Scuola, il miraggio del tempo pieno: lo vorrebbe la metà delle famiglie, ma mancano i fondi

di Salvo Intravaia, la Repubblica, 3.2.2023.

Il 48,4% dei genitori ha chiesto di iscrivere i figli in classi dove la didattica dura fino al pomeriggio. Ma per soddisfare tutte le richieste servirebbero da 5mila a 6mila cattedre in più e una spesa tra i 150 e i 180 milioni l’anno in più. Così 50 mila bambini resteranno fuori

Le famiglie italiane chiedono al governo Meloni più tempo scuola per i loro figli. I primi dati resi noti dal ministero dell’Istruzione e del merito lo scorso 30 gennaio, a ridosso della chiusura delle iscrizioni per il prossimo anno scolastico, il 2023/2024, mettono in evidenza una realtà. Quasi metà dei genitori nostrani hanno richiesto di potere inserire i loro figli in classi di prima elementare a tempo pieno. Con lezioni dalle otto del mattino fino alle 16, mensa compresa. Ma, stando ai numeri disponibili, viale Trastevere lo assicura a una percentuale di famiglie inferiore. E per assecondare i desideri espressi da mamme e papà occorrerebbe uno sforzo economico in più, che al momento non è previsto.

I numeri

Secondo le tabelle pubblicate qualche giorno fa, il 48,4% delle famiglie ha chiesto di iscrivere i propri figli in classi dove le attività didattiche si protraggono fino al pomeriggio. In testa alla classifica delle richieste, col 67,5%, le famiglie che risiedono nella regione Lazio, seguite da quelle residenti in Toscana, Piemonte, Liguria ed Emilia-Romagna, tutte abbondantemente al di sopra del 60%. E dalla Lombardia al 59,6%. Ma, stando ai dati relativi al 2022, estrapolati dalle rilevazioni campionarie del test Invalsi, il ministero è in grado di assicurarlo a poco meno del 40% delle famiglie: il 39,2%. Il gap più alto si registra proprio nel Lazio, col 18% di differenza tra richieste e classi effettivamente attivate. Il divario tra domanda e offerta di tempo pieno a livello nazionale supera quindi il 9%: circa 50mila famiglie destinate a doversi accontentare di una formula ridotta: 24 ore, 27 o al massimo 30 ore a settimana. Per soddisfare tutte le richieste servirebbero da 5mila a 6mila cattedre in più per una spesa complessiva all’anno tra i 150 e i 180 milioni di euro. Che al momento non sono previsti in legge di bilancio per il 2023.

Le mense

Per accontentare tutte le famiglie che ne hanno fatto richiesta, non basta che il ministero dell’Istruzione e del Merito assicuri tutti i docenti di cui la scuola primaria necessita. Perché, per prolungare il tempo scolastico anche nei pomeriggi occorre che le singole scuole siano dotate di locali adeguati dove i piccoli alunni possano svolgere la refezione in maniera tranquilla e organizzata. Stando ai dati disponibili sul sito del ministero, infatti soltanto un terzo dei plessi scolastici sparsi in tutti gli angoli del Belpaese (più di 13mila) prevedono un apposito locale adibito a refettorio: il 32,9%. La restante parte ne è sprovvisto. Per questa ragione una delle missioni del Pnrr (il Piano nazionale di ripresa a resilienza) che dovrebbe traghettare l’economia italiana nell’era del post Covid, prevede un investimento di 400 milioni di euro che le singole regioni utilizzeranno proprio per costruire nuove mense scolastiche o per ristrutturarne di già esistenti al fine di incrementare il tempo pieno e per ridurre il divario infrastrutturale esistente al momento tra nord e sud del paese. In altri termini, un ruolo importante per andare incontro ai desiderata delle famiglie dovranno svolgerlo gli amministratori locali che dovranno portare a termine i progetti finanziati col Pnrr.

L’autonomia differenziata

Anche l’approvazione di ieri in consiglio dei ministri, adesso la palla passa al parlamento, del disegno di legge sull’autonomia differenziata svolgerà un ruolo non secondario sull’erogazione del tempo scuola nei diversi territori italiani. L’articolato, di sole 11 pagine e 10 articoli è piuttosto generico. Sindacati e addetti ai lavori sperano che la scuola resti fuori dal disegno politico che, attuazione dell’articolo 116 della Costituzione, potrebbe regionalizzare anche la scuola. Dopo l’approvazione della legge alla Camera e al Senato, un ruolo fondamentale lo svolgeranno le regioni che avanzeranno singoli progetti di autonomia differenziata al governo che le esaminerà e eventualmente le approverà in toto o con modifiche. Saranno le regioni, sembra di capire, che decideranno se inserire l’istruzione tra le materie per cui richiedere più autonomia. Fermo restando che nei singoli territori dovranno essere garantiti i Lep (i livelli essenziali delle prestazioni) e i relativi costi e fabbisogni standard, che verranno determinati con uno o più decreti del presidente del consiglio dei ministri, secondo le disposizioni contenute nell’ultima legge di bilancio approvata dal parlamento.

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