di Fabio Guarna, La Tecnica della scuola, 10.3.2019
– Si parla tanto del liceo classico e le domande sono tante come quella più ricorrente se abbia ancora un senso studiare il latino e greco classico.
Sui social fioriscono gruppi che hanno molti iscritti, fra questi “Non chiudete il liceo classico” con più di 8000 adesioni. Il dibattito non manca dunque.
Per alcuni come riportava il Sole 24 ore qualche tempo fa in un articolo, il liceo classico è obsoleto, mentre per altri le lingue morte sono “palestra per la mente” e “baluardo della cultura occidentale”.
Abbiamo fatto qualche domanda a un Professore del Liceo di Greco e Latino, ora in pensione. Si tratta di Ulderico Nisticò, classe 1950 che ha dedicato alla scuola la sua attività lavorativa di insegnante classico, ma, secondo un modello umanistico, lasciandosi ampi spazi non professionali, quali la storiografia e il teatro, e la vita attiva, definendosi a tale ultimo fine un “portatore sano di cultura”. In quiescenza dal 2011, continua a darsi da fare.
Quando ho dovuto vedere la mia vecchia scuola chiamarsi 1, 2, 3, 4, 5, mi è venuto un breve ma intenso malore. Però so bene che l’espressione “Quarto Ginnasio” era già anacronistica con la Riforma Bottai del 1939, che istituiva la Media Unica, e perciò aboliva il Ginnasio Inferiore, che era Primo, Secondo e Terzo. Nomina non sunt consequentia rerum.
Una delle domande più ricorrenti è: “A che serve imparare latino e greco classico”?
Ai miei ragazzi dicevo “Latino e greco non servono a nulla, perché non sono servili”; ed era una definizione spocchiosa. Da sempre qualcuno cerca di “liberarci dai Greci e dai Romani”, senza riuscirci, perché gli antichi ci hanno trasmesso valori universali. Vero, però, proprio perché universali, quei valori non sono antichi o presenti o futuri, ma eterni; e qualcuno li deve possedere e tramandare.
Siamo nella scuola dell’Europa che punta sulle competenze. Il liceo classico in passato era la scuola per eccellenza delle conoscenze che insegnava e insegna però ad avere spirito critico. Come si concilia con le sfide moderne?
Quanto alle competenze, non c’è dubbio che lo studio delle due lingue classiche ne richiede e ne sviluppa. Esse mostrano una loro razionalità intrinseca, sia in quanto strutture grammaticali e sintattiche – più il latino del greco! – sia per la capacità di comunicare. Per fare un buon classicista occorrono tutte le competenze più una: ortografia, grammatica, sintassi dei casi, sintassi del periodo, retorica, stile, prosodia e metrica, e storia e storia dell’arte e filosofia… e la rara virtù di superare tutte queste nozioni, e non farsene imprigionare.
All’entrata dell’accademia di Platone si trovava scritto: “Ἀγεωμέτρητος μηδεὶς εἰσίτω” (Non entri nessuno che non conosca la geometria, o meglio non entri nessuno che non sia geometra). La ragione non era “scientifica” ma perché la geometria tratta figure ideali e apre il pensiero. Ritiene che le materie scientifiche siano sacrificate al Liceo Classico e quindi da potenziare a danno di altre?
Platone, come i pitagorici, fondava la sua dottrina sulla razionalità della matematica, e vedeva nelle forme geometriche una sorta di modello delle idee. Ma poi, da grandissimo poeta quale in fondo fu, sapeva fare uso del mito. Non sfuggo alla domanda: statistica empirica vuole che grandissimi scienziati e ingegneri e tecnici siano usciti dal Classico, anche da quello dei miei tempi con due ore la settimana di matematica. In tutto questo c’è qualcosa di platonico.
Secondo lei, gli insegnamenti e il quadro orario dell’attuale liceo classico stanno al passo con i tempi?
Bisogna ripensare la scuola anche nel suo orario, spesso costipato da esigenze banali e insormontabili come i trasporti; e chiudo con una provocazione, se il Liceo Classico debba essere un corso selettivo e iperspecialistico; o si possa aprire a una cultura più divulgata. È da questa risposta che ne dipende l’avvenire e le sue modalità.
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