di Antonella De Gregorio, Il Corriere della Sera 3.5.2016
– Si parte con le prove di italiano per seconda e quinta elementare. I sindacati tentano il boicottaggio. Ricci (Invalsi) risponde alle critiche: «Test costosi? Solo un euro a studente. In tutta Europa si spende di più». Dal 2018 prove «computer based».
Invalsi, pronti via. Mercoledì 4 maggio, prove standardizzate di italiano per un milione e centomila alunni delle classi seconde e quinte della scuola elementare. Giovedì tocca a matematica. Il 12 maggio sarà la volta delle superiori, che dovranno rispondere ad un test di italiano, a uno di matematica e al questionario studente. Il 17 giugno, durante l’esame di Statogli studenti delle classi III del primo ciclo della scuola secondaria di primo grado dovranno sostenere una prova Invalsi d’italiano e una di matematica. In questo caso i risultati faranno media con le altre prove dell’esame finale. Alla fine, gli alunni coinvolti saranno due milioni e 200mila. Prove ancora «carta e penna», ma «si sta lavorando per somministrarle a computer dal 2018», dicono all’Invalsi.
Dieci anni di «quiz»
Il rito, previsto nell’ambito del Sistema Nazionale di Valutazione, si ripete da oltre dieci anni – dal 2009 nel formato attuale – e ogni anno è accompagnato da critiche e proteste: quest’anno i Cobas hanno convocato uno sciopero dei docenti della scuola primaria il 4 o il 5 (ogni scuola sceglierà il più efficace), e uno sciopero generale (cui aderiscono anche Gilda e Unicobas) per il 12 maggio, con manifestazioni nelle diverse città. Anche gli studenti si sono mobilitati per boicottare le prove. per ora con l’hashtag. L’obiettivo è misurare il grado di competenze raggiunto dagli studenti in due grandi aree: comprensione di un testo e padronanza della matematica in situazioni concrete; e fornire alle scuole dati confrontabili, che consentano di apportare migliorie al sistema didattico. Ma i molti fraintendimenti (dai costi della macchina organizzativa, al modello di prova a quiz, «tarata su soggetti medi, che va contro programmazioni e valutazioni individuali», dicono i detrattori) spaccano ogni volta il mondo della scuola in due: favorevoli e contrari. Lo scorso anno la partecipazione alle prove è stata più bassa degli anni passati, tanto che in alcune regioni, soprattutto per le superiori, i dati sono risultati, di fatto, poco attendibili. Ma nello stesso periodo in Parlamento si stava discutendo il ddl sulla Buona Scuola.
«La valutazione è un diritto»
«Quest’anno i fenomeni sembrano più contenuti – dice però Roberto Ricci, direttore di ricerca dell’area Invalsi -. Persistono sacche di polemica dove non si è capito che la valutazione è un diritto, non un dovere degli studenti. Insegnanti ostili all’innovazione hanno gioco facile a convincere gli studenti a non partecipare alla valutazione. Ma nel lungo-medio termine i ragazzi capiranno che non avere la possibilità di capire cosa sanno fare e cosa no, danneggia solo loro».
Istruzione di qualità
Quali sono i risultati più importanti emersi in dieci anni di test? «Che dove viene colta nel suo vero significato, la riflessione propositiva sulla didattica porta a una vera istruzione di qualità. E aiuta gli studenti a costruire un pensiero critico, a individuare i propri punti di forza e di debolezza».
Integrazione
Il rendimento al test è sovente in correlazione con lo status socio-economico… «È così – conferma Ricci -. E questo strumento dà la misura del peso che ha sullo sviluppo e sugli apprendimenti lo status socio-economico e culturale di provenienza». Così come, sostiene lo studioso, «dà la misura dell’integrazione e di come la si possa praticare positivamente: i risultati migliori si sono avuti negli anni passati dove la popolazione immigrata è più numerosa: in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna».
Un euro a studente
A formulare i quesiti per le prove sono circa 200 autori, per la maggior parte docenti di scuola primaria e secondaria e alcuni professori universitari. A far girare la macchina venti dipendenti dell’Istituto di Valutazione. L’Invalsi costa troppo? «No, l’Invalsi non costa troppo – dice Ricci -: Tutto compreso, dall’ideazione all’imballaggio e alla spedizione delle prove, un euro a studente». A chi contesta gli «sprechi», Ricci risponde con un confronto internazionale in Olanda, con un terzo della popolazione italiana, l’ente omologo lavora con 400 dipendenti e duemila consulenti. La Spagna spende nove volte l’Italia, con più di duecento dipendenti. «Tutta l’Europa ha sistemi per valutare le competenze», prosegue il dirigente. Non ne ha la Finlandia, dove le scuole funzionano benissimo… «Ma loro hanno un forte elemento di standardizzazione pre università: l’esame conclusivo delle superiori dura sei mesi ed è corretto in modo centralizzato ed estremamente rigoroso».