Per l’alternanza scuola-lavoro servono soldi e personale, non burocrazia

Gilda Venezia

di Chiara Sgreccia, L’Espresso,  2.6.2022.

Il protocollo di intesa per la sicurezza degli studenti è soltanto un accordo cornice. Le normative già esistono, il problema sta nell’attuazione e nella verifica che le aziende le mettano in pratica.
Gilda Venezia
«Assicurare la qualità dei Pcto (percorsi per le competenze trasversali e orientamento) spetta a ogni scuola. E richiede un’enorme quantità di lavoro che pesa sulle mie spalle, sui docenti e sulla segreteria. Siamo stremati. I docenti specializzati nelle diverse discipline, che conoscono il territorio, contribuiscono alla selezione di enti di qualità in cui mandare gli studenti. Un responsabile dell’alternanza mi aiuta nel coordinamento generale delle attività. La segreteria svolge gli adempimenti burocratici. I docenti tutor seguono gli studenti nella redazione del progetto formativo e durante l’attività in azienda. La sicurezza dei luoghi a cui accedono gli allievi è garantita anche da una scheda tecnica scrupolosa che accompagna la stipula della convenzione».

Dalle parole di Giampiero Cerone, dirigente scolastico dell’istituto di istruzione superiore Teresa Confalonieri, in provincia di Salerno, che accoglie gli studenti che frequentano i licei linguistico, musicale, delle scienze umane, e gli istituti professionali di industria e artigianato per il made in Italy e di agraria, si capisce che ciò che serve alle scuole è un aiuto concreto: soldi e personale che possano effettivamente garantire la qualità dell’alternanza scuola-lavoro. Perché le normative pensate per tutelare la sicurezza esistono, il problema sta nell’attuazione e nella verifica che le aziende le mettano in pratica.

Così il protocollo di intesa firmato dal ministero dell’Istruzione, del Lavoro e delle Politiche sociali, l’Ispettorato nazionale del lavoro e l’Inail, istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, «per la promozione e la diffusione della cultura della salute e sicurezza nei percorsi per le competenze trasversali e orientamento», rischia di influire poco sulla realtà dell’alternanza scuola-lavoro. Sia perché è soltanto un accordo cornice che definisce le intenzioni ma non le modalità pratiche attraverso cui dovranno essere migliorate le condizioni di sicurezza degli studenti. Dichiarazione di intenti che, però, arriva dopo i fatti gravi che hanno segnato il 2022 – la morte di Lorenzo e Giuseppe durante lo stage e il ferimento di un altro studente in officina – e non è invece conseguenza, come forse avrebbe dovuto essere, della riforma della «buona scuola» con cui il Governo Renzi nel 2015 ha reso obbligatoria l’alternanza scuola-lavoro per tutti gli allievi della scuola secondaria di secondo grado. Ma anche perché il testo non contiene molti elementi di novità ma ripete contenuti già presenti nelle leggi sulla sicurezza che regolamentano i Pcto e il mondo del lavoro.

Quindi, bene sottolineare, come fa il protocollo, l’importanza che ha la formazione per la sicurezza ma fondamentale sarebbe definire come renderla efficace. Assicurarsi che le norme che tutelano gli studenti durante l’alternanza, che secondo il decreto legislativo 81 del 2008 sono equiparati ai lavoratori quando entrano in azienda, diventino pratiche capaci di fare la differenza nella quotidianità. E non adempimenti burocratici che scuola e aziende si rimpallano. Non tanto per mancate buone intenzioni ma per scarsità di tempo, fondi e risorse da mettere a disposizione. La cui mancanza, però, mette a rischio la vita di migliaia di persone.

Anche perché, sebbene gli studenti non vadano in azienda per rafforzare la manodopera ma, come ribadisce Cerone, «per verificare quanto appreso in aula», nella realtà succede molte volte che vegano messi a lavorare.

Lo ha riscontrato anche Fabio Moscatelli, ingegnere, titolare di uno studio di consulenza per la sicurezza nelle aziende. «Per essere in grado di formare chi si interfaccia per la prima volta con il mondo del lavoro l’azienda deve avere le capacità e le risorse per farlo, «in quanto si tratta di un investimento sul futuro. Conoscere e formare chi un giorno potrebbe diventare un dipendente comporta l’impiego di personale competente nel seguirlo. L’azienda si assume anche l’onere di completare la formazione dello studente sulla sicurezza, oltre le quattro ore di corso base già svolte a scuola», spiega Moscatelli. «In più i docenti tutor della scuola non sempre accompagnano realmente gli allievi durante l’alternanza (questo probabilmente accade anche perché in media ogni tutor si trova a seguire almeno 15 studenti contemporaneamente, ndr) accrescendo le responsabilità che ricadono sull’impresa. Infatti, molte decidono di non accogliere studenti o di farlo soltanto se chi arriva è già formato e se la scuola si fa carico dell’educazione completa sulla sicurezza, non solo del corso base, e della sorveglianza sanitaria quando è richiesta».

Così basta parlare con chi l’alternanza scuola-lavoro la vive ogni giorno – con gli studenti, i presidi e le aziende – per capire che gli strumenti chiamati in causa dal protocollo di intesa non saranno sufficienti a garantire la sicurezza e a porre fine allo sfruttamento. Sono necessari fondi e risorse da investire affinché per le imprese sia un reale stimolo accogliere gli studenti e la scuola possa tornare a essere un ente garante di qualità. E promuovere un cambio radicale di mentalità che influenzi anche il mondo del lavoro. Che ne ha bisogno.

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Per l’alternanza scuola-lavoro servono soldi e personale, non burocrazia ultima modifica: 2022-06-03T04:52:28+02:00 da
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