di Enrico Galiano, Il Libraio, 11.7.2019
– “Se hai un insegnante con la vocazione, serio, motivato, se sei in una classe con pochi studenti e con il minimo indispensabile come spazi e strumenti: bene. Se no ti attacchi”. Su ilLibraio.it Enrico Galiano, insegnante e scrittore, commenta il dato per cui, secondo l’Invalsi, in Italia il 35% dei ragazzi non è in grado di comprendere un testo in italiano: “Dovremmo guardarci un attimo tutti allo specchio e renderci conto che un Paese che tratta così la sua scuola è un paese che dice chiaramente ai suoi giovani che se ne sta fregando di loro”
Sentito? L’Invalsi dice che in Italia il 35% dei ragazzi non è in grado di comprendere un testo in italiano.
Ahia! Davvero?!
Ah lo so di chi è la colpa! Degli insegnanti! Questi sfaccendati rubastipendi che fanno tre mesi di ferie!
No, no! La colpa è delle famiglie! Troppo protettive e impiccione!
No, io lo so! La colpa è di ‘sti cavolo di cellulari! Sempre attaccati a quelli stanno!
Bene. Ora provo a dire come la vedo io. Io la vedo che l’Italiaspende per l’istruzione delle cifre ridicole. Anzi, va meglio in grassetto: RIDICOLE. Terzultimi in Europa per percentuale di Pil alla scuola. Ultimi per spesa pubblica destinata all’istruzione.
Ma dove vogliamo andare?
Vi dico come funziona oggi: funziona che si basa tutto sulla fortuna.
Se hai un insegnante con la vocazione, serio, motivato, se sei in una classe con pochi studenti e con il minimo indispensabile come spazi e strumenti: bene. Se no ti attacchi.
Manca un’idea di progetto a lungo termine, una visione di futuro. Dovremmo guardarci un attimo tutti allo specchio e renderci conto che non esiste sviluppo se non si parte dai bambini e dai ragazzi, e che un Paese che tratta così la sua scuola è un paese che dice chiaramente ai suoi giovani che se ne sta fregando di loro.
Ehi ehi ehi: comprensione del testo e investimenti sulla scuola? Cosa c’entrano?
C’entrano moltissimo: l’Invalsi è una sorta di termometro che misura lo stato di salute dell’istruzione di un Paese. Un termometro non di precisione, certo, ma che a grande linee ti fa capire come stiamo messi, e va a individuare proprio gli assi portanti del grado di alfabetizzazione, cioè la comprensione del testo, la matematica e l’inglese.
Quindi, tradotto: se l’Invalsi ci dà un brutto voto, significa che la scuola sta male.
Cosa fare allora?
Come in qualsiasi situazione, partire dalle basi: e le basi in questo caso sono gli investimenti. Più investimenti = più strumenti per insegnanti, famiglie e ragazzi = più possibilità per gli alunni con difficoltà e/o svantaggiati (quelli che attualmente abbassano la media) = risultati generali migliori.
Esempio pratico banale: se posso fare attività di recupero di pomeriggio avrò più tempo da dedicare a quel terzo dei miei studenti con difficoltà di comprensione del testo, dando loro più possibilità di migliorare e quindi di alzare la media di tutti.
Peccato che dal 2008 siano stati cancellati via via quasi tutti i doposcuola specie alle scuole medie, che ora sono lasciati solo come progetti e quindi in sostanza delegati alla sola buona volontà degli insegnanti (spesso con una consistente quota di volontariato).
Vero. Ma a parte che per recuperare lo svantaggio occorrono risorse, mi pare che il mondo corra altrettanto velocemente in Norvegia, in Finlandia, insomma in tutti quei Paesi che hanno risultati migliori dei nostri nelle prove standardizzate. Che il mondo cambi è innegabile, ma questa va vista come un’opportunità, non come un ostacolo. Certo è un po’ dura raggiungerlo se un semplice corso di aggiornamento – per esempio – sulle nuove tecnologie ti costa 400 euro che devi sborsare di tasca tua. Perché, nel caso non lo sapeste, è proprio così che va: in Italia i corsi di aggiornamento quasi sempre sono a carico del docente o dell’Istituto.
Mah. Secondo me comprendono male il testo perché in Italia si legge poco.
Vero. Verissimo.
E infatti una cosa di cui sono arciconvinto è che occorrerebbero docenti formati e motivati in tal senso, per far sì che la lettura venga persa come abitudine in età 10-11 (come oggi accade). Ma per farlo non basta sperare di avere fortuna e che ti capiti un prof motivato a farlo: altrimenti significa intestardirsi a lanciare il dado e a puntare tutto su un numero. Se vuoi davvero quel numero, devi investire risorse e fabbricare dadi che diano sempre il numero che vuoi (metafora incasinata ma spero si capisca il senso)
Sì però non conta quante risorse, ma come le usi
D’accordissimo. Ma con dieci euro di benzina anche la macchina a più bassi consumi e con il guidatore migliore arriverà solo fin dove può.
In conclusione:
Se investi più risorse – e ovviamente le usi bene – puoi attirare verso l’insegnamento le persone più capaci (incentivandole economicamente, esattamente come si fa con professioni come il chirurgo o il magistrato: anche quelle sono professioni in cui la vocazione è essenziale, ma mica chiediamo a chirurghi e magistrati di fare il loro lavoro solo per la gloria, no?); puoi selezionarle meglio, con forme di “filtro” che permettano a quelli davvero capaci di ottenere una cattedra; puoi dare ai ragazzi spazi decenti (ho visto scuole di tutta Italia e il 30% almeno galleggiava tra l’orrido e il fatiscente); puoi aggiornare costantemente i docenti; puoi mettere in campo figure essenziali che ora mancano del tutto (per dirne una: uno psicologo in pianta stabile in ogni scuola 4 ore al giorno per un servizio di sportello); puoi diminuire il numero di alunni per classe, per una didattica che sia il più possibile personalizzata (con classi di 25-30 ragazzi come oggi è impossibile anche per l’insegnante più bravo e motivato).
E molto alto ancora.
Vogliamo davvero bene ai nostri ragazzi? Cominciamo a dimostrarlo, perché quella macchina si sta cominciando a chiedere chi ci ha dato la patente.
M