di Dario Missaglia, Scuola Oggi, 13.4.2019
– La partita sulla “autonomia differenziata” aperta dalle regioni Veneto , Lombardia, e seppure in tono mi-nore e diverso, dalla regione Emilia Romagna, è dunque iniziata. Per la verità l’inizio risale alla fase della conclusione del precedente governo di centro sinistra, allorquando il Presidente del Consiglio Gentiloni firmò le intese che hanno avviato il processo in atto.
Clamorosa contraddizione? Neppure tanto. A ben vedere, da decenni oramai, il variegato mondo della sinistra naviga a vista nelle politiche di riforma della Costituzione, con salti acrobatici che dovrebbero in-durre tutti a una attenta riflessione: siamo passati, nel giro di 20 anni, dal “federalismo a Costituzione in-variata” sospinto dall’attivismo di Franco Bassanini , al neo centralismo di Matteo Renzi, naufragato con il referendum che ne ha segnato il tramonto politico. Una politica del “pendolo”, come l’hanno definita illustri esperti, che bene esprime la debolezza del pensiero sulla riforma dello Stato e delle sue istituzioni.
La identica debolezza spiega la triste e silenziosa subalternità alla campagna demagogica per la abolizione delle Province, contro le quali si è riversato il peggiore populismo e la più deprimente retorica dell’antipolitica degli ultimi anni.
E’ passato così in sordina quell’articolo 116 , terzo comma, della Costituzione , figlio della modifica del Titolo V della Costituzione del 2001, che consente alle Regioni di chiedere maggiori risorse e poteri in diverse materie. In particolare il terzo comma dell’art.117, precisa che trattasi di 20 materie di potestà le-gialstiva “concorrente” e, al secondo comma, di tre materie di potestà legislativa statale, tra cui le norme generali sull’istruzione.
Ed è proprio a questi articoli che le regioni a trazione leghista, Veneto e Lombardia, hanno fatto ricorso per imprimere una svolta negli assetti istituzionali del Paese, trascurando volutamente l’art.117, terzo comma lettera m, che prevede, come prerequisito a qualsiasi intervento, la definizione statale dei LEP ( livelli essenziali delle prestazioni), ovvero la garanzia non solo giuridica ma anche fattuale della attuazione dei diritti civili e sociali delle persone.
Chiedendo a gran voce le 23 materie , il Veneto richiede di poter utilizzare il 95% del gettito fiscale del proprio territorio, aprendo così la strada a quella che il prof. Gianfranco Viesti, ha definito con efficacia “ la secessione dei ricchi”. Una scelta del resto coerente con la politica e la sottocultura che avanza nel Paese: individualismo, egoismo, il territorio come argine e barriera contro “gli altri”, soprattutto se extra-comunitari. Ma la partita si fa politicamente molto più complessa di quanto si possa credere a prima vista. Perché l’autonomia differenziata non può in alcun modo incidere sul vincolo della unità del Paese; unità sancita in maniera inequivocabile in quell’affidare allo Stato la responsabilità di “ rimuovere gli ostacoli di diversa natura” ( art.3 della Costituzione) che possano impedire o compromettere la realizzazione dei diritti delle persone. Ciò significa, tra le altre cose, che non è possibile rivendicare per un territorio un trattamento fiscale di favore, determinando in tal modo una riduzione delle risorse per gli altri territori. Non solo: significa anche, ed è stato giustamente rilevato da più parti, che il carattere unitario del sistema di istruzione pubblico è uno degli strumenti fondamentali dello Stato. Non è possibile “fare gli italiani” regionalizzando il sistema di istruzione: sarebbe una lesione grave di una delle più solide risorse
per rinsaldare in continuità l’unità del Paese.
