di Giovanni Ferrari, Educazione & Scuola, 10.2.2019
– “Siamo rivoluzionari proprio perché sappiamo che l’alternativa che il futuro riserva all’umanità intera è tra la rivoluzione per una società senza classi e una nuova guerra imperialistica, guerra in cui sarebbe perpetuato lo stato di cose presente come è già stato in passato”.
(Karl Marx)
PREMESSA:
“Histoire de la civilisation française“, é un saggio nato dalla collaborazione di due studiosi, storici francesi; Georges Duby docente di Storia Medioevo e Robert Mandrou docente di Storia Moderna, pubblicato in Francia nel 1958 e tradotto in Italia da Annamaria Nacci e Anna Grispo nel 2011.
L’opera é divisa in due tomi: 1 parte Medioevo-XVI secolo; 2 parte, XVI-XX secolo.
In questa opera, non si è voluta presentare la storia politica della Francia, bensì la società, le strutture dell’economia e i valori della vita morale e religiosa. Con La Rivoluzione francese, inizia un processo discontinuo ma irreversibile, che porterà all’abbattimento dell’Ancien Regime e all’affermazione di una società amministrata e diretta dalla borghesia, la cui ascesa é in seguito emancipazione, che consentiranno il passaggio dal feudalesimo al capitalismo; eventi politici e ricostruzioni storiografiche, storie di idee, di valori e di cambiamenti,
hanno avuto un impatto significativo nella Francia di cui si racconta, ma soprattutto una eco in tutta la storia mondiale e al di là di qualsiasi limite e circoscrizione cronologici.
Il tentativo di delineare una storia di cambiamenti rivoluzionari non è ovviamente esente da contraddizioni e problematiche caratterizzanti.
La Rivoluzione francese, al grido di “liberté, égalité, fraternité” segna una svolta decisiva, per la Francia e per la civiltà mondiale tout court. Ancora oggi la memoria collettiva porta con sé il blu, il bianco e il rosso di una bandiera, che ha saputo anche sporcarsi di sangue, a sacrificio del cambiamento.
Il 1789 è una data decisiva: è l’inizio della fine dell’Ancien Regime e dell’ascesa definitiva della borghesia. I borghesi pensano che il ruolo sociale abbia a che fare direttamente con il lavoro, che non sia più dato da privilegi ed eredità. La mentalità borghese è la prima mentalità rivoluzionaria contro un tipo di determinismo e di immobilizzazione sociali ed etici. Dopo secoli di assolutismo e di distacco reale tra potere e popolo, la Rivoluzione francese segna innanzitutto una svolta in relazione all’immagine stessa del potere.
Il 14 luglio del 1789, a seguito della proclamazione del Terzo Stato come Assemblea nazionale e poi come Assemblea costituente, il popolo parigino assale la Bastiglia: evento-simbolo della Rivoluzione. I rivoluzionari aboliscono i diritti feudali e nazionalizzano i beni ecclesiastici, stabilendo che siano venduti all’asta.
Il 26 agosto dell’ ’89 la Costituente approva la Dichiarazone dei diritti dell’uomo e del cittadino, che sancisce l’uguaglianza di tutte le persone dinnanzi alla legge, l’intangibilità del diritto di proprietà e il principio meritocratico come criterio di accesso alle cariche pubbliche. Nel febbraio del ’90 è approvata la Costituzione civile del clero, i sacerdoti francesi diventano funzionari pubblici a cui si chiede di giurar fedeltà, il clero si divide dunque tra coloro che giurano (“preti costituzionali”) e coloro che si rifiutano di giurare (“preti refrattari”).
Tra i cambiamenti fondamentali introdotti c’è, come già accennato, la fine dell’assolutismo regio.
Per quanto riguarda l’economia, si pongono le basi per uno sviluppo capitalista: soppressione dei monopoli e delle dogane interne, liberalizzazione degli scambi commerciali e abolizione di associazioni, padronali e operaie, considerate un ostacolo alla libera iniziativa.
Dopo il 1789, i francesi partecipano diversamente agli eventi rivoluzionari: i parigini sono in qualche modo protagonisti assoluti. In provincia, le masse popolari seguono con meno intensità gli avvenimenti e le modificazioni, manifestando una certa inconsapevolezza di fondo nelle scelte politiche. Al di là delle dovute differenze e contraddizioni, l’impatto è innegabile: tracce di una nuova presa di coscienza sono evidenti anche in esperienze artistiche e filosofiche. Un nuovo mondo è nato, non libero da pericoli reazionari.
