Servono prof, non burocrati: mandiamo i giovani a “bottega”

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di Andrea Gorini, il Sussidiario, 5.1.2022.

Non è facile avere bravi docenti. Servono persone aperte e disponibili a iniziare il loro percorso professionale lasciandosi interrogare dalle situazioni che incontrano.

Gilda Venezia

Caro direttore,
questi giorni di tranquillità tra un dicembre estremamente faticoso e un gennaio ancora carico di incognite mi hanno fatto sorgere alcune riflessioni sul mondo della scuola.

Uno dei temi attualmente all’ordine del giorno è la formazione iniziale degli insegnanti, il cielo solo sa quanto ce ne sia bisogno! Credo sappia quale sia la difficoltà di trovare insegnanti, in particolare delle materie scientifiche ma non solo. E non dico bravi, ma che almeno siano aperti e disponibili a iniziare il loro percorso professionale lasciandosi interrogare dalle situazioni che incontrano, che abbiano il desiderio di approfondire le proprie conoscenze per diventare più capaci di insegnarle, che riflettano sul senso del fare scuola, il quale va necessariamente al di là delle nozioni da trasmettere; che non si limitino agli adempimenti burocratici, che poco hanno a che fare con la competenza didattica e che purtroppo oggi sono diventati l’impegno più oneroso per i docenti e nella maggior parte dei casi sono l’unico dovere di cui devono render conto. Come se il valore primario dell’insegnamento fosse il rispetto della normativa burocratica e non aiutare i giovani a crescere attraverso l’incontro con la cultura, nel suo senso più pieno.

Un collega che insegna matematica in una prima liceo di fronte ad un alunno che non “sapeva i monomi” se ne è uscito con il commento “Come ha fatto male le medie!”. Non le nascondo lo sconforto nel sentire un giudizio così caustico, per più di una ragione. Veniamo da due anni difficili che hanno condizionato pesantemente la vita tutta della scuola e ovviamente anche l’apprendimento degli alunni; è come minimo ingenuo pensare di poter riproporre la scuola del 2019 nel 2021/22, visto che l’unica cosa che è rimasta uguale, se mi permette la battuta, sono i muri.

Mi rattrista sentire di insegnanti che hanno solo il desiderio di chiudere la parentesi della pandemia per tornare ai soliti programmi, che faticano a comprendere che i bisogni che i bambini e i ragazzi stanno manifestando sono altri e ben più profondi, perché essi cercano nella scuola adulti che mostrino loro che sì, val la pena fare la fatica di vivere. Occorre ci siano insegnanti disposti ad accogliere i ragazzi, quel che sono, quel che sanno e che non sanno, a pensare un percorso che sia per loro, e non genericamente per chiunque.

Mi fa invece arrabbiare constatare che ancora tanti insegnanti non si smuovano dalle pratiche tradizionalistiche. Un collega mi fa notare che attraverso il confronto tra le Indicazioni nazionali del primo ciclo d’istruzione del 2012 con quelle dei licei del 2010 si scopre che per il primo ciclo non si parla di calcolo letterale, mentre si pone l’obiettivo di “Interpretare, costruire e trasformare formule che contengono lettere per esprimere in forma generale relazioni e proprietà”. Nelle Indicazioni nazionali per i piani degli studi previsti per il liceo scientifico e la sua opzione delle “Scienze applicate”, negli obiettivi specifici di apprendimento per aritmetica e algebra si legge: “Il primo biennio sarà dedicato al passaggio dal calcolo aritmetico a quello algebrico. Lo studente apprenderà gli elementi di base del calcolo letterale, le proprietà dei polinomi e le operazioni tra di essi”.

Quindi ci si chiede perché tanti insegnanti delle medie si ostinino a fare calcolo letterale nel secondo quadrimestre della terza e perché gli insegnanti delle superiori lo diano per acquisito, quando sarebbe molto più utile che alle medie si introduca l’uso delle lettere per esprimere relazioni in forma generale, si lavori sulla scrittura e la lettura delle formule e non sulla mera applicazione e si lasci alle superiori il calcolo letterale.

Mi auguro che si arrivi ad un percorso di formazione iniziale per gli insegnanti che tenga conto della complessità di questo lavoro, che possa coniugare l’umanità, nel senso più ampio e profondo, e le tante e diverse competenze necessarie ad esercitarlo. Personalmente ritengo che debba includere una qualche forma di accompagnamento dei neofiti nelle loro prime esperienze in cattedra da parte di insegnanti esperti, così da essere aiutati a scoprire tutte le dimensioni di questo lavoro da parte di chi lo vive, come si faceva nelle botteghe d’arte. Perché anche l’insegnamento è un’arte da imparare.

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Servono prof, non burocrati: mandiamo i giovani a “bottega” ultima modifica: 2022-01-05T07:05:19+01:00 da
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