di Claudio Tucci, Il Sole 24 Ore, 6.1.2020
– Per gli stipendi dei professori niente aumenti a tre cifre. Oggi solo 80 euro lordi in più –
Per rinnovare il contratto dei circa 800mila professori italiani, in manovra, la dote si ferma a 812,63 milioni di euro nel 2020 e a 1.670,12 milioni dal 2021, a regime.
Ciò comporta, secondo i primissimi calcoli dei tecnici del Miur, aumenti mensili medi per i docenti di circa 80 euro lordi a regime, distanti, quindi, dagli incrementi “a tre cifre” (vale a dire almeno 100 euro al mese) promessi nelle settimane scorse (in primis, ai sindacati) da Lorenzo Fioramonti (e prima di lui già da Marco Bussetti).
Non solo. La legge di Bilancio, appena approvata dal Parlamento, non inietta fondi aggiuntivi, significativi, neppure al capitolo università e ricerca: l’Ffo, vale a dire il Fondo per il finanziamento ordinario degli atenei, ad esempio, crescerà di soli 5 milioni nel 2021 (niente nel 2020) e di 15 milioni nel 2022; fondi giudicati del tutto insufficienti dai rettori che, infatti, a ridosso di Natale – spiazzando, peraltro, lo stesso Fioramonti – hanno pesantemente criticato la manovra (e indirettamente l’operato del ministro), parlando di «ennesima penalizzazione» per il settore, a danno «dei giovani».
Il titolare dimissionario dell’Istruzione, ancora prima di insediarsi al dicastero di viale Trastevere, aveva chiesto almeno tre miliardi per scuola e università- ricerca; pena, ha ribadito in diverse interviste, le sue dimissioni. Che, a legge di bilancio varata, sono infatti puntualmente arrivate.
Il budget per la “conoscenza”
Ma quanto in manovra è stanziato per l’intero comparto della “conoscenza”? Elencando le singole misure il conto complessivo, senza considerare gli interventi su edilizia pubblica scolastica e universitaria, ammonta, nel 2020 a circa 1,5 miliardi; che diventano quasi 2,5 miliardi nel 2021 e 2,6 miliardi nel 2022. Si tratta di cifre non proprio scontate visto l’attuale quadro di finanza pubblica (peraltro, lo stesso titolare del Mef, Roberto Gualtieri, ritiene l’education un settore fondamentale), ma comunque distanti dai 3 miliardi indicati come «linea minima di galleggiamento» da Lorenzo Fioramonti.
Ammettendo che la motivazione dietro la decisione del ministro di lasciare il governo sia di natura “economica”, cioè lo scarso finanziamento al settore, e non invece più prettamente politica, vale la pena ricordare come, in Italia, siano ormai anni che i fondi all’Istruzione sono ai minimi termini.
Ultimi per investimenti nella scuola
Lo ha ricordato, di recente, perfino l’Ocse, nel rapporto «Education at a glance 2019»: per finanziare la lunga filiera che va dalla scuola primaria all’università, infatti, il nostro Paese investe più o meno il 3,6% del suo Pil contro il 5% di media Ocse. Con una forbice che cresce mano mano che il livello d’istruzione sale. Alle elementari, ad esempio, la spesa italiana per studente ammonta a 8.000 dollari; alla secondarie sale a 9.200 dollari (-6% della media Ocse); per arrivare agli 11.600 dell’università(-26%). In un contesto generale che ha visto l’esborso per la scuola diminuire del 9% tra il 2010 e il 2016 laddove gli studenti sono calati, rispettivamente, dell’8 e dell’1 per cento. Il punto, però, è che per la scuola si continua a spendere male, visto che quasi il 90% del bilancio del Miur serve a retribuire il milione e più di dipendenti. Per l’università, invece, occorre uno scatto di reni, che, come riconosce lo stesso Fioramonti, pure in questa manovra non c’è stato.
Rinnovo del contratto: mancano 500 milioni
L’assenza di risorse pubbliche aggiuntive si farà sentire subito sul rinnovo del Ccnl 2019-2021 del maxi settore Istruzione e ricerca: per garantire gli aumenti “a tre cifre” sono necessari intorno ai 2,2 miliardi. Al momento, ce ne sono, a regime, circa 1,7 miliardi; all’appello, pertanto, mancano altri 500 milioni. Non a caso, le prime reazioni sindacali – all’annuncio delle dimissioni del ministro Fioramonti – sono di preoccupazione, considerando che a gennaio risultano in calendario i primi incontri proprio sul rinnovo del contratto.
I fronti aperti
Il passo indietro dell’esponente “grillino” lascia aperte una serie di questioni urgenti: a febbraio è prevista l’emanazione dei bandi di concorso per oltre 48mila docenti; ci sono poi le operazioni propedeutiche all’avvio del nuovo anno scolastico, con l’apertura dal 7 gennaio delle iscrizioni alle prime classi; per non parlare della programmazione degli organici, delle operazioni di mobilità (i sindacati contestano il vincolo di permanenza quinquennale per i prof neo assunti), della scelta delle materie della seconda prova della maturità 2020 (che peraltro quest’anno cambierà ancora).
Sull’università c’è da definire la nuova tornata di valutazione. Lo stesso Miur, del resto, rischia la paralisi: Fioramonti ha appena avviato la riorganizzazione del ministero (oggi scadono i termini per le candidature alle direzioni generali). Anche qui, si fermerà tutto in attesa del nuovo ministro.
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