Ritornando agli eventi, il 1792 sancisce la fine della monarchia con l’emergere dell’ala più radicale della Rivoluzione, quella giacobina. La Convenzione nazionale rompe ogni continuità col passato: la Francia diventa una Repubblica, il re Luigi XVI viene condannato a morte e decapitato.
Tra il 1792 e il 1793 il governo giacobino, sempre più nelle mani di Robespierre, esercita una politica fortemente centralistica, con il solo obiettivo di difendere ad ogni costo le conquiste della Rivoluzione: è il periodo del Terrore.
La speranza giacobina nella rigenerazione degli uomini e della nazione costituisce uno degli aspetti fondamentali del periodo della Rivoluzione. Ma nel luglio del ’94 Robespierre viene giustiziato e viene sancita la fine del Terrore.
L’interpretazione classica della Rivoluzione francese fa di essa una rivoluzione strettamente borghese: il vecchio mondo ha costretto la Rivoluzione ad un’alleanza con le masse popolari per vincere definitivamente la società feudale, facendo concessioni al popolo sul piano dell’uguaglianza e permettendosi la parentesi giacobina, ma solo per il tempo necessario a tornare sui propri binari e a completare la rivoluzione in corso. A questa visione, numerose sono le obiezioni mosse, soprattutto nei tempi più recenti: la Rivoluzione francese sembra aver tardato lo sviluppo capitalista più che averlo accelerato (come si vuol sostenere), d’altronde trasformazioni liberali sono avvenute in diversi Paesi senza bisogno di rivoluzioni o alleanze popolari per distruggere il feudalesimo, in fin dei conti il giacobinismo non è affatto una parentesi momentanea e secondaria, ma costituisce la vera anima della Rivoluzione. Si tratta di una scelta estremista, che ha seguito un progetto più culturale e politico che strettamente sociale.
Al di là dei differenti ed opinabili punti di vista, come è già stato ripetutamente messo in evidenza, la Rivoluzione francese nel complesso ha smosso qualcosa di secolare oltre ogni limite interpretativo.
Libertà ed uguaglianza sono le parole chiave del cambiamento.
“Gli uomini nascono e restano liberi e uguali nei diritti”, cita il primo articolo della Dichiarazione del 26 agosto 1789. Poco per volta, vengono definite le varie forme di uguaglianza: innanzitutto l’uguaglianza fiscale.
Il crollo del regime feudale significa anche uguaglianza civile: gli impieghi che prima erano riservati ai nobili (funzioni amministrative, carriere nell’esercito, eredità delle cariche, carriere giudiziarie…) saranno aperte a tutti. La soppressione del diritto di primogenitura permette l’eliminazione di altri tipi di disuguaglianze. La Rivoluzione consente ai francesi anche l’uguaglianza amministrativa: viene assicurata l’applicazione della stessa legge per tutti e dello stesso regime fiscale e penitenziario, da un capo all’altro del regno. Le città vennero riordinate in dipartimenti, cantoni, comuni e tutte benificiarono dell’applicazione della stessa legge, ad eccezione dei territori d’oltremare, in cui governava ancora la disuguaglianza politica tra gli indigeni e i colonizzatori.
La generosità dei deputati, tuttavia, fa delle esclusioni: essa non si estende ai territori d’oltremare, allora ancora francesi.
Fondamentale è pure l’istituzione dell’uguaglianza economica. Tuttavia, assodati i cambiamenti significativi, è inevitabile non notare che l’istituzione dell’uguaglianza finisce con l’essere una manifestazione di classe: questo è più che evidente in ambito politico, i corpi e le comunità privilegiate furono soppressi ed apparentemente i padroni e i “compagnons” durono messi sullo stesso piano.
L’istituzione dell’uguaglianza finì con essere una manifestazione di classe in quanto il quarto stato non poterva accedere agli impieghi amministrativi, riservati alla borghesia, tutto ciò é evidente nell’uguaglianza politica, poiché la costituente dopo aver proclamato la sovranità della nazione, divisa i cittadini in in “attivi” e “passivi”, in base ad un sistema censuario, giustificando tale esclusione con l’incapacità di9 questi ultimi di farne parte.
I costituenti respingono dal corpo politico almeno un terzo dei cittadini. Essi distinguono i cittadini in attivi e passivi, garantendo solo a questi ultimi la partecipazione alla vita politica.
