L’ambizione di una scuola più moderna

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di Andrea Gavosto,  La Stampa  15.1.2017

– Con l’approvazione nel Consiglio dei ministri di ieri dei decreti relativi a 8 delle 9 deleghe previste dalla Buona Scuola di Renzi – rimane fuori solo il tanto agognato, ma irraggiungibile, testo di riordino dell’intera giungla della legislazione scolastica – la nuova ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, ha tentato una vera e propria acrobazia politica.

Da un lato, infatti, ha dovuto portare a termine i capitoli della legge 107 lasciati in sospeso dal ministro Giannini – molti su temi cruciali – riprendendo con minimi cambiamenti il lavoro svolto da chi l’ha preceduta. Dall’altro, ha cercato di attenuare i malumori che la riforma ha creato in questi mesi, facendo pagare al governo Renzi un prezzo salato, promettendo di ascoltare le proposte di cambiamento che verranno dal mondo della scuola nella discussione parlamentare che durerà fino a Pasqua. Malumori che ormai pervadono tutta l’opinione pubblica, alla luce del disastroso inizio dell’ultimo anno scolastico – con un valzer di cattedre che ha nociuto alla continuità didattica – le cui cause sono interamente attribuibili alla Buona Scuola.

Nell’impossibilità di parlare di tutte le deleghe, partiamo da quella più innovativa, che riguarda l’istituzione di un sistema integrato di educazione ed istruzione per i bambini da 0 a 6 anni. In sostanza, la novità è di estendere il più possibile il servizio educativo per l’infanzia (in diverse forme, ma soprattutto asili nido e micronidi) a tutto il Paese, fino a coprire entro il 2020 almeno un terzo della popolazione sotto i tre anni: in questo modo si offrono alle famiglie pari opportunità così da superare le disuguaglianze sociali e i divari territoriali, che oggi sono enormi. Se, infatti, nel Centro-Nord i servizi per i bambini più piccoli (inclusi quelli privati) ne accolgono oggi 28 su 100, con alcune punte di eccellenza – come Reggio Children in Emilia e anche a Torino – nel Sud invece la percentuale scende a un misero 11%. Si tratta, inoltre, di passare da una visione di mera «custodia» del bimbo da parte del servizio dell’infanzia a una che ne accentui la dimensione educativa (naturalmente, è un «imparar giocando», non una scuola) e stabilisca un nesso di continuità pedagogica con i livelli successivi, la scuola dell’infanzia e primaria. Per fare ciò, si prevede per le educatrici un profilo professionale più elevato, con laurea triennale. Come si vede, obiettivi giusti e moderni, ma anche molto ambiziosi. Il decreto stanzia 200 milioni di euro annui destinati agli enti locali, che dovranno fornire i servizi: sembra però onestamente difficile che i Comuni del Sud riescano a colmare il divario nel giro di tre anni.

Per le altre deleghe, c’è da sperare che i tre mesi che il governo ha guadagnato vengano ben spesi, rivedendo alcuni orientamenti annunciati. Ad esempio, il decreto sulla valutazione degli studenti, che rivede il sistema di voto ed elimina le bocciature nella scuola primaria e sottrae le prove Invalsi dall’esame di terza media, non affronta il vero nodo dell’esame di maturità, ovvero l’enorme disparità nei criteri di giudizio fra le commissioni in scuole diverse. Ma forse i cambiamenti più radicali riguardano la riforma dell’inclusione (definendo meglio il ruolo dell’insegnante di sostegno e la sua collaborazione con gli altri docenti nell’ambito della classe) e, soprattutto, il nuovo sistema di formazione dei docenti delle secondarie, che così come annunciato, prevede un percorso troppo lungo, un eccesso di formazione disciplinare e insufficienti momenti di tirocinio pratico, risultando lontano dalla miglior pratica europea.

Direttore Fondazione Agnelli  

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L’ambizione di una scuola più moderna ultima modifica: 2017-01-15T16:26:31+01:00 da
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