Se i «100 e lode» del Sud bocciano i test Invalsi come metodo per valutare gli studenti

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di Giuliano Laccetti, Il Sole 24 Ore, 21.8.2018

– Puntuale come tante altre notizie di stagione: “a luglio caldo e afa: pericolo per bambini e anziani”; “traffico da bollino nero per partenze (o rientri, ndr) dalle vacanze”; “pochi acquisti nonostante i saldi. I commercianti: rischiamo la chiusura”; ecc …, ecco, ennesima volta, notizia e annessa polemica critica: troppi voti alti, altissimi (il massimo, 100 e 100 e lode adesso, 60/60, ai miei tempi) agli esami di maturità al Sud, molti meno al Nord.
E difatti “Il Sole 24 Ore” non si lascia sfuggire l’occasione, stavolta con un intervento di Giorgio Allulli , autorevole ricercatore dell’Isfol, esperto di formazione professionale, con particolare attenzione alla valutazione.

Il divario
Scrive Allulli: «… in Puglia il 10,8% dei ragazzi ha preso 100 o 100 e lode agli esami, in Calabria il 10,7%, in Campania l’8,4%, Al contrario in Veneto solo il 6% ha ottenuto questi risultati, in Piemonte il 5,3%, in Lombardia il 4,3%. Complimenti a questi studenti. Peccato che da molti anni a questa parte i risultati delle prove standardizzate nazionali distribuite dall’Invalsi indichino esattamente il contrario. Cioè esiste un forte divario di competenze linguistiche e matematiche, ma a favore degli studenti delle scuole del Nord, e del Nord-est in particolare. Indicazioni che sono puntualmente confermate anche dagli esiti delle prove standardizzate distribuite dalle organizzazioni internazionali come l’Ocse e la Iea».
Non deve neanche dirlo esplicitamente, Allulli, ma secondo lui le prove Invalsi (e Ocse-Pisa) sono veritiere, gli esami di maturità no. Gli studenti del Nord sono sicuramente più bravi di quelli del Sud. Allulli dixit.

L’affidabilità dei voti
Incredibile! (E ha pure dimenticato che le prove Invalsi, se non sbaglio da quest’anno, oltre a italiano e matematica, riguardano anche l’inglese!). Senza neanche un dubbio, un “caveat”, una riflessione, si stabilisce, in sequenza: i test Invasli (e Ocse-Pisa) misurano bene la qualità degli studenti; gli studenti del Sud non possono che essere meno bravi di quelli del Nord; gli insegnanti del Sud premiano incapaci; è una ingiustizia.
Non serve che altri autorevoli accademici, come il professor Gianfranco Viesti, (curatore tra l’altro di un imponente studio sul declino dell’università, e di un più agile saggio sulle politiche “contro” l’istruzione universitaria [1,2]), si chiedano: ma sono di manica larga gli insegnanti al Sud, o, chissà, non sono davvero bravi gli studenti del Sud [3]? Io, in aggiunta, mi chiedo: un voto più “basso” perché dovrebbe essere garanzia di maggiore “severità” e addirittura di maggiore “qualità” complessiva? Nessuno mi ha mai risposto.

Il Sud “sbagliato”
Ovviamente, nell’immaginario collettivo è sempre il Sud quello “sbagliato”, dove gli insegnanti, in preda al familismo amorale, premiano gli studenti “incapaci” con voti alti.
I test Ocse-Pisa e i test Invalsi, dice Allulli, mostrano (a mio avviso “fotografano”, cioè fermano un attimo di una formazione culturale) una realtà diversa, dove sono gli studenti del Nord ad avere punteggi migliori (di gran lunga) di quelli del Sud, in particolare di alcune regioni (come la Sicilia o la Calabria). Di qui, davvero stupefacente, ma, ripeto, abituale e ormai garantita, levata di scudi di soliti moralizzatori sui media, (pseudo)politici e presidenti e assessori regionali (del Nord, Lombardia e Veneto in testa, ma anche di Piemonte ed Emilia Romagna, di tutt’altra parte politica), che chiedono “giustizia” per i “loro” studenti, che verrebbero così danneggiati in concorsi, premi, scelte di università, e altro.
La tesi, riassunta sinteticamente, ormai più e più volte ripetuta, anche da Allulli, è che se gli studenti del Sud hanno voti più alti nella maturità, e quelli del Nord ottengono risultati migliori nelle prove Ocse-Pisa ed Invalsi, le valutazioni degli esami di Stato non sono veritiere poiché poco attendibili al confronto con l’affidabilità di prove standardizzate, uguali in tutta Europa (e in tutta Italia).
In primis, in maniera apparentemente banale, ma sicuramente coraggiosa ed in controtendenza con “l’andazzo governativo”, culturale, dei media e altro, il professor Eugenio Mazzarella scrive [4]: «Il presunto differenziale negativo di preparazione non viene tirato in ballo per sostenere la necessità di politiche scolastiche perequative … che significherebbe … più risorse al Sud, ma per tutelare i poveri maturandi del Nord, danneggiati dai più facilitati colleghi del Sud».

