Alla “questione scuola” nell’emergenza Covid-19 si potrebbe dare un titolo shakespeariano: tanto rumore per nulla. Sono state chiuse per prime, a fronte di una presunta preoccupazione per la salute di alunni e docenti; eppure alcune verranno riaperte, anche nelle zone a rischio, senza che si sia ancora pensato ad un protocollo specifico per continuare a tutelare chi vi entrerà. Tante chiacchiere, nessun rispetto per il futuro dell’educazione.
Le scelte di governance della scuola al tempo del Coronavirus non devono essere identiche nei diversi territori, perché la diffusione del virus non è stata la stessa in tutte le regioni. Per questo occorre pensare ad un’articolazione differenziata delle modalità della riapertura, sulla base dell’effettivo rischio epidemiologico.
Sappiamo che la Lombardia è la regione più colpita; che da oltre un anno non ha, perché scaduto, un piano di prevenzione delle malattie comunitarie; e che non possiede un servizio sanitario territoriale efficace, avendo centralizzato negli ospedali sia le attività di prevenzione che quelle di cura. Pertanto le proposte per la riapertura delle scuole in Lombardia non possono essere analoghe a quelle dei territori in cui il rischio è ormai pressoché uguale a zero e in cui la medicina di base è stata in grado di contenere l’epidemia.
Appare evidente che i numeri dell’emergenza sono correlati alla capacità/incapacità della medicina diffusa sul territorio. In Lombardia, lo smantellamento sistematico della medicina di base, esito di scelte politiche finalizzate al risparmio economico a danno dei cittadini contribuenti, pervicacemente perseguite da Formigoni, Maroni, Fontana, ha generato l’incapacità di contenere la diffusione del virus. Il tracollo della sanità pubblica a vantaggio dei dividendi dei privati ha provocato migliaia di morti e una diffusione del contagio di cui ad oggi non abbiamo contezza perché manca un piano di “testing, tracking, treatment”.
Per questo motivo, all’approssimarsi della riapertura, la responsabilità della prevenzione non può essere scaricata sulle scuole autonome, prive di strumenti e di competenze specifiche. Occorrono protocolli nazionali concordati con le regioni. Regione Lombardia deve assumersi le responsabilità che le competono e invertire la rotta, nell’interesse di tutti: cittadini, famiglie, studenti, personale scolastico.
Prioritariamente è necessario rendere operativa la figura del medico competente e ripristinare in ogni scuola il servizio di medicina scolastica, con la figura dell’assistente sanitario ai fini della prevenzione e dell’educazione sanitaria (peraltro non finalizzata al solo Covid), servizio irresponsabilmente e insensatamente smantellato per le citate motivazioni di contenimento della spesa regionale.
Occorre realizzare un’alleanza tra tutte le componenti della comunità scolastica (famiglie, studenti, docenti, dirigenti, personale ATA), che devono pretendere garanzie prima della riapertura dei plessi; il Ministero dell’Istruzione deve assicurare che tutto il personale e gli studenti saranno testati, tracciati e trattati. Soprattutto non è pensabile utilizzare i docenti delle Commissioni di maturità e i docenti delle scuole dell’infanzia come “cavie” della ripartenza in assenza di protocolli certificati, regionali e nazionali.
La scelta ministeriale di far svolgere in presenza l’esame di maturità anche nei territori più colpiti appare irresponsabile, a maggior ragione alla luce del documento dell’INAIL sul contenimento del contagio nei luoghi di lavoro e sulle misure di prevenzione, licenziato ad aprile 2020, che considera soggetti fragili tutti i lavoratori over 55. L’età media dei docenti italiani è alta (circa 49 anni) e gli over 55 rappresentano ben il 33%1, dato che mette a rischio l’insediamento delle commissioni.
Per questo è auspicabile che il Ministro valuti l’opportunità di far svolgere l’esame di maturità online, analogamente a quanto sta avvenendo per gli esami universitari e la discussione delle tesi. Una proposta fattibile è quella di insediare la commissione in presenza nelle sole persone del Presidente (che fa domanda e quindi è volontario) e del Segretario (che dovrà essere under 55), dotandoli dei dispositivi di sicurezza, con commissari e candidati connessi da remoto.
Analogamente occorre considerare che anche la scuola dell’infanzia ha un corpo docente che, per ragioni anagrafiche, necessita di tutela; inoltre appare irrealistico contenere il contagio tra bambini piccolissimi ricorrendo a mascherine, distanziamento sociale, turnazioni. L’ipotesi di riaprire prioritariamente questo grado scolastico anche nei territori più colpiti, con la motivazione di consentire il rientro al lavoro delle madri, si scontra con la concezione, frutto di anni di impegno educativo, che riconosce alla scuola dell’infanzia lo status di servizio scolastico e non di servizio socio-assistenziale. Questa proposta, se non vincolata a un protocollo di eliminazione del rischio, ripropone l’idea della scuola dell’infanzia come “babyparking”.
A fronte del pericolo concreto di una ripresa della diffusione del contagio in assenza di misure idonee di prevenzione, risulta folle che le scuole lombarde non abbiano ancora ricevuto dal Ministero dell’Istruzione linee-guida operative per la prevenzione sanitaria e da Regione Lombardia indicazioni concrete per l’effettuazione dei test. Del resto, l’Assessorato alla sanità ha consentito l’effettuazione dei test sierologici solo privatamente, con il rimborso riservato ai positivi. Questa scelta non promuove la prevenzione, risulta piuttosto un deterrente.
Il Covid ha reso evidente che nella piccola patria padana la salute dei cittadini non è un diritto, ma un bene dipendente da logiche mercantili. Anche dalle scuole deve partire la richiesta di un approccio diverso, che metta il benessere delle persone al centro delle scelte politiche e istituzionali.
1Dati OECD, “Education at a glance 2019”