Si riducono i fondi per gli aumenti. Vanno utilizzati anche per i precari

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di Carlo Forte, ItaliaOggi, 7.1.2020

– La cassazione spiazza governo e sindacati sul contratto –

Un nuovo ostacolo al rinnovo del contratto della scuola. Le recenti pronunce della Corte di cassazione in materia di ricostruzione di carriera e retribuzione professionale docenti (Rpd) rischiano di ridurre ulteriormente le risorse a disposizione della contrattazione collettiva per gli adeguamenti retributivi del personale. La Suprema Corte, infatti, ha stabilito che i precari (docenti e Ata) abbiano diritto ad essere retribuiti con gli stessi criteri collegati all’anzianità di servizio che si applicano al personale di ruolo. E cioè incrementando le retribuzioni al decorso di periodi stabiliti (cosiddetti gradoni) e, per i docenti, anche per il tramite del riconoscimento della retribuzione professionale docenti. L’attribuzione di questi benefici, peraltro, fa lievitare i costi di copertura della massa salariale. E ciò potrebbe comportare una distrazione consistente delle risorse poste a disposizione dal governo per gli incrementi in busta paga.

L’attuale disciplina, infatti, prevede che le retribuzioni dei docenti e degli Ata a tempo determinato risultino fissate alla cosiddetta classe « 0 ». Vale a dire all’importo minimo previsto per retribuire il personale neoimmesso in ruolo. L’importo, per i docenti, che peraltro percepiscono una retribuzione leggermente più alta rispetto al personale Ata (fatta eccezione per i direttori dei servizi generali e amministrativi: Dsga) si aggira, mediamente, intorno ai 1300 euro netti al mese. E questa cifra comprende anche la Rpd: un emolumento accessorio (che spetta ai docenti) e si aggira intornno ai 110 euro netti al mese. La prassi invalsa, peraltro, va nel senso di non riconoscere ai docenti precari assunti dai dirigenti scolastici questo emolumento. E ciò comporta la corresponsione di spettanze mensili che spesso non raggiungono nemmeno i 1200 euro. Sempre che si tratti di supplenze su cattedra intera. Perché, se si tratta di frazioni di cattedra (cosiddetti spezzoni) la retribuzione viene proporzionalmente ridotta.

Questo orientamento interpretativo, che consente all’erario di ridurre fortemente i costi del personale, è stato censurato a più riprese dalla Corte di cassazione nel corso degli anni. E di recente i giudici di piazza Cavour hanno anche indicato la strada all’interprete per applicare correttamente la normativa vigente. Secondo i giudici di legittimità, la normativa europea vieta la possibilità di applicare un trattamento economico meno favorevole nei confronti dei precari. Pertanto, al personale assunto a tempo determinato va riconosciuta sia la progressione economica di carriera che la Rpd a prescindere dalla tipologia di contratto di assunzione applicata.

Per quanto riguarda la retribuzione professionale docenti, la Suprema Corte, con l’ordinanza 20015/2018 ha stabilito che: « le parti collettive nell’attribuire il compenso accessorio «al personale docente ed educativo», senza differenziazione alcuna, abbiano voluto ricomprendere nella previsione anche tutti gli assunti a tempo determinato, a prescindere dalle diverse tipologie di incarico previste dalla legge n. 124/1999, sicché il successivo richiamo, contenuto nel comma 3 dell’art. 7 del Ccnl 15.3.2001, alle «modalità stabilite dall’art. 25 del Ccni del 31.8.1999» deve intendersi limitato ai soli criteri di quantificazione e di corresponsione del trattamento accessorio, e non si estende all’individuazione delle categorie di personale richiamate dal contratto integrativo». E tra queste rientra a pieno titolo la Rpd. E in più, per quanto riguarda il criterio relativo al riconoscimento dell’anzianità di servizio, la Cassazione, dopo avere affermato che il metodo da seguire deve essere quello che si applica per il personale di ruolo (33139 e 33140 del 16 dicembre scorso) ha chiarito che il criterio da applicare è quello della totalizzazione (33140 del 16 dicembre scorso).

In pratica, i servizi prestati vanno semplicemente cumulati, a nulla rilevando il criterio dell’equivalenza fissato dal testo unico (si veda l’articolo sulla sentenza pubblicato in questo stesso numero). Le pronunce, peraltro, sono state emesse all’esito di un contenzioso seriale che va avanti ormai da molti anni. E siccome si tratta di provvedimenti definitivi, è ragionevole ritenere che il legislatore dovrà recepirle in modo tale da prevenire ulteriore contenzioso. Che, peraltro, avrebbe un esito pressocché scontato con ulteriori esborsi da parte dell’erario per quanto riguarda i costi delle soccombenze in giudizio. E anche il tavolo negoziale dovrebbe conformarsi a tale orientamento. Perché il contratto collettivo nazionale di lavoro altro non è se non un vero e proprio regolamento recante la disciplina di dettaglio delle norme di legge. E siccome le risorse economiche per gli adeguamenti retribuitivi sono state ormai stanziate nelle legge di bilancio, è ragionevole ritenere che ciò si tradurrà in una diffusa decurtazione con effetti a valere sui già minimi incrementi retributivi previsti nell’ordine di 70 euro mensili lordi «a regime» al decorso del triennio.

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Si riducono i fondi per gli aumenti. Vanno utilizzati anche per i precari ultima modifica: 2020-01-07T08:47:54+01:00 da
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