TuttoscuolaNews, n. 1153 del 20.1.2025.
Sul latino antiche e nuove controversie. Nuova valutazione alla primaria: una lettura proattiva dell’OM.
Da giorni non si parla d’altro. Il Governo vuole mettere mano al documento cardine della scuola. In un’ampia intervista rilasciata al quotidiano il Giornale, una cui sintesi si legge in questo servizio del sito di Tuttoscuola, il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha anticipato le principali modifiche che saranno apportate alle vigenti Indicazioni Nazionali per le scuole del primo ciclo a partire dall’anno scolastico 2026/2027.
“Belle parole. In concreto?”. Chiede il giornalista. “Tutto e un po’ di tutto?”. E poi: “Possiamo dire che quella che si prepara sarà una scuola più sovranista? (“Ma no, niente slogan facili” risponde il Ministro).
Beh, se si voleva avviare un serio e ampio dibattito pubblico – come è doveroso per una questione così cruciale – non è questo il modo. Non con un breve dialogo con un giornalista, o in Cinque minuti dopo il tg, e neanche con un editoriale. Tanto meno con qualche tweet. Qualsiasi giudizio, ogni ragionamento che possa nascere da un confronto civile e costruttivo su qualcosa che – ribadiamolo – incide sul cuore del sistema educativo italiano, deve basarsi su un progetto chiaro e definito, declinato in tutte le sue forme, che possa essere analizzato, approfondito e soppesato da tutti. Insegnanti, studenti, famiglie, esperti e tutti gli stakeholders.
Un documento pubblico. Nessuna asimmetria informativa tra chi ha pensato e scritto le nuove Indicazioni e chi è chiamato a farsi un’idea. Alcuni dei quali già si avventurano, discutibilmente, in improvvisati e prematuri giudizi pro o contro (non si sa bene cosa). Se il documento integrale non è pronto, ci vorrebbe almeno una sintesi organica, oppure un’introduzione argomentata, delle linee guida. Altrimenti si poteva aspettare a parlarne.
Questa la nostra opinione. Facciamo comunque una cronaca di quanto ad oggi noto, nella convinzione – peraltro condivisa dallo stesso ministro Valditara che l’ha affermata pubblicamente, e gli crediamo – che la revisione delle Indicazioni Nazionali richieda un dialogo approfondito con tutti gli attori della scuola, dalla base al vertice. E vediamo se il Ministero pubblicherà a breve un documento preliminare o delle linee guida per avviare nel modo giusto un vero dibattito pubblico strutturato.
Della presenza e del ruolo del latino nella scuola italiana Tuttoscuola si è occupata più volte nel tempo, a partire dalla sua fondazione (1975), con l’intervento di autorevoli esperti e del suo stesso fondatore, Alfredo Vinciguerra, che in un articolo del marzo 1983, intitolato “Il rimpianto del latino”, ne auspicò la reintroduzione facoltativa almeno in terza media, come ricordato anche dall’ex ministro della PI Gerardo Bianco, autorevole latinista, nella sua testimonianza contenuta nello Speciale “Alfredo Vinciguerra trent’anni dopo”, scaricabile gratuitamente dal nostro sito.
Il confronto politico e culturale sul latino ha accompagnato la storia della scuola repubblicana fin dai lavori della Costituente (1947), quando il diritto di ciascun giovane, anche se povero, ad accedere a una scuola media di qualità, comprensiva dello studio del latino, fu sostenuto da Concetto Marchesi, illustre latinista e deputato del PCI, convinto a differenza di altri esponenti del suo stesso partito che l’apprendimento della “grammatica di una lingua morta” fosse “strumento più adatto di qualsiasi lingua viva alla formazione mentale dell’alunno”.
L’opinione di Marchesi, condivisa da uno schieramento trasversale ai partiti politici, influì sulla decisione di mantenere lo studio del latino, sia pure in forma facoltativa, nella scuola media unificata (legge n. 1859 del 31 dicembre 1962), e animò una forte resistenza alla definitiva soppressione del latino decisa con la legge n. 348 del 1977.
Pochi anni dopo, nel corso del dibattito sulla riforma della scuola secondaria superiore, che secondo alcune ipotesi allora circolanti prevedeva l’esclusione o la forte penalizzazione del latino, un gruppo di 130 prestigiosi intellettuali di diverso orientamento politico, compresi alcuni vicini al PCI (ma di “scuola Marchesi”) prese posizione contro tali ipotesi chiedendo anzi di tornare indietro sulla decisione del 1977. Anche Tuttoscuola partecipò attivamente al dibattito proponendo il ripristino dello studio del latino “almeno in un anno della scuola media”, come scrisse Alfredo Vinciguerra nel citato articolo del marzo 1983.
