di Alvaro Belardinelli, La Tecnica della scuola, 14.12.2018
– Mentre il Ministro dell’Istruzione Bussetti per amore degli studenti bacchetta i docenti che assegnano troppi compiti, fin troppi giovanissimi, ignari di queste stolide discussioni, continuano a vivere nel mondo creato per loro da chi su di loro lucra. Per rendersene conto, basta guardare il video del brano “Lucciole” del “cantante” Ketama126, al secolo Piero Baldini.
Il video di questo rapper ventiseienne di Latina, forse con l’intenzione di rappresentare la realtà in modo oggettivo e realistico, potrebbe esser letto da un tredicenne di oggi come un inno alla droga. Immagini incalzanti e potenti, ritmo ossessivo; “musica” minimale, ripetitiva, in stile filastrocca ossessiva, ipnotica, inquietante. Suoni e visioni ricordano la fase allucinatoria provocata dalle sostanze psicotrope. Una voce fuori campo suggerisce: «Questa è cronaca: il fine non è essere imitati. Se ne sconsiglia la visione». Avviso legalepro forma come quelli scritti sui pacchetti di sigarette per mettere al riparo i produttori da problemi legali?
Polverine bianche sul Mein Kampf
Sta di fatto che il connubio video-suoni è potente e angoscioso. Tra giovani dall’espressione allucinata, corpi seminudi pieni di tatuaggi demoniaco-trasgressivi, continue inquadrature di polverine bianche sciorinate su copie del “Mein Kampf” di Adolf Hitler, dosi e cucchiai sullo sfondo di palazzoni di periferia, ci si bea dei seguenti aulici versi: «Se voglio la droga mi drogo, ehi / Se voglio scopare la scopo, ah / Faccio quello che voglio, yah eh».
Certo, l’espressione artistica non va censurata (e del resto la “canzone” stessa afferma «Neanche una condanna non mi cambia»). Anche perché, se si chiedesse all’Autore il senso di simile sconvolgente produzione poetico-musicale, egli potrebbe rispondere di aver voluto rappresentare la cruda realtà dei giovani e il dolore irredimibile che essa comporta (evidente nei versi «Chiedo scusa soltanto alla mamma / Vorrei dirti solo: “Pace e amore” / Ma l’amore è guerra e non si scappa»). È però lecito chiedersi: l’intento artistico e civile del rapper sarà compreso dai teenager? Giacché sono i giovanissimi i veri destinatari della “canzone” e del video; non certo i musicologi o i critici letterari.
L’etica dell’autodistruzione
I teenager, specie se fruitori di sostanze psicoattive, troveranno in questo capolavoro un autentico inno all’etica dell’autodistruzione: quella che impera tra le giovani generazioni anche grazie al progressivo disimpegno etico-politico della generazione che le ha generate. Ed anche grazie alla progressiva e ingravescente distruzione della Scuola pubblica e dei docenti.
Dichiarazioni come quelle di Bussetti — paladino degli studenti e loro difensore dalle eccessive pretese di sadici insegnanti assegnatori seriali di compiti che guastano la tranquillità delle famiglie riunite intorno al focolare domestico nella trepida attesa di Babbo Natale — sono semplicemente mistificanti. La realtà dei giovanissimi non è più (ma lo è mai stata?) quella del presepe familista immaginato dalla mitologia cattoleghista dopo il rinnegamento del dio Po. I ragazzi di questi tragici anni non sanno a chi credere, né sanno distinguere tra amici e nemici. Non credono agli insegnanti, anzi li considerano propri nemici: e come potrebbero pensare diversamente, quando li vedono stanchi, sottopagati, disprezzati dai propri genitori, caricaturati dalle fiction televisive, scavalcati e umiliati da politicanti e Dirigenti Scolastici?
Non credono, di conseguenza, alla cultura: anche perché lo Stato italiano, negli ultimi 30 anni, ha sposato una pedagogia sociale di segno decisamente ostile alla cultura come obiettivo credibile della vita comune, non solo con le dichiarazioni di alcuni politici, ma appunto mediante i tagli a Scuola Statale e beni culturali, nonché screditando gli insegnanti.
Scuola facile e speranze distrutte
Ora gli adolescenti non credono più che valga la pena di credere in qualcuno o in qualcosa. Vivono per lo più in uno stato di inebetito far niente, gli occhi fissi al cellulare. Arrivano alla Scuola Superiore molto spesso con una condizione mentale ancora infantile, senza essersi mai cimentati con uno studio sistematico, che abbia esercitato le loro facoltà logiche (quelle tipiche della specie homo sapiens). Poiché la Scuola deve essere facile, e dare pochi compiti. Facile la vogliono i genitori; facile la vogliono i Dirigenti Scolