di Maurizio Tiriticco, Educazione & Scuola, 11.10.2016
– Ho sempre detto e scritto – ovviamente è un’iperbole – che il latino e il greco andrebbero studiati fin dalle elementari! Tanto sono formative le due lingue morte – ma morte fino a un certo punto, in quanto la loro struttura, per certi versi, e il loro vocabolario, alimentano anche la nostra lingua attuale – che sono in grado di rendere più vivo e più ricco il nostro linguaggio quotidiano. E ciò non riguarda solo gli etimi dei singoli vocaboli, ma la stessa struttura sintattica. La povertà di linguaggio – che purtroppo riguarda in larga misura la nostra popolazione, fenomeno che Tullio De Mauro denuncia da sempre e con molto vigore – denuncia anche e soprattutto la povertà nella formulazione del pensiero, o meglio del pensiero critico.
Non è il caso di scomodare un’opera che ha fatto storia, “Pensiero e linguaggio”, di Lev Vygotskij, o l’epistemologia genetica di Jean Piaget, perché ormai è noto che l’incremento del linguaggio – sia sotto il profilo semantico (il numero dei vocaboli) che sotto quello sintattico (il numero delle connessioni, coordinate e subordinate) incrementa il pensiero critico. Fonologia, morfologia e sintassi non dovrebbero essere dei libri di grammatica adottati dalle scuole – una noia mortale (personalmente, quando insegnavo, non me ne sono mai servito) – ma una pratica quotidiana che insegnanti attenti, preparati e responsabili sollecitano e alimentano giorno dopo giorno.
La pratica del tema in classe (fogli protocolli, errori rossi e blu che nessun alunno considera in quanto va dritto al voto) serve a poco e a nulla. Io sollecitavo racconti, favole, riflessioni mirate o quant’altro, da comporre in aula quasi quotidianamente. Quindi, non il “compito in classe” (si dovrebbe dire compito in aula, la classe è la classe d’età degli alunni!) da svolgersi in due ore, se non di più, brutta e bella, ma lavori quotidiani in aula! Quindi niente brutta e niente bella! Composizioni da svolgere sul “quaderno delle invenzioni”. Composizioni sollecitate, ad esempio dal gioco delle cinque parole: principe, orco, re, castello, cavallo; oppure, bomba, soldato, madre, medaglia, patria; oppure: città campagna, industria, progresso, sindacato. Oppure le cinque parole le inventavano gli alunni! Si scriveva, poi si leggeva, si discuteva, si correggeva; e non ero solo io a correggere, ma anche gli alunni intervenivano e proponevano correzioni, aggiunte, soppressioni. Insomma, si dava vita a un lavoro collettivo che l’insegnante si limitava a coordinare, correggere, quando fosse il caso, finalizzare! Non c’erano voti, ma giudizi mirati formulati dagli stessi alunni. Quante volte ciò che “piaceva” a un alunno, non “piaceva” ad una altro. Insomma, io insegnante non pretendevo di insegnare nulla, ma mi limitavo a coordinare gli interventi. E nessuno avrebbe pensato di fare i fatti propri: oggi giocherellano con il telefonino mentre la professoressa – che non ha letto una famosa Lettera – spiega, spiega, spiega!
Ma queste considerazioni che c’entrano con il liceo classico? C’entrano e come! Infatti ritengo che il liceo classico non debba essere privilegio di pochi, figli di genitori professionisti e acculturati, ma un “privilegio” per tutti. So che si tratta di un’iperbole e so anche che i nostri studi secondari di secondo grado sono assolutamente “classisti”, fatti su misura per una popolazione divisa in classi sociali: il classico per i migliori, lo scientifico per i “meno migliori”, il tecnico per i “così così”, il professionale per gli sfigati! Insomma, se il figlio di un ingegnere e di una professoressa di filosofia ama cucinare, perché non si può iscrivere in un istituto professionale alberghiero?
In un Paese democratico, con una Costituzione che più bella non ce n’è, è accettabile, dopo un obbligo decennale eguale per tutti, una scuola divisa in tre filoni, fatti su misura per una popolazione divisa in classi sociali, che la Costituzione non prevede e non tollererebbe mai? L’articolo 3 così recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sciale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Sembra che la nostra scuola contraddica un principio costituzionale, ed un principio fondante. Non sarebbe, invece, il caso di partire proprio dalla scuola per liquidare – in tempi medio-lunghi, ovviamente – questi ostacoli di ordine economico e sociale e questa divisione in classi che caratterizza la composizione socioeconomica del nostro Paese e ne frena, conseguentemente, lo sviluppo? E perché allora, non cominciare dalla scuola? Chi ha detto che il latino e il greco non possano e non debbano essere appannaggio di tutti? Insomma, se cominciamo dalla scola a dividere la popolazione in tre parti, è segno che a una “Repubblica democratica fondata sul lavoro” non ci crede nessuno. Che dolore! Quando constatiamo che la nostra Repubblica, invece, è fondata sulla mazzette e sui cartellini timbrati a iosa da colleghi generosi.
Latino e greco per tutti!!! E’ una provocazione, certamente, ma… ragioniamoci un po’!!!
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Liceo classico sì!!! ultima modifica: 2016-10-12T05:12:01+02:00 da