Questo significa che la partita avviata non ha un esito scontato. Certo, come è noto, “l’autonomia diffe-renziata”fa parte del “contratto” di Governo ed è ragionevole attendersi che la Lega non mollerà la presa; ma è anche vero che il M5S non pare disponibile, salvo contraccolpi interni, ad avallare un’autonomia differenziata così poco “solidale e cooperativa” , per usare una espressione propria del Movimento. Non solo.
La partita sarà complessa per tante altre ragioni, a partire dalla stretta “sorveglianza “ del Quirinale dove siede, giova ricordarlo, un ex magistrato della Corte Costituzionale, autore in prima persona di sentenze molto nette , sul valore della struttura unitaria del sistema scolastico. Illustri costituzionalisti sono inoltre già pronti ad invocare e perseguire l’incostituzionalità di un possibile provvedimento,a partire dalla de-nunciata inadempienza sui LEP e da una procedura di approvazione che renderebbe solo spettatore il Par-lamento. E poi c’è la rivolta delle Regioni del sud che vedono nell’autonomia differenziata una condanna senza appello alla marginalità del Mezzogiorno e la cancellazione della “questione meridionale”.
E per finire c’è la “cordata” delle Regioni del centro Italia ed anche di Liguria e Piemonte, che hanno attivato le procedure per richiedere anche esse una qualche forma di autonomia differenziata, nella remota speranza, forse, o di produrre un ingorgo istituzionale in grado di complicare e depotenziare l’iter dei provvedimenti o di determinare un esito finale con un “incasso” per tutte le regioni richiedenti, ben lontano, a quel punto, dalle aspettative della iniziativa leghista.
Ciò che colpisce tuttavia di questo lavorio politico delle Regioni, è la prevalente inesistenza di un qualsiasi tentativo di coinvolgere i cittadini nella delicata questione. Da questo punto di vista sono proprio le Re-gioni ad evidenziare involontariamente il deficit di legittimazione democratica; i cittadini restano sullo sfondo e tutto si consuma in un dibattito interno ed asfittico. Se ve ne fosse stato bisogno, anche in questa vicenda, il regionalismo svela tutti i suoi limiti: il disegno originario degli anni ‘70 di fare delle regioni il luogo elettivo della “programmazione democratica”, si è progressivamente trasformato in un profilo sempre più marcato di gestione burocratica e centralizzatrice di cui, non paradossalmente, l’autonomia differenziata sarebbe il coronamento
Sono invece segnali di speranza la mobilitazione delle confederazioni CGIl-CISL-UIL che con una netta posizione contraria all’autonomia differenziata, stanno promuovendo iniziative su tutto il territorio e la campagna promossa dai sindacati della scuola, a difesa della scuola pubblica come luogo per eccellenza della unità del Paese . Colpisce infine positivamente il fatto che alcuni sindaci abbiano iniziato a capire che un simile centralismo regionalista, rischia, oltre quanto già evidenziato, di ledere proprio la auto-nomia dei Comuni , di quel luogo cioè in cui prende forma la partecipazione democratica dei cittadini. E’ una consapevolezza che travalica anche i confini e parla all’Europa intera con i sindaci delle “città solida-li”, da Barcellona a Madrid, da Milano a Napoli. Città che si confrontano sulla lotta alle disuguaglianze, all’esclusione sociale, sulle proposte per migliorare l’ambiente, l’accoglienza, il lavoro, le opportunità di istruzione e formazione.
Questi Comuni hanno compreso che bisogna colmare un vuoto di elaborazione culturale e di iniziativa politica; bisogna ripartire “dal basso”, puntando sulla democrazia partecipativa per sconfiggere le disu-guaglianze e le contraddizioni presenti sul territorio. Un messaggio importante anche per la scuola che proprio sul territorio può ritrovare il senso più profondo della propria identità e il superamento dell’isolamento in cui alcuni vorrebbero confinarla.
Una battaglia solo difensiva non ci aiuterà a ricostruire lo Stato. Che è il vero irrisolto problema del nostro Paese.
Dario Missaglia
Fondazione Di Vittorio
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