destinato alla memorizzazione di messaggi, o informazioni di altra natura (immagini, video, ecc.), di un soggetto identificato da un account registrato presso un provider del servizio.

E l’accesso a questo “spazio di memoria” concreta, chiaramente, un accesso al sistema informatico, giacche’ la casella non e’ altro che una porzione della complessa apparecchiatura – fisica e astratta destinata alla memorizzazione delle informazioni.

Allorche’ questa porzione di memoria sia protetta – come nella specie, mediante l’apposizione di una password – in modo tale da rivelare la chiara volonta’ dell’utente di farne uno spazio a se’ riservato ogni accesso abusivo allo stesso concreta l’elemento materiale del reato di cui all’articolo 615/ter cod. pen..

I sistemi informatici rappresentano, infatti, “un’espansione ideale dell’area di rispetto pertinente al soggetto interessato, garantita dall’articolo 14 Cost. e penalmente tutelata nei suoi aspetti piu’ essenziali e tradizionali dagli articoli 614 e 615” (Relazione al disegno di L. n. 2773, tradottosi poi nella L. 23 dicembre 1993, n. 547).”

E la Cassazione specifica che il proprio indirizzo email non può essere paragonato ad una canonica  “cassetta delle lettere” collocata nei pressi dell’abitazione, poiche’ detta “cassetta” non e’ affatto destinata a ricevere e custodire informazioni e non rappresenta una “espansione ideale dell’area di rispetto pertinente al soggetto interessato”, ma un contenitore fisico di elementi (cartacei e non) solo indirettamente riferibili alla persona.  In merito al sistema informatico pubblico, la Cassazione precisa che “se in un sistema informatico pubblico (che serva, cioe’, una Pubblica Amministrazione), sono attivate caselle di posta elettronica – protette da password personalizzate – a nome di uno specifico dipendente, quelle “caselle” rappresentano il domicilio informatico proprio del dipendente, sicche’ l’accesso abusivo alle stesse, da parte di chiunque (quindi, anche da parte del superiore gerarchico), integra il reato di cui all’articolo 615/ter cod. pen., giacche’ l’apposizione dello sbarramento – avvenuto col consenso del titolare del sistema – dimostra che a quella “casella” e’ collegato uno ius excludendi, di cui anche i superiori devono tenere conto.

Dimostra anche che la casella rappresenta uno “spazio” a disposizione – in via esclusiva – della persona, sicche’ la sua invasione costituisce, al contempo, lesione della riservatezza.”

Sulla base di questi principi la Cassazione ha confermato la condanna di 6 mesi inflitta al responsabile di un Ufficio pubblico che si servi’, per accedere alla casella di posta elettronica di una password “generale” – che gli consenti’ di entrare in rete – e si avvalse della posizione di sovra ordinazione – in cui si trovava rispetto al dipendente – per allontanarlo dall’ufficio ed effettuare le operazioni che gli premevano.

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