di Alessandro Di Matteo, La Stampa 20.7.2019
ROMA. Niente scuola regionalizzata, nessuna assunzione diretta dei docenti, nemmeno un euro trasferito dallo Stato alle regioni per gestire autonomamente l’istruzione. Giuseppe Conte e il Movimento 5 stelle rifilano un altro schiaffo alla Lega, stavolta sull’autonomia regionale, dopo quelli sul caso dei presunti fondi russi al partito di Salvini. Il leader leghista ieri non si è nemmeno fatto vedere all’ennesimo vertice convocato per cercare un’intesa sulle richieste arrivate da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna e a difendere le ragioni dell’autonomia è rimasta solo la ministra Erika Stefani, affiancata dalla nea collega Locatelli e di fatto “circondata” da esponenti 5 stelle: oltre a Conte c’erano Luigi Di Maio, Riccardo Fraccaro, Laura Castelli, Stefano Buffagni, Marco Bussetti. Il risultato è uno stop alle richieste delle regioni sulla scuola che mette la Lega di fronte a un bivio. Appena giovedì scorso Salvini aveva affermato che si poteva «andare avanti» solo a condizione che M5S non si mettesse di traverso su «autonomia, riforma della giustizia e manovra», avvertendo: «Con tre no cambia tutto». La minaccia però non deve avere spaventato né Di Maio, né Conte e alla fine del vertice un autorevole esponente leghista commentava: «Conte fa solo quello che vuole Di Maio. Ne prendiamo atto».
Al vertice, Stefani ha trovato un muro: il premier ha appoggiato la linea M5S del no all’assunzione diretta dei docenti, facendo propria la tesi del rischio di incostituzionalità già sollevato nella riunione.
La sentenza della Consulta
Il premier ha ricordato la sentenza 76/2013 della Consulta, redatta dall’allora giudice costituzionale Sergio Mattarella. «Il personale è escluso dalla regionalizzazione – trapelava a riunione ancora in corso – il sistema di istruzione rimane unitario, non ci sarà nessun trasferimento di risorse dallo Stato alle regioni». Stop anche all’ipotesi di stipendi differenziati, che per i 5 stelle equivalgono alle “gabbie salariali”.
Un annuncio che ha fatto infuriare le due ministre leghiste al vertice, tanto che alla fine dell’incontro il premier Conte avrebbe richiamato lo staff di comunicazione M5S. Ma alla Lega non è piaciuta nemmeno la conferenza stampa dello stesso Conte alla fine del vertice, un «trionfalismo ingiustificato», dicono. Conte ha parlato di un «passo avanti notevole» e ha annunciato di portare l’intesa sull’autonomia «al prossimo Consiglio dei ministri», come promesso settimane fa. Ma è tutto da dimostrare che ci sarà un’intesa da portare in consiglio dei ministri. Il partito di Salvini deve anche fare i conti con i presidenti di Lombardia e Veneto, che dell’autonomia hanno fatto una bandiera. Durissimo il governatore del Veneto Luca Zaia: «E’ un’autentica presa in giro, la misura è colma. Se sarà vera autonomia firmo, sennò la rimando al mittente».
Zaia precisa che per lui il colpevole è solo il premier, «siamo delusi da Conte, non da Salvini». Ma il nuovo stop sull’autonomia mette inevitabilmente il ministro dell’interno davanti a un bivio, dopo l’ultimatum dei giorni scorsi. Lo scontro, a questo punto, si riapre sui soldi. Come spiega Stefani «L’autonomia funziona però se c’è quella finanziaria. Non accetteremo nessun compromesso». I soldi che le regioni più efficienti risparmiano devono rimanere sul territorio, per la Lega. Il fondo di perequazione chiesto da M5S a questo punto torna in discussione e il braccio di ferro al prossimo vertice, forse martedì, sarà su questo.
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