La scuola nel Mezzogiorno, ovvero la fabbrica di emigranti

tuttoscuola_logo14Tuttoscuola, 23.3.2018

– Un recente rapporto dello Svimez ha segnalato che il Centro-Nord d’Italia raggiungerà nel 2019 i livelli economici accertati nel 2007, cioè prima della crisi; unica condizione per conseguire il traguardo è che l’attuale velocità di crescita non diminuisca. Il Mezzogiorno dovrà invece attendere il 2028 per pareggiare le condizioni economiche godute vent’anni prima. Mentre i tempi della politica sono caratterizzati da facili promesse sistematicamente non mantenute, da impegni non soddisfatti, da ricorrenti scarica barile fra le parti che si alternano al potere, quelli dell’economia sono scanditi da lente misurazioni, abbastanza puntuali, che lasciano poco spazio alla superficialità anche in sede di previsione. Ne abbiamo parlato in un articolo di Tuttoscuola presente nel numero di marzo e firmato da Enzo Martinelli, ex dirigente Miur.

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Purtroppo il tempo di recupero preventivato per il Sud d’Italia, già di per sé negativo, rischia di peggiorare per effetto del grave decremento demografico registrato in questi ultimissimi anni. Oggi il Mezzogiorno perde circa 700 mila abitanti all’anno, cifra che, tendenzialmente proiettata fino al 2028, significa una diminuzione di popolazione di quasi 7 milioni di persone. Perdere un così rilevante capitale umano vuol dire ridurre energie per recuperare ritardi e per colmare le differenze con il resto del Paese.

Il calo della popolazione consegue due fenomeni: il tasso negativo fra nascite e decessi e l’emigrazione. Il primo fattore interessa da qualche anno tutta la Penisola, il secondo è quasi circoscritto al meridione d’Italia. Siccome ad emigrare sono le nuove generazioni, vuol dire che nelle Regioni più disagiate e povere rimangono i vecchi, pochi giovanissimi e le donne il cui tasso d’impiego al sud è imparagonabile con le altre zone del centro nord. Con questo tipo di capitale umano è difficile produrre ricchezza e benessere. È senz’altro impossibile recuperare il divario di reddito pro capite il cui valore oggi è doppio nelle aree settentrionali rispetto ad alcune aree del meridione.

Ma il dato veramente disastroso riguarda la qualità dei giovani che partono: sono quelli dotati di “più conoscenza”, quelli diplomati e laureati che vanno a spendere la formazione, la competenza e i loro innati talenti nel Lombardo-veneto, in Germania, in Inghilterra piuttosto che oltreoceano.  Questi baldi giovani talvolta ritornano al sud con moglie e figli per le vacanze estive; raccontano a chi è restato nella Locride o nell’Agrigentino le positive esperienze lontane dal sole di Scilla e Cariddi; magari stimolano i coetanei dubbiosi ad abbandonare il suolo natio e ad emularli nell’avventura umana in terre lontane.

Dunque la scuola del Mezzogiorno si è trasformata in una fabbrica di qualificazione di studenti destinati a spendere i loro saperi lontano dagli istituti scolastici e universitari che li hanno ospitati per tre-quattro lustri. Ricerche attendibili indicano in circa 200 mila i laureati che negli ultimi 15 anni sono emigrati dal Mezzogiorno. Per formare questo immenso patrimonio professionale, utilizzato lontano dai luoghi di nascita, gli esperti stimano che gli atenei abbiano speso circa 30 miliardi di euro. Il rapporto tra l’investimento e il risultato conseguito è dunque fallimentare. Abbiamo approfondito la questione nel numero di marzo di Tuttoscuola.

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La scuola nel Mezzogiorno, ovvero la fabbrica di emigranti ultima modifica: 2018-03-23T11:15:52+01:00 da
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