Maturità 2022-23. Finalmente si torna alla normalità, anche se si potrebbe fare di più…

Gilda Venezia

 di Fabrizio Reberschegg, dalla Gilda degli insegnanti di Venezia, 7.1.2023.

Ogni Ministro dal 1999 si è inventato qualcosa per modificare, riformare e riorganizzare le procedure d’esame. Dibattere ogni anno sulle riforme e sui limiti dell’esame di Stato porta acqua al mulino di chi vuole l’abolizione del valore legale del titolo di studio e alla decostruzione della scuola pubblica statale come immaginata dai Costituenti. 

Gilda Venezia

Dopo la comunicazione da parte del Ministero dell’Istruzione del Merito del ritorno al “vecchio” esame di Stato si sono scatenate le solite inutili polemiche che vorrebbero il ritorno strutturale dell’esame fatto da soli commissari interni (tipologia Moratti) o addirittura l’eliminazione delle prove d’esame. Alcuni movimenti studenteschi se ne sono fatti promotori con l’appoggio strumentale di forze politiche che da sempre spingono verso l’eliminazione del valore legale del titolo di studio.

La storia dell’esame di maturità nel nostro Paese è esemplare per capire dove si vuole andare e le dinamiche che hanno innervato le politiche scolastiche degli ultimi 100 anni.

Nel 1923 Gentile introduce l’esame di maturità con quattro prove scritte e con un orale basato sul programma degli ultimi tre anni con commissioni completamente esterne composte anche da docenti universitari. I tassi di bocciature erano ovviamente notevoli.

Nel 1937 l’orale si riduce al programma dell’ultimo anno. Bottai nel 1940 (entrata in guerra dell’Italia) introduce commissioni completamente interne con esterni presidente e vicepresidente, per poi eliminare l’esame sostituendolo con semplice scrutinio interno. Erano gli anni pesantissimi della guerra.

Nel 1951 il Ministro Gonella reintroduce l’esame di maturità ripristinando di fatto l’esame gentiliano ma con prove solo sui due anni precedenti l’esame e con l’introduzione dei commissari interni (due all’inizio per poi  uno solo) scelti dal consiglio di classe.

Nel 1969 il Ministro Sullo introduce una riforma dell’esame che durerà per almeno trent’anni. La commissione è prevalentemente esterna, con docenti provenienti da scuole di tutto il Paese e non solo del territorio, con un commissario interno scelto dal consiglio di classe, due sole prove scritte e due materie all’orale di cui una scelta dal candidato. Era un esame che funzionava, ma costava “troppo” a causa del pagamento dei commissari esterni che potevano venire da città e regioni diverse da quella della sede d’esame. E allora chi arriva a riformare il tutto?

Nel 1999 il mitico Ministro Berlinguer si inventa la terza prova interdisciplinare (il quizzone tanto caro alla sua sensibilità), le commissioni sono per metà interne e per metà esterne 3+3) più un presidente esterno. Per risparmiare i commissari sono appartenenti al territorio sede d’esame. La prima prova prevede la scelta su quattro tipologie di tracce, l’orale può basarsi sulle “tesine”. Vengono introdotti i famosi e complicatissimi crediti scolastici calcolati sui risultati degli ultimi tre anni e il burocratico documento del 15 maggio come presentazione della classe stilato dal consiglio di classe.

La riforma di Berlinguer ha una parentesi tra il 2002 e il 2006 voluta dal Ministro Moratti con l’introduzione di commissari tutti interni ad eccezione del presidente, con una rimodulazione dei crediti scolastici e con un giudizio di ammissione necessario per partecipare all’esame. Con la caduta del governo Berlusconi III il Ministro Fioroni torna alla riforma Berlinguer con poche variazioni.

Nel 2015 Renzi e Giannini riformano con la Buona Scuola l’esame di stato che conosciamo sino ad oggi (con decreto attuativo nel 2017), con le solite varianti annuali o introdotte dai ministri succedutisi che servono far parlare di sé i giornali.  Si aumenta il peso dei crediti scolastici, si introduce l’obbligo dei PCTO, si obbliga al raggiungimento della sufficienza in tutte le materie, si introduce come requisito la partecipazione alle prove INVALSI. La ministra Fedeli toglie nel 2017 la terza prova e la tesina, il Ministro Bussetti nel 2019 introduce poi le buste al colloquio orale in stile televisivo. Si arriva infine alla pandemia con esame con tutti commissari interni e il solo presidente esterno (si toglie temporaneamente l’obbligo dei PCTO e il Ministro Azzolina cassa definitivamente le buste per la scelta dell’orale). Il Ministro Bianchi nel 2021 torna sostanzialmente alla situazione pre-covid ma con una seconda prova scritta decisa dai docenti delle commissioni, ancora formate da tutti commissari interni e con la solita rimodulazione dei crediti scolastici.

Siamo ora a Valditara che conferma l’assetto dell’esame pre-covid (tipologia Fedeli). Ed è un fatto positivo.

Appare chiaro, dopo questa sintetica digressione storica, che in un paese normale non dovrebbe essere così incerta l’organizzazione degli esami finali per un titolo di studio con validità legale. Dopo la riforma Berlinguer si sono aperti ampi varchi di discrezionalità da parte dei governi di turno per mettere mano al calcolo dei crediti formativi e sulle modalità di svolgimento degli scritti e degli orali (con o senza terza prova, con o senza tesine), dopo la riforma Renzi si è puntato all’inserimento dei PCTO (ex ASL) nelle valutazioni e all’importanza delle prove INVALSI tra i possibili prerequisiti per l’ammissione all’esame.

 Ogni Ministro, come abbiamo visto dal 1999 si è inventato qualcosa per modificare, riformare e riorganizzare le procedure d’esame.

Forse sarebbe bene tornare alla vecchia riforma del 1969 con poche modifiche: due prove scritte nazionali, un orale sulle discipline dell’ultimo anno e sulle eventuali esperienze di connessione con il mondo del lavoro per Tecnici e Professionali, commissioni miste (metà interni e metà esterni con presidente esterno) con personale proveniente dalla provincia di riferimento dell’istituzione scolastica, abolizione dei vincoli relativi alle prove INVALSI e alla (finta) necessità di ottenere in fase di ammissione le sufficienze in tutte le materie, una redifinizione meno ragioneristica dei crediti formativi dando all’esame il peso che merita e l’abolizione dell’inutile documento del 15 maggio sostituendolo con una relazione finale dei consigli delle classi interessate.

Un fatto è certo: dibattere ogni anno sulle riforme e sui limiti dell’esame di Stato porta acqua al mulino di chi vuole l’abolizione del valore legale del titolo di studio e alla decostruzione della scuola pubblica statale come immaginata dai Costituenti. Le scuole private ringrazierebbero.

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