Nuovi fondi per il contratto. Si arriva a 50 euro netti in più

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di Marco Nobilio,  ItaliaOggi 17.11.2020.

La legge di bilancio stanzia 400 milioni aggiuntivi per il 2019/21.

Gilda Venezia

Stanziati 400 milioni di euro in più per il rinnovo del contratto dei dipendenti pubblici. I fondi sono previsti nella bozza di legge finanziaria predisposta dal governo e vanno ad aggiungersi alle risorse già stanziate dall’articolo 1, comma 436, della legge 145/2018: 1.100 milioni di euro per l’anno 2019, 1.750 milioni di euro per l’anno 2020 e 3.375 milioni di euro annui a decorrere dal 2021. I 400 milioni andranno ad impinguare la dotazione finanziaria dal 2021 in poi. Quindi, la somma a regime dovrebbe essere pari a 3775 milioni di euro. Considerato che i dipendenti pubblici, secondo le rilevazioni Istat del 2018 (le più recenti disponibili) sono 3.342.816, i fondi consentono incrementi retributivi medi di 1.129 euro l’anno a testa.

L’importo, però, è al lordo delle trattenute fiscali e previdenziali (cosiddetto lordo stato). Per arrivare alla cifra netta bisogna togliere circa il 50%. Che è pari, grosso modo, all’importo dei contributi e delle ritenute fiscali. A conti fatti, 40-50 euro in più a testa. Nella scuola gli importi potrebbero essere ancora inferiori. Perché il criterio che viene applicato per la distribuzione degli aumenti consiste nell’applicare una percentuale identica a prescindere dall’importo di partenza delle retribuzioni. E siccome le retribuzioni della scuola sono le più basse del pubblico impiego, ad ogni rinnovo contrattuale la forbice si apre sempre di più e il divario tra qualifiche analoghe nei vari comparti aumenta costantemente. Resta il fatto che il contratto collettivo nazionale del comparto istruzione e ricerca è scaduto dal 2018. E sebbene i fondi per il rinnovo fossero stati già stanziati con la legge di bilancio del 2019 il governo non ha ancora avviato le trattative. Con i 400 milioni in più previsti nella legge di bilancio di quest’anno ci si attende almeno l’emanazione dell’atto di indirizzo all’Aran da parte del governo. Atto di indirizzo necessario per aprire il tavolo negoziale.

Ma la questione degli adeguamenti retributivi non è la sola ad essere rimasta in sospeso. Il contratto attualmente vigente, infatti, non reca il testo coordinato delle disposizioni effettivamente in vigore. L’accordo sottoscritto il 19 aprile del 2018, infatti, reca solo alcune disposizioni di carattere generale e, per gli aspetti puntuali della regolazione del rapporto di lavoro, si limita a un mero rinvio alle disposizioni contenute nel contratto del 2007 (si veda l’articolo 1, comma 10, del nuovo contratto). In buona sostanza, l’Aran, a causa della fretta, imposta dal governo dell’allora presidente Gentiloni, di chiudere il contratto in tempo utile per capitalizzare il risultato in vista delle elezioni che si sarebbero tenute di lì a breve, non riuscì a predisporre il «testo unico» contrattuale che viene redatto in queste occasioni. Ma le elezioni politiche si tennero il 4 marzo e il testo fu sottoscritto comunque più di un mese dopo.

Resta il fatto che la consultazione del testo negoziale in vigore risulta di particolare complessità. Non solo per il fatto di essere costituito da due testi diversi recanti disposizioni talvolta in contrasto tra loro. Ma anche e soprattutto perché la gabbia normativa costruita dal legislatore intorno al contratto, per legare le mani all’autonomia delle parti, rende particolarmente complicato capire quale sia la disciplina da applicare. Il legislatore, infatti, è intervenuto a gamba tesa su molte materie contrattuali quali, per esempio, le procedure stragiudiziali di composizione delle controversie di lavoro. Oggi praticamente inesistenti. Oppure la mobilità. Si pensi, per esempio, alla chiamata diretta introdotta dal governo Renzi, la cui applicazione, in via procedurale, è stata bloccata dal governo Conte 1, ma le disposizioni sostanziali non state ancora abrogate per effetto del cambio della guardia tra Lega e Pd all’atto della costituzione del governo Conte 2. Blocco intervenuto per effetto del veto del Pd attualmente ancora in essere. E poi c’è la questione della formazione obbligatoria.

La legge 107/2015, infatti, ha trasformato la formazione degli insegnanti da diritto a dovere specificando che va effettuata in servizio. Sebbene la legge sia del 2015 il contratto del 2018 non ha regolato la materia. E dunque non è stato ancora chiarito se la formazione vada effettuata con esonero dalle attività di insegnamento oppure, come auspicabile, facendo rientrare tali attività nel monte delle 40 ore delle riunioni del collegio dei docenti.

La giurisprudenza, peraltro, si è pronunciata in più occasioni nel senso della necessità di retribuire le prestazioni eccedenti le 40 ore a titolo di attività aggiuntive funzionali all’insegnamento. Infine, c’è la questione della didattica a distanza. Che essendo stata demandata alla contrattazione integrativa, necessiterebbe comunque di una definizione generale della prestazione da parte della contrattazione collettiva nazionale integrando la clausola negoziale che regola attualmente le attività di insegnamento.

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Nuovi fondi per il contratto. Si arriva a 50 euro netti in più ultima modifica: 2020-11-17T09:38:20+01:00 da
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