di Caterina Giojelli, Tempi, 10.1.2023.
L’intero sistema di istruzione pubblica di Seattle trascina le big tech (da Meta a Google) in tribunale accusandole di avvelenare coi loro algoritmi i ragazzi. Crescono anche i contenziosi avviati da migliaia di genitori di figli depressi, anoressici o che si sono uccisi
Istruzione in rivolta contro le big tech: le scuole pubbliche di Seattle hanno intentato una causa contro Meta (proprietaria di Facebook, Instagram, WhatsApp), Google (YouTube), TikTok (della società cinese ByteDance), Snap (che controlla SnapChat). Lo hanno fatto depositando il 6 gennaio scorso un corposo documento di 91 pagine presso il tribunale distrettuale degli Stati Uniti.
Non era mai accaduto che le istituzioni educative di un’intera città si coalizzassero contro i giganti dei social media: stiamo parlando di circa cento scuole, frequentate da cinquantamila studenti, numeri che danno peso alle oltre 150 cause intentate negli ultimi due anni da circa 1.200 famiglie americane contro i proprietari delle piattaforme, una dozzina delle quali dopo aver seppellito un figlio.
La rivolta delle scuole di Seattle contro i social network
L’accusa è precisa: «Gli imputati hanno sfruttato con successo i cervelli vulnerabili dei giovani, agganciando decine di milioni di studenti in tutto il Paese attraverso un circuito vizioso di risposte positive sui social media che porta all’uso eccessivo e all’abuso delle piattaforme. Peggio ancora, il contenuto che gli imputati propongono e indirizzano ai giovani è troppo spesso dannoso e teso allo sfruttamento per interessi economici», si legge negli stralci del documento anticipati da Abc.
«Dipendenza», «avvelenamento delle menti»: non usano mezzi termini le scuole americane giunte alla resa dei conti con la dissoluzione dei legami, i danni del lockdowne non da ultimo dello spietato algoritmo utilizzato in particolare da Meta per diffondere discordia tra gli utenti, enfatizzando le posizioni più estreme, e così massimizzare i contatti e il tempo trascorso sulle piattaforme. Ricordate lo scandalo che travolse il social nework scatenato dalle inchieste del Wall Street Journal e dalle rivelazioni a 60 Minutes della Cbs l’ex dipendente di Mark Zuckerberg, Frances Haugen, sui cosiddetti “Facebook Files” in cui erano ben riportati studi interni sui danni psicologici seri causati da Instagram alle ragazze più giovani? Dai documenti condivisi internamente c’era la prova di come la piattaforma per immagini spingesse i più giovani a sentirsi poco attraenti, in una continua comparazione sociale con gli altri utenti. In altre parole la big tech sapeva cosa stava facendo, ma limitandosi a introdurre controlli parentali sulle sue app si era trincerata dietro il Communication Decency Act, che sgrava le aziende online dalla responsabilità derivata da ciò che gli utenti di terze parti pubblicano sulle loro piattaforme.
Dall’educazione in classe alla prevenzione sui social
Una legge che le scuole di Seattle hanno deciso di prendere per le corna: nessuno sostiene che gli imputati siano responsabili «per ciò che terzi hanno detto sulle loro piattaforme», ma della loro stessa condotta: «Gli imputati raccomandano e promuovono affermativamente contenuti dannosi per i giovani, come contenuti pro-anoressia e disturbi alimentari».
Nelle 91 pagine si sottolinea l’aumento esponenziale in età scolastica di ansia, depressione, problemi psicologici acuiti dalla dipendenza da social, problemi con il cibo, cyberbullismo; in dieci anni, tra 2009 e 2019 è aumentato del 30 per cento il numero di ragazzi che si dichiara «tristissimo», «senza speranza» per lunghi periodi. Tutto ciò, secondo le scuole di Seattle, ha ostacolato l’istruzione dei ragazzi in classe e costretto gli insegnanti a chiedere il costante e continuo supporto di professionisti della salute mentale, sviluppare piani didattici alternativi e paralleli sui danni dei social media, nonché a formare l’organico sul tema. Risarcire i danni, pagare per la prevenzione e le cure necessarie, causate dall’uso eccessivo e problematico dei social media: questa la prima richiesta delle scuole decise a tornare ad adempiere alla loro missione educativa e non solo di “tamponamento” dei danni causati dal web.
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