La maggioranza lavora a un maxiemendamento per appianare le divergenze con i detrattori del ddl. L’ipotesi fiducia sempre sul tavolo.
di Salvo Intravaia la Repubblica, 22.6.2015.
ROMA – Renzi lavora per portare a casa, da subito, “mezza” riforma della scuola. Per il resto se ne parlerà l’anno prossimo. Ecco il compromesso che potrebbe sbloccare il ddl.
La Buona scuola viaggia a vele spiegate verso la fiducia. I relatori del provvedimento Francesca Puglisi e Franco Conte stanno lavorando ad un maxiemendamento con l’obiettivo di trovare la quadra per salvare capra e cavoli: effettuare tutte le 100mila assunzioni previste dal provvedimento e varare anche la riforma, o almeno una parte di essa. Ma anche ricompattare il Pd attorno ad una riforma considerata dal premier, Matteo Renzi, strategica per il nostro Paese.
La settimana che sta per aprirsi è decisiva per le sorti del disegno di legge sulla Buona scuola: per martedì è stata convocata la commissione Cultura, dove si dovrebbe votare l’emendamento composto da un solo articolo con le modifiche definitive al testo, e giovedì potrebbe arrivare il voto a Palazzo Madama.
La fiducia dipenderà dalla disponibilità al dialogo della minoranza dem e delle opposizioni: se continuerà la guerra degli emendamenti – quasi tremila in commissione – l’unica strada sarà quella. Perché ancora le strade tra minoranza dem e sindacati da un lato e governo dall’altro lato sono divergenti: i primi chiedono lo stralcio delle assunzioni, da effettuare subito, dal resto della riforma; Renzi continua a dire che le assunzioni senza il resto della Buona scuola non hanno nessun senso. E’ possibile un compromesso? Quali sono le novità su cui si sta lavorando? Secondo le ultime indiscrezioni, le assunzioni si potrebbero anche fare tutte e 100mila dal primo settembre prossimo, ma soltanto sulla carta e ai fini giuridici. I beneficiari, a questo punto, avrebbero la certezza di essere assunti, ma la decorrenza economica e l’effettiva presa di servizio scatterebbe dal primo settembre 2016.
Un artificio per continuare, ancora per un anno, a nominare i supplenti annuali e fino al termine delle attività didattiche sottraendoli dalle grinfie del preside-sindaco, compresi i 60mila di seconda fascia che altrimenti verrebbero estromessi dalle assunzioni. In attesa di trovare anche per questi una soluzione in linea con la sentenza della Corte di giustizia europea che lo scorso mese di novembre ha condannato l’Italia per abuso di contratti a tempo determinato nella scuola.
Partirebbero dal prossimo anno anche gli albi territoriali e la chiamata diretta dei dirigenti scolastici, due punti nodali dello scontro politico. E tutte quelle novità – come ampliamento dell’offerta formativa all’elementare, alla media e al superiore – legate all’organico dell’autonomia. Ma una parte della riforma partirebbe tra poco più di due mesi. Un compromesso che potrebbe accontentare tutti e consentire al presidente del consiglio di portare a casa la riforma della scuola.
La Buona scuola comincerebbe ad esplicare i suoi effetti sin dal prossimo primo settembre per ciò che concerne il merito degli insegnanti – i 200 milioni stanziati per premiare maestri e prof meritevoli – per la valutazione dei neoimmessi in ruolo, attraverso il comitato di valutazione presieduto dal capo d’istituto, ma senza genitori e studenti, per l’alternanza scuola-lavoro – 400 ore nell’ultimo triennio per i ragazzi degli istituti tecnici e professionali e 200 ore per i liceali – e forse per i 500 euro di benefit per gli insegnanti, da spendere per l’aggiornamento culturale e professionali. Ma solo se la commissione bilancio darà l’ok.
Stesso discorso per la detrazione fiscale di una parte delle rette pagate dalle famiglie che mandano i figli nelle scuole paritarie e per lo school bonus: le donazioni liberali da parte dei cittadini alle scuole statali e paritarie.
Se queste, e poche altre novità soddisferanno i contendenti politici, allora la riforma della scuola targata Renzi-Giannini ricomincerà a camminare e potrebbe vedere la luce i primi di luglio. Se invece continuerà la battaglia in parlamento, Renzi dovrà utilizzare la leva della fiducia, non prima di avere alleggerito l’articolo 22 del provvedimento, con le deleghe al governo su diverse materie. Dieci deleghe complesse – alcune delle quali articolate in diversi punti – sono un po’ troppe. Col voto di fiducia, che azzererebbe la discussione parlamentare, il governo porterebbe a casa una legge e altrettante riforme in bianco che potrà formulare con semplici decreti, scavalcando ancora una volta l’iter parlamentare. Il presidente del Senato, Piero Grasso, ha già fatto sapere che sarebbe contrario all’uso della fiducia su un provvedimento di questa importanza. E lo stesso presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non ha mai nascosto il suo pensiero sulla stessa questione: non si può governare a colpi di fiducia.