Laterza: “Siamo prigionieri di chi riscrive la storia a scuola”

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di Simonetta Fiori, la Repubblica, 1.3.2019

– Il dibattito / In commissione cultura si discute su come introdurre il codice stradale e la ludopatia nei programmi di insegnamento. Ma sempre a discapito dello studio del passato. Dopo l’appello di Liliana Segre, la denuncia dell’editore.

“I nuovi manuali di storia? Al momento siamo fermi. Perché ancora non è chiaro come dobbiamo aggiornarli: se con l’educazione alla salute o con quella stradale, o se puntare sul cyberbullismo o sulla ludopatia. Quella suggerita dalla nuova proposta di legge presentata dalla Lega ci sembra un’idea molto confusa della contemporaneità”. Giuseppe Laterza appare sconfortato. Erede di un robusto catalogo storico nato nel segno di Benedetto Croce, insieme al cugino Alessandro è anche editore di testi scolastici. E ora si trova tra le mani questo “fritto misto” della proposta di legge sull’educazione civica che minaccia di ridimensionare ulteriormente la storia. Nata dall’iniziativa del deputato leghista Massimiliano Capitanio, la proposta è ora all’esame in commissione Cultura alla Camera: un testo base accolto tra gli applausi bipartisan di Fratelli d’Italia, Forza Italia e Pd. Così, dopo la cancellazione della traccia storica alla maturità e il tracollo degli specialisti all’Università, arriva un nuovo segnale d’allarme per la disciplina storica.

Perché definisce la nuova proposta un “fritto misto”?
“Perché sotto il cappello dell'”educazione civica” ci si imbatte in una infinità di temi diversissimi come l’educazione alla legalità, l’educazione ambientale e stradale, l’educazione al bello, la lotta contro le dipendenze come droghe, alcol e ludopatie. Si ha l’impressione di precipitare in un supermarket delle emergenze civili contemporanee, privo di un solido impianto culturale. Con l’aggravante che questo supermercato rischia di rubare spazio alla storia”.

Perché?
“Non è scritto da nessuna parte che questa nuova materia curricolare è aggiuntiva rispetto alle altre. E nell’articolo 2 della proposta di legge è specificato che a insegnarla sono chiamati i docenti dell’area storico-geografica delle scuole primarie e secondarie di primo grado e i docenti dell’area economico-giuridica nelle scuole secondarie di secondo grado, ossia gli insegnanti che talvolta vengono affiancati ai professori di storia. Questo cosa vuol dire? Il timore fondato è che a risentirne sia soprattutto il programma di storia. E quella più esposta è la storia del Novecento”.

Si otterrebbe così un risultato paradossale: per lasciar spazio all’educazione civica, potrebbe essere sacrificato lo studio del fascismo.
“Questo è il rischio: ha ragione Liliana Segre quando dice che talvolta i professori non riescono ad andare oltre la Grande Guerra. Al momento mi limito a constatare cosa è scritto nel testo della proposta: per la nuova materia sono previste trentatré ore all’anno, una alla settimana. A parte il classico dove le ore sono tre, in tutti gli altri licei le ore dedicate alla storia sono solo due alla settimana. La nuova disciplina se ne porterebbe via la metà”.

Un ulteriore segnale di disattenzione verso le discipline storiche.
“Sì, è una tendenza ormai conclamata. Nell’Intervista sulla storia già negli anni Ottanta Jacques Le Goff rilevava uno scarto molto forte tra la percezione della storia delle classi dirigenti e la sua fruizione pubblica. Da tempo la nostra classe dirigente ha smarrito il significato civile della storia, ossia l’idea che la conoscenza del passato ci renda cittadini migliori”.

Si è spezzato il legame tra la storia e la politica.
“Sì, fino alla caduta del Muro di Berlino ha resistito un intreccio vitale tra personale politico e classe intellettuale, con un sentimento molto forte della continuità della storia: la conoscenza storica è stata a lungo una lente attraverso cui guardare la realtà. Poi questo rapporto si è andato esaurendo, sostituito da una malintesa idea di modernità secondo la quale il nuovo si costruisce solo sulle rovine del passato. Questa rottamazione applicata alla storia non corrisponde però all’interesse mostrato da milioni di italiani”.

Come editori di storia siete un buon osservatorio.
“I nostri libri storici sono i bestseller della saggistica. Autori come Barbero, Gentile, Giardina, Canfora e Carandini vendono svariate decine di migliaia di copie. E poi c’è il pubblico delle “Lezioni di Storia”, il ciclo di conferenze che organizziamo in dieci città italiane: quest’anno abbiamo registrato complessivamente 40mila presenze. Un successo che ci ha indotto a inventare un nuovo festival dedicato alla storia: è in programma dal 25 al 28 aprile, nel centro di Napoli. Intrecceremo temi e personaggi sempre nella convinzione che “il passato è presente” – sarà il titolo del festival – sia che si parli di Cleopatra, Bob Marley o della Liberazione”.

Qual è il pubblico della storia?
“Sono persone curiose, civilmente ben orientate, le stesse che seguono le vicende del passato in Tv, al cinema e a teatro. Con una caratteristica: difficilmente alle nostre Lezioni di Storia si vedono in platea esponenti politici o dirigenti d’azienda. In Italia esiste una potenziale élite di milioni di persone che però non coincide con quella che siede in Parlamento o nei consigli di amministrazione. Uno scollamento che può rivelarsi molto dannoso per il paese”.
A questa frattura se ne aggiunge un’altra che è la separazione tra la ricerca intellettuale di alto profilo e un dibattito pubblico fiacco.
“Mi viene in mente la pagina di Apologia della Storia in cui Marc Bloch dice che la storia è innanzitutto divertimento. Una forma di godimento estetico. I primi potenziali storici, scrive Bloch, sono i lettori di Alexandre Dumas. Il problema è che non tutti gli storici si divertono e vogliono divertire. Alcuni se ne vergognano”.

Forse temono un eccesso di semplificazione.
“Ma gli storici non sono chiamati a rinunciare alla complessità: solo a trovare le parole e i modi giusti per farsi capire. La storia pone più problemi di quanti ne risolva: questa è la differenza tra un bravo storico e un buon divulgatore”.

A quali pericoli chi va incontro un paese senza storia?
“Credo ci sia una relazione diretta tra il ” presentismo” e la politica affidata ai sondaggi o le decisioni prese in Tv o su Facebook: tutto ormai si risolve nell’annuncio, nell’immediatezza della dichiarazione. La storia ti aiuta a comprendere, a mettere in relazione cose diverse. Sopprimendola si diventa schiavi inconsapevoli”.

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