La crisi di identità della scuola

Repubblica-scuola_logo1di Guido Trombetti, la Repubblica, 7.5.2018

– La scena di un ragazzo che umilia il professore non può lasciare indifferenti. L’episodio vissuto dalla classe come rappresentazione teatrale da diffondere sul web fa venire i brividi.È un segno dei tempi? Un sintomo inequivocabile del declino di prestigio e autorevolezza della classe docente? O della strisciante avanzata di fenomeni all’”Arancia meccanica” esaltati dal grande palcoscenico di youTube?Domande tutte legittime. E in ognuna di esse forse si annida un briciolo di verità.

Un dato è incontrovertibile. La scuola italiana tra riforme e controriforme, buona scuola e cattiva scuola, alternanza scuola lavoro, immissione in ruolo di massa e precariato oltre alla burocrazia progettuale che imperversa, si dibatte da decenni in una terribile crisi di identità. Mai superata dopo la spallata sessantottina ad un sistema che mostrava la corda. I docenti in massima parte hanno supplito alle carenze con sforzi e sacrifici personali encomiabili.

Costretti, ad esempio, a riempire montagne e montagne di inutili relazioni e controrelazioni, moderna panacea burocratica-pedagogica. I ragazzi si ritrovano spesso a chiedersi ma a scuola che ci vado a fare? È ovvio che gli intollerabili episodi vadano sanzionati con la massima fermezza.

Punto. Senza inutili, anzi dannosissimi, esercizi assolutori in chiave psico-socio-pedagogica. Detto questo, bisogna evitare di mettere indietro le lancette dell’orologio. Magari riproponendo il modello di disciplina scolastica degli anni 50-60. Quando una risata era vista come una mancanza di riguardo. Talvolta come un crimine.

Occorre una gestione equilibrata del problema. Senza minimizzare nè ingigantire. Adoperando il più antico ed efficace dei metodi: il buonsenso. Capire la genesi di un fenomeno è un compito irrinunciabile. In gioco non è solo la perdita di autorità della scuola. È in gioco molto di più. La relazione tra scuola-lavoro-società. “Una volta – ci ricorda il filosofo Michel Sarres – lo spazio d’aula si configurava come un campo di forza il cui centro di gravità era la cattedra”. Da lì veniva il sapere, e con esso la promessa di un ruolo nella società. Di un lavoro. Di una identità. Di uno status. La regola tacita era “più ti impegni più salirai in alto nella scala sociale”. E, dato che le promesse venivano mantenute, da lì veniva la legittimità del sapere e l’autorità della scuola. Ma se i giovani disoccupati sono il 33 per cento e il resto è per buona parte sotto-occupato, come si può difendere la centralità della scuola? Certo, si può affermare che la scuola serve a formare il cittadino. Ma sa di retorica.

Quale cittadino? Un cittadino che non è produttore? Ma allora chi è? Possiamo dire a un giovane che domani sarà irrilevante e contemporaneamente dirgli che oggi deve essere uno studente consapevole e capace di auto-disciplinarsi? Senza un patto formativo credibile l’auto-disciplina viene meno. E con essa viene meno l’impalcatura della ragione che imbriglia e dirige le passioni e lo sfrenato egoismo. Prima di ogni intervento bisognerebbe capire. Porsi la domanda: perché un giovane dovrebbe spendere una parte preziosa della propria gioventù ad apprendere? Apprendere per chi?

Perché? E poi: come costruire una comunità che apprende? Con l’alluvione delle scartoffie partorite dai burocrati matusalemme? Gira e rigira, sempre sul nodo lavoro andiamo a parare.


Professore ordinario di Analisi matematica alla Federico II, Guido Trombetti ha guidato l’ateneo come rettore. È scrittore e saggista

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La crisi di identità della scuola ultima modifica: 2018-05-07T21:13:39+02:00 da
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