La ricchezza è il solo criterio discriminante della capacità politica. La nuova società del XIX secolo è una società senza ordini, ma egualitaria più nei principi che nella realtà quotidiana: spariti i segni esteriori della superiorità, la borghesia continua comunque a condividere con i vecchi aristocratici una condizione di dominio.
La libertà, sancita dalla Rivoluzione, è innanzitutto una libertà negativa come esenzione da limiti esterni. Unico limite alla libertà è la libertà dell’altro: dunque, è la relazionalità stessa a sancire esercizio e limite della libertà. Nasce un tipo di società individualista, in cui lo Stato ha l’unico scopo di difendere l’esercizio eguale della libertà. La politica giacobina proverà, attraverso il suffragio universale, a realizzare una libertà intesa come forma di partecipazione: è con l’assistenza a poveri ed anziani, con il suffragio universale e con l’istruzione gratuita che attualizzerà il tentativo di fondare una democrazia reale.
Tuttavia, l’istituzione di una democrazia reale è impossibile da realizzare in un momento in cui la Rivoluzione sancisce il dominio borghese e un egoismo individualistico. I termidoriani reclamano le libertà che il governo di Robespierre ha dovuto accantonare, per difendere la patria dai nemici interni, come moderati e cattolici, e dai nemici esterni. Robespierre ha sospeso momentaneamente le libertà per difendere realmente le libertà. Ma tutta la politica termidoriana è un tentativo di rafforzare il potere della borghesia, con il prevalere di egoismi e rivalità, a danno dei principi democratici.
Numerosi progressi sono fatti in direzione della libertà di coscienza. Al di là dei cambiamenti a riguardo, che si avranno nel corso del tempo e con le spinte reazionarie e contro-rivoluzionarie, la Francia si fa indipendente da una singola e predominante confessione religiosa.
Infine, la fraternità, nella sua accezione universalistica o nazionalistica, pur favorendo la coesione sociale e la solidarietà internazionale, spesso si ritrova ad essere in contrasto con il principio di libertà e ad alimentare dunque guerre espansionistiche e a favorire totalitarismi di destra o di sinistra, finendo quasi per negare se stessa nella sua accezione universalistica.
La tappa napoleonica permette il trionfo definitivo della borghesia sull’Ancien Regime.
Il 18 Brumaio (10 novembre), Napoleone abbatte il Direttorio con un colpo di stato e il 24 dicembre istituisce il Consolato, nominandosi Primo Console. Egli intende creare un potere personale assoluto, non fondato tuttavia sui pilastri della monarchia borbonica, ma sul senso di unità nazionale consolidato dall’esperienza rivoluzionaria. Attraverso i plebisciti, Napoleone si fa nominare console a vita e poi imperatore dei francesi. Ciò che gli consente di fondare e di conservare un potere di questo tipo, a seguito di certi sconvolgimenti, è l’eccezionale carisma di cui gode. Si può dire, in qualche modo, che Napoleone, oltre ad essere il re-imperatore, è l’incarnazione degli ideali della Rivoluzione francese.
Napoleone riorganizza le finanze pubbliche e fonda la Banca di Francia.
Le minacce al suo potere gli vengono principalmente dai legittimisti e dai cattolici, più che dai giacobini: a favore dei primi fa numerose concessioni, escluso un ritorno borbonico al trono, per ottenere invece l’appoggio dei cattolici, riesce a stipulare un Concordato con la Chiesa, che spegne le rivalità accesesi ai tempi della suddetta Costituzione civile del clero.
La promulgazione del Codice civile è un aspetto assai rilevante dell’opera di Napoleone: una summa dei cambiamenti sociali ed economici avviati negli anni precedenti, ma limitati nelle loro estremità e piegati ad un progetto differente. Lo stato, la famiglia e la proprietà diventano il centro della società. Ancora una volta, l’uguaglianza è annunciata, ma di fatto smentita.
Nel 1804 la nobiltà imperiale può addirittura assicurarsi la trasmissione ereditaria.
Intanto, Napoleone tenta e, in parte, realizza l’egemonia francese in Europa. Ma la campagna di Russia è molto diversa da quelle finora condotte e si risolve in una ritirata disastrosa. Con la disfatta militare svanisce il sistema di sudditanza europea imposto dall’Imperialismo napoleonico e Napoleone è sconfitto a Lipsia nel 1813.
La caduta napoleonica avvia la restaurazione, ma in alcuni Paesi si salvaguardano le costituzioni liberali introdotte dalla Francia rivoluzionaria e nella stessa Francia ci si rende conto che ormai non si può tornare ad una piena restaurazione. Qualcosa è radicalmente cambiato.
