di Francesca Fornaro, Alganews, 16.12.2017
“L’alternanza scuola-lavoro sta producendo buoni frutti”. Se ne è convinto Pietro Ichino, il giuslavorista che da una vita si prodiga per porre fine all’ingiustizia che affligge il mercato del lavoro italiano dove solo alcuni lavoratori sono protetti e garantiti e altri, poveretti, no. Ichino, che non tollera queste discriminazioni, propone di togliere le tutele a chi le ha: così siamo pari. Lo va spiegando da quando, alla fine degli Anni 70, si fece eleggere da indipendente nelle file del Pci, ma allora il suo verbo era troppo profetico. Nel 2007 il riscatto: un lungimirante Daniele Capezzone lo arruola per redigere un piano di riforme per l’Italia insieme agli economisti Alesina e Giavazzi, convinti sostenitori di tesi iettatorie quali: “La bolla dei subprime è sotto controllo e non produrrà una crisi finanziaria globale”, “L’abolizione dell’articolo 18 farà schizzare la produttività” e “Il liberismo è di sinistra” (questa è il titolo di un loro libro. No, non è una battuta). Il neonato Pd di Veltroni premia Ichino facendolo eleggere senatore. Nel 2012 Ichino lascia il Pd e passa con Monti del quale si vantava di aver scritto il programma di governo (“Molte delle tesi esposte nell’agenda di Monti sono le stesse di un documento che presentai lo, i due scritti sono praticamente sovrapponibili”). Infine torna nel Pd renziano, che finalmente gli dà soddisfazione abolendo l’articolo 18.
Ichino si è convinto della bontà dell’alternanza scuola-lavoro ascoltando un padre che, ai microfoni di Radio3 Rai ha denunciato le storture della misura introdotta in via sperimentale dal governo Berlusconi e resa obbligatoria per tutti gli studenti dal governo-Renzi: 400 ore di lavoro gratuito per gli studenti degli istituti tecnici e 200 per quelli dei licei. “Mio figlio, liceale, l’hanno mandato a fare il cameriere in un fast food!”, racconta il genitore: “Fanno passare la voglia di fare sacrifici per far studiare i propri ragazzi”. Ichino ascolta la testimonianza e si indigna, non contro i licei che spediscono gli studenti a friggere gratis invece che insegnargli la geografia, l’arte o le lingue ma contro i genitori che osano protestare, incapaci di cogliere il valore formativo dello sfruttamento, un insegnamento certamente più utile per l’inserimento professionale di una qualche anacronistica nozione di storia della Rivoluzione Francese o di filosofia sull’esistenzialismo che potrebbero essere d’intralcio alla carriera nell’epoca in cui le aziende premiano più che l’estro e la consapevolezza lo spirito di sacrificio e l’ubbidienza.
“A sentire questo radioascoltatore mi sono detto che, nonostante tutto, l’alternanza scuola lavoro sta producendo buoni frutti. Sia pur coi suoi difetti, serve per chiarire le idee a quel genitore di Radio Tre Rai e agli altri che la pensano come lui”, scrive Ichino sul suo blog: “Gran parte dei problemi che stanno alla radice dell’elevata disoccupazione giovanile nascono dalle indicazioni sbagliate che i genitori danno ai propri figli, e soprattutto da questa: «devi puntare subito al lavoro “buono”, perché altrimenti rischi di restare impigliato in un percorso professionale deteriore». Questa è un’idea vecchia, che risale al tempo in cui si venivaassunti a 18 o 20 anni in un posto e ci si rimaneva fino alla pensione. Oggi il mercato del lavoro non funziona più così». Non funziona più così grazie alle riforme suggerite da Ichino che consentono alle aziende di liberarsi dei lavoratori prima che facciano scatti di anzianità e sostituirli con forza-lavoro interinale più giovane e prestante senza che nessuno maturi i contributi per la pensione.
Ichino fa suo l’assunto della della lobby di multinazionali che ha ispirato la riforma della Buona Scuola attraverso il rapporto McKinsey, le cui conclusioni – sbagliate – vengono citate nelle premesse del provvedimento del governo Renzi: l’elevata disoccupazione giovanile non dipende dalla crisi della domanda (nessuno compra più niente, dunque non c’è ragione di produrlo) ma dal fatto che il nostro sistema scolastico non offre competenze adeguate a quelle richieste dalle imprese. Partendo da questa convinzione, la lobby delle multinazionali raccomandava di adattare la scuola alle esigenze degli imprenditori, che più di tutto esigono che si lavori tanto, senza diritti – né contezza di quali siano i diritti da esigere – e senza oneri per l’azienda, ossia gratis. Da qui l’alternanza scuola-lavoro: studenti che invece di studiare vengono mandati a raccogliere cozze, guidare muletti, scartavetrare navi, pulire cessi, servire panini, svolgere mansioni che nel 57 per cento dei casi – attesta una ricerca dell’Unione Degli Studenti – non hanno nulla a che fare con il proprio percorso di studi ma che sono identiche a quelle dei lavoratori che per svolgere quelle mansioni vengono generalmente retribuiti. Con il risultato che non guadagnano né gli studenti né i lavoratori sostituiti dagli studenti in alternanza, ritrovandosi tutti e due senza soldi da spendere. Con il risultato che nessuno compra niente, dunque non c’è ragione di produrlo: crisi della domanda.
Al governo Renzi – e a Ichino – sarebbe bastato affidarsi, invece che alle conclusioni del rapporto McKinsey, a quelle del governo stesso: uno studio del Ministero del Lavoro dimostrava infatti che il tasso di disoccupazione giovanile al 40 per cento, record in Europa, era imputabile solo in minima parte (appena il 2 per cento) alla mancanza di una formazione scolastica adeguata alle esigenze del mercato e per la gran parte alla crisi della domanda interna.
Al di là della consueta infondatezza delle ricette neoliberiste, c’è però un aspetto che sfugge a Ichino, e che sarebbe bene chiarire nell’incontro, previsto per domani, al Miur, tra la ministra Fedeli e gli studenti che il mese scorso hanno protestato contro l’alternanza, chiedendo tra l’altro l’adozione di uno statuto dei diritti che garantisca la qualità dei percorsi e un codice etico che escluda dall’alternanza le aziende che inquinano i territori, sfruttano e licenziano i lavoratori, sono colluse con la mafia.