Metodologie diverse
Ancora. A mio modesto avviso si ha una mal riposta, esagerata, fiducia in quegli strumenti di rilevazione acriticamente ritenuti più oggettivi e sicuri rispetto alla maggiore arbitrarietà valutativa delle prove d’esame. Ricorda Viesti, ancora, che le prove Invalsi (e Ocse-Pisa), aggiungo, leggermente diverse, anche per popolazione sottoposta ai test, ma sostanzialmente simili, basandosi entrambe sul metodo di Rasch [5, 6]) e quelle della maturità valutano cose diverse, con metodologie diverse, con criteri di valutazione diversi. Le performances degli studenti del Nord alle prove Invalsi sono migliori di quelle del Sud: ma tali prove coinvolgono gli studenti del secondo anno della scuola media superiore (ben tre anni prima della maturità), si focalizzano essenzialmente su italiano, matematica ed inglese. Tutt’altra cosa, come noto, rispetto all’esame di maturità.
Tale esame si svolge tre anni dopo (gli studenti potranno essere migliorati e “maturati”? O no?), e riguarda oltre alle tre citate, all’incirca, altre dieci materie; ci sono inoltre, appunto, studenti più “maturi”, con tre anni di studio in più. C’è un elaborato scritto, frutto di conoscenza, riflessione, elaborazione dello studente, c’è da valutare un percorso di studi di 5 anni, c’è infine un colloquio faccia a faccia tra studente e commissione, che verte su tanti aspetti, di conoscenze e, appunto, di “maturità”.

E ancora. Secondo Federica Roccisano, ex-assessore della Regione Calabria, è bene ricordare il ruolo degli insegnanti meridionali che operano in contesti in cui la scuola può anche essere più formativa della famiglia e dove per rafforzare la fiducia degli studenti nei confronti dell’istituzione scolastica non è facile puntare su strutture attraenti o su dotazioni sportive ottimali come avviene in molte scuole delle regioni del Nord. E per loro il contrasto alla dispersione scolastica è vitale, come tutte le lotte alle illegalità che si combattono quotidianamente al Sud.

Le reazioni
Invece cosa scriveva, solo pochi anni fa, Anna Maria Ajello, presidente dell’istituto Invalsi? Caldeggiava un “decreto” (addirittura!) sulla valutazione che dovrebbe introdurre la prova Invalsi alla maturità. «Così faremmo piazza pulita di questo problema: una prova unica, da Nord a Sud, svolta e corretta a computer, che darà risultati certificati e uniformi, più obiettivi». Riflettiamo su quello che accade. Su quello che da decenni, governi di ogni colore, stanno portando avanti nel delicatissimo campo dell’istruzione, della università, della ricerca. In sintonia proprio con la Confindustria, e con il presidente della Fondazione Agnelli: Andrea Gavosto non ha dubbi rispetto alla poca affidabilità dell’esame di maturità che non consente la confrontabilità degli esiti a livello nazionale. «Alle commissioni è lasciata eccessiva discrezionalità nella valutazione»; le università si fidano poco di questi giudizi e le aziende non danno più peso al voto di maturità. «Così l’esame serve a poco, in primo luogo agli studenti. L’unica strada per riformarlo è fare come in altri paesi europei, dove esistono prove standardizzate e criteri di correzione e valutazione comuni a livello nazionale». Ci stiamo avviando verso una università, e ora anche una istruzione secondaria, Confindustria-driven?

Prove Invalsi da rivedere
Aggiungo, e bene lo hanno in mente Viesti e Mazzarella, ad esempio, che c’è il rischio (non voglio parlare di disegno preciso, anche se sembra essere proprio così, viste le politiche che si perseguono), di affossamento dell’istruzione pubblica (secondaria e terziaria) al Sud, e finanziamento di poche eccellenze, per la stragrande maggioranza concentrate nel Nord Italia.
Non abbiamo bisogno di poche scuole o atenei di eccellenza, ma di moltissime buone scuole e atenei, in modo che la qualità dell’istruzione sia “diffusa” su tutto il territorio nazionale.
Ma torniamo al merito della discussione. Se – se ne può discutere – l’esame di maturità o come si chiama adesso, andrebbe rivisto, anche le prove Invalsi e Ocse-Pisa meriterebbero una “revisione” e “rivisitazione” (esiste una significativa ed estesa letteratura scientifica che ne mette in forse i fondamenti epistemologici, le metodologie impiegate, l’affidabilità dei risultati [6, 7, 8]). Nel dibattito ha espresso con efficacia questo punto di vista il pedagogista Benedetto Vertecchi, in una intervista a “La Repubblica”, chiarendo come «valutare serve se mi aiuta a capire qualcosa di più: le potenzialità di un ragazzo, come è cambiato per effetto della scuola e dei rapporti sociali. Bisogna migliorare le conoscenze sull’evoluzione del profilo culturale degli allievi. Di questo, invece, non ne abbiamo la minima idea. Per esempio, non sappiamo nulla del bagaglio di competenze verbali dei ragazzi». Aggiungendo, poi, che l’Ocse è una organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e produttivo, non ha quindi fini ed obiettivi didattici, pedagogici, valutativi in questo senso, ma appunto interessi ed obiettivi di “education” centrati sullo sviluppo economico, sul “mercato”.

