L’intesa governo-insegnanti. Il contratto scuola rimane nazionale, freno all’Autonomia

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di Andrea Bassi e Lorena Loiacono,  Il Messaggero,  25.4.2019 

L’IDENTITÀ CULTURALE

Nel testo è stato inserito un capitolo intitolato «La scuola del Paese», nel quale il governo si impegna a «salvaguardare l’unità e l’identità culturale del sistema nazionale di istruzione e ricerca, garantendo un sistema di reclutamento uniforme, lo status giuridico di tutto il personale regolato dal contratto collettivo nazionale e la tutela dell’unitarietà degli ordinamenti statali». La scuola, insomma, deve rimanere nazionale. Non è poco. L’istruzione e il trasferimenti del personale scolastico sono un pilastro del progetto spacca-Italia. La maggior parte delle risorse che Veneto e Lombardia vorrebbero trattenere sui loro territori sono legate a questa partita specifica. Senza la scuola il progetto autonomista è un’anatra zoppa.

LE RETRIBUZIONI

L’altro aspetto fondamentale per il mondo della scuola, presente nell’accordo tra i sindacati e il premier Conte, è la questione relativa agli stipendi del personale, sia docente sia ausiliario. È uno dei punti principali che hanno portato alla proclamazione dello sciopero. Si parte infatti, per la scuola, da uno stipendio medio annuo tra i più bassi d’Europa. Non solo, la retribuzione media attuale è anche inferiore a quella percepita nel 2008. Da qui la richiesta di aumentarla quanto meno per coprire l’inflazione prevista nel prossimo triennio. A cui poi dovrà seguire l’avvicinamento alle retribuzioni europee. E non sarà un passo semplice visto che, secondo i calcoli della Flc Cgil, la differenza tra lo stipendio medio annuo di un docente italiano rispetto a quello di un collega europeo è del 24%. Piuttosto ampia, quindi.
Da Palazzo Chigi, intanto, è stata accolta la richiesta di salvaguardare gli stipendi dall’inflazione, con l’impegno a reperire i fondi per il rinnovo del contratto già dal prossimo DEF, per programmare nel triennio 2020-2022 un recupero salariale tanto che il ministro Bussetti ha parlato di «aumenti a tre cifre». In base a queste premesse, seguendo le stime sull’inflazione, gli aumenti dovrebbero arrivare gradualmente nel triennio 2019-2021 a 95 euro di media, anche un po’ di più. Come punto di partenza viene presa l’inflazione calcolata con l’Ipca, l’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i paesi membri dell’Unione Europea: la previsione per il triennio è del 4,2%. Vale a dire che, su uno stipendio medio annuo del personale scolastico, l’aumento sarebbe di 1.260 euro circa l’anno. Circa 95 euro al mese su 13 mensilità. Il personale della scuola infatti ha uno stipendio medio lordo annuo, comprensivo di tutto dagli straordinari alle indennità, di 30mila euro. Per salvaguardare gli stipendi rispetto all’inflazione andrebbero quindi stanziati circa 4,1 miliardi di euro netti, circa 6,8 miliardi lordi. Questo è il primo passo, legato all’inflazione, ma per i sindacati resta fondamentale aggiungere qualche euro mensile in più, per recuperare la distanza con le retribuzioni degli altri paesi europei. Per concretizzarlo, saranno necessarie nuove risorse da stanziare sul contratto.

GLI INCONTRI

I sindacati hanno chiesto quindi di avviare quanto prima gli incontri per giungere al nuovo contratto di lavoro. Quello vecchio è scaduto a dicembre scorso. Il primo incontro comunque, fissato nei primi giorni di maggio, riguarderà la stabilizzazione dei precari. Poi si procederà per il rinnovo contrattuale e lì la partita si giocherà sulle risorse aggiuntive.
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L’intesa governo-insegnanti. Il contratto scuola rimane nazionale, freno all’Autonomia ultima modifica: 2019-04-26T05:07:58+02:00 da
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