Tra le preoccupazioni successive dei borghesi, una delle fondamentali riguarda l’istruzione.
Nel 1833 vi è la prima costituzione all’insegnamento primario e, con la legge Guizot, una minoranza delle giovani generazioni comincia ad andare a scuola, sotto il controllo del clero.
La borghesia francese è sempre più consapevole di avere un ruolo dirigente. Qualunque siano i successi posteriori, mai la borghesia ha avuto una visione così netta e così orgogliosa della propria autorità come gruppo sociale e la consapevolezza della propria vittoria sull’antica Francia.
La fase post-napoleonica è caratterizzata da un forte malcontento, da miseria e fame.
Ogni anno muoiono tanti francesi. La sconfitta di Waterloo e il tradimento continuano ad avere un forte impatto sull’immaginazione collettiva. Tra il 1846 e il 1847 falliscono le compagnie ferroviarie e quindi banche e finanziatori.
Carestie, aumento del prezzo del grano e crisi industriale e commerciale acuiscono il problema della miseria e della disoccupazione, inasprendo di conseguenza il malcontento sociale.
In questo contesto, fatto di squallore e frustrazione, prende avvio l’esperienza del romanticismo francese.
Esso ha, tra i suoi temi fondamentali, una forte protesta all’ascesa borghese ed è animato da un tentativo di rompere il razionalismo e il carattere quantitativo e calcolatore della nuova società.
Il capitalismo e la svolta borghese accentuano una reazione alla predominanza del calcolo e dell’opportunismo, in un mondo ormai fatto di interessi e lotte alla sopravvivenza, resi ancora più intollerabili dall’inevitabile miseria sociale: è in questo senso che il Romanticismo si appella per contrasto ad una rinascita del fantastico e della sensibilità.
L’irrazionalità e l’invocazione alle Muse combattono la loro sfida al pallore e alla mediocrità di un mondo ormai arido.
Il tentativo è quello di attualizzare un re-incantamento del mondo, che sfidi l’oppressione della logica capitalista e smorzi la delusione collettiva.
Da ciò ne consegue la presa di coscienza di un’alienazione dell’individuo dal proprio ruolo sociale, che porterà anche all’ avvento di nuove ideologie, ereditarie dell’esperienza giacobina: socialismo e comunismo.
Inoltre, l’impiego, sempre più fondamentale, di macchine consente sì un incremento di produzione e, allo stesso tempo, un’accelerazione del lavoro, ma rende sempre più superfluo il ricorso alle risorse umane e ridimensiona il ruolo svolto dal contributo dell’apporto individuale.
Una società, sempre più tecnicizzata e massificata, non può che rafforzare certe collere: è il tempo di un’alienazione sempre più invalidante, di una perdita del sé, all’interno di un sistema sostanzialmente totalitario e immobilizzante, mascherato però da democrazia.
L’individuo, privato di ogni potere decisionale, risulta essere asservito a élite economiche e politiche, che detengono il monopolio dei mezzi di comunicazione e il potere effettivo di controllo dell’opinione pubblica.
In questo clima, le campagne si evolvono lentamente. Più evidente che mai è la distinzione avvertita tra mondo di città e mondo di campagna. A dispetto della calcolabilità e dell’esattezza della vita cittadina, la campagna continua ad avere come suoi punti di riferimento la chiesa e la scuola. C’è tanta differenza nella mentalità tra il commerciante cittadino, che può avvalersi dell’informazione professionale, e il contadino che resta chiuso nei propri orizzonti. Ovviamente la causa di tale disparità non può che essere di carattere prima economico e poi sociale.
In questa non equa convivenza di città e campagna, Parigi, metropoli per eccellenza, continua a conservare un ruolo di primo piano per diversi aspetti: pur posizionandosi su un gradino distaccato, non può che influenzare la vita di provincia. Ovunque, come nella moda, si sente l’eco dell’eleganza parigina. Da capitale di Francia, Parigi è destinata ad essere capitale d’Europa, racchiudendo in sé tutte le tracce di una modernità, al tempo stesso, conquistata e sofferta. Parigi è la soglia in cui convergono forze rivoluzionarie e forze reazionarie, esaltazioni e malcontenti, arte pittoresca e arte fotografica, sguardi aperti al futuro e ingombranti nostalgie romantiche.
- Giovanni Ferrari:
Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Napoli “FEDERICO 2”
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Riflessioni sulla Rivoluzione francese ultima modifica: 2019-02-11T04:39:03+01:00 da