Non se ne fece nulla, come nulla d’altra parte si fece sul fronte della riforma della scuola secondaria superiore. Da allora le preoccupazioni per la scarsa padronanza della lingua italiana da parte dei nostri studenti sono cresciute, alimentando – a destra come a sinistra – il “rimpianto del latino” come strumento utile per migliorare la conoscenza e l’uso della lingua italiana. Patrizio Bianchi, ministro della PI del governo Draghi, di area PD, auspicò una ampia adesione delle scuole e delle famiglie all’ipotesi di inserire lo studio facoltativo del latino nei PTOF delle scuole medie.
Ora il PD spara a zero sulla analoga proposta dell’attuale ministro Valditara, presentandola come una mera regressione nostalgica. Certo, servirebbe una misura strutturale, accompagnata da una adeguata formazione dei docenti di lettere, e anche risolvere il problema (posto da Marchesi ma anche, prima di lui, da Gramsci) se lo studio del latino, ritenuto utile per la formazione critica dei cittadini, debba a questo punto diventare obbligatorio per tutti. Se ne discute.
Restano alcuni aspetti che forse appariranno prosaici. Attualmente nella scuola secondaria di I grado non vi sono docenti che possono insegnare latino (e forse nemmeno lo conoscono).
Per insegnarlo nella scuola media, occorrerebbe attingere alle graduatorie delle classi di concorso A011 e A013 del secondo grado: una trasversalità di utilizzo non facile da realizzare.
In quale orario? Non essendo un insegnamento curriculare, il latino dovrebbe essere insegnato in orario extrascolastico, pomeridiano: una complicazione organizzativa per le famiglie e per le scuole.
Lo scorso 9 gennaio 2025 il Ministro dell’Istruzione e del Merito ha emanato la nuova Ordinanza Ministeriale che, a norma della Legge 150/2024, disciplina la valutazione intermedia e finale nella scuola primaria e la valutazione del comportamento nella scuola secondaria di primo grado. Le nuove disposizioni entrano in vigore già con l’ultimo periodo dell’anno in corso e le scuole, nel corso del secondo quadrimestre, dovranno perciò adeguare i criteri di valutazione presenti nel PTOF e nei registri elettronici per potere applicare il disposto dell’Ordinanza negli scrutini finali del corrente anno scolastico.
Come spesso accade in tema di valutazione, l’Ordinanza ha suscitato dibattiti e interpretazioni controverse, che rischiano di generare incertezza tra docenti e famiglie. Tuttavia, una lettura attenta delle disposizioni permette di individuare un equilibrio tra le novità introdotte e la continuità con i principi della valutazione formativa. Tuttoscuola ospita una serie di autorevoli interventi a riguardo.
Come spiega bene Franca Da Re in questo articolo, si torna, nella scuola primaria, alla valutazione espressa attraverso giudizi sintetici (ottimo, distinto, buono, discreto, sufficiente, non sufficiente), ma accompagnati dalla descrizione dei livelli di apprendimento raggiunti in ciascuna disciplina, incluso l’insegnamento dell’educazione civica e il comportamento, con riferimento a dimensioni quali l’autonomia nell’attività, e le risorse utilizzate per portare a termine un compito.
Anche il pedagogista Cristiano Corsini, convinto teorico e fautore della valutazione educativa (quella in itinere) contrapposta a quella classificatoria (quella dei voti), invita a trovare nella nuova Ordinanza Ministeriale una chiave costruttiva, e così conclude il suo intervento sul nostro sito: “La retorica catastrofistica che esalta i lati negativi indubbiamente presenti nella nuova ordinanza rischia di fare più danni dell’ordinanza stessa, perché tende ad agire come elemento di deresponsabilizzazione. Al contrario, è bene ricordare che il destino della valutazione educativa rimane saldamente nelle mani di scuole e docenti. Saranno loro a decidere se valutare per classificare o valutare per trasformare”.
Dello stesso avviso, come si legge nell’intervista che ci ha rilasciato, è Elisabetta Nigris, autorevole docente di Progettazione didattica e valutazione presso l’Università di Milano Bicocca, già coordinatrice del gruppo di lavoro ministeriale sulla valutazione descrittiva nella scuola primaria. La Nigris ha scritto una bella lettera agli studenti della Bicocca.