Drew Faust, rettrice della prestigiosa Harvard University, nel 2015, chiedendosi se il modello del mercato sia ormai divenuto il parametro fondamentale dell’istruzione, concludeva dicendo: «L’istruzione … può offrire agli individui e alle società un’ampiezza e profondità di visione che non esiste nella miope contemplazione del presente. Gli esseri umani hanno bisogno di sentimento, comprensione e prospettiva almeno tanto quanto di lavoro. Il problema non è se, di questi tempi, possiamo permetterci di credere in questi obiettivi, ma se possiamo permetterci di non crederci».

“Imitando” un memorabile “speech” di Bob Kennedy, che trattava di Pil[9], W. Ayers scrive [10]: «I test standardizzati non possono misurare l’intraprendenza, la creatività, l’immaginazione, il pensiero concettuale, la curiosità, lo sforzo, l’ironia, il giudizio, l’impegno, le sfumature, la buona volontà, la riflessione etica, o una serie di altre tendenze e attributi preziosi. Ciò che essi misurano e considerano sono abilità isolate, fatti e funzioni specifiche (l’abilità di saper rispondere a quel particolare tipo di test, aggiungo io, ndr), cioè gli aspetti dell’apprendimento meno interessanti e meno significativi».

Per quanto riguarda le prove Invalsi, poi, e le prove standardizzate in genere, e la valutazione esclusivamente “numerica” e “parametrica”, ci sono opinioni secondo le quali «… test … con un peso eccessivo sulla carriera di studenti e insegnanti determinano il rischio di “teaching to the test”, ovvero focalizzare l’attività di insegnamento sul superamento del test (“andare bene” ad un test Invalsi dimostra che l’esaminando … sa fare bene un test Invalsi, niente altro! ndr). Dunque l’utilizzo dei test, pur così diffuso, non è affatto semplice e scontato; tuttavia, tenendo presenti alcune precauzioni, il loro impiego costituisce un potente strumento a disposizione degli insegnanti e degli amministratori scolastici per migliorare la qualità della scuola». Beh, una opinione del genere potrebbe essere parzialmente accolta, proprio perché sottolinea i rischi, suggerisce “caveat”: sapete di chi è questa opinione, apparentemente ponderata , ragionevole, “discutibile”, nel senso che se ne può discutere? di Giorgio Allulli!

Si può essere in parte d’accordo, dicevo: i test Invalsi e Ocse-Pisa non misurano la preparazione degli studenti, le loro competenze, le loro capacità; possono servire, in maniera complessiva, a dare indicazioni nazionali, ad esempio, su “dove”, in quali contesti geografici, sociali, economici, e altro, l’istruzione pubblica deve intervenire per migliorare la qualità appunto della scuola e dell’istruzione. Con programmi ed interventi che costano, per aumentare la qualità, non per “punire” i presunti “meno bravi”!


[1] Viesti G. (a cura di), “Università in declino. Un’indagine sugli Atenei da Nord a Sud”, Donzelli, 2016.
[2] Viesti G. “La laurea negata”, Laterza, 2018.
[3] Viesti G., “Come raccontare i tanti 100 e lode”, Il Mattino, 17 agosto 2016, http://www.pressreader.com/italy/il-mattino-caserta/20160817/282630327054360, 2016.
[4] Mazzarella E., “Perché la protesta dei prof del Sud viene bollata come piagnisteo?”, Corriere del Mezzogiorno, 16 agosto 2016, http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/scuola/16_agosto_16/perche-protesta-prof-sud-viene-bollata-come-piagnisteo-226df916-638d-11e6-addc-c76dce7e53cd.shtml, 2016.
[5] Delfino M.G, E. Rogora, “Il metodo di Rasch per l’analisi dei test a risposta multipla”, http://www1.mat.uniroma1.it/people/rogora/delfino/SeminarioDelfino.pdf, 2010.
[6] Rogora E., “I test Invalsi sono scientificamente solidi?”, www.roars.it/online/il-modello-di-rasch, 2014.
[7] Alexander R., “How accurate is the Pisa test?”, BBC News, www.bbc.com/news/magazine-25299445, 2013.
[8] 7 AA.VV., “OECD and Pisa Tests Are Damaging Education Worldwide”, The Guardian, 6 maggio 2014, www.theguardian.com/education/2014/may/06/oecd-pisa-tests-damaging-educationd-academics, 2014.
[9] Kennedy, R.F., “Discorso all’Università del Kansas”, 18 marzo 1968, http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2013-03-13/kennedy-misura-tutto-eccetto-110557.shtml?uuid=Aby2VadH , 1968.
[10] Ayers W., “To teach: the journey of a teacher”, Columbia University, NY, Teachers College Press, 1993.

Giuliano Laccetti, Ordinario di Informatica all’Università degli studi di Napoli Federico II

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Se i «100 e lode» del Sud bocciano i test Invalsi come metodo per valutare gli studenti ultima modifica: 2018-08-22T06:17:17+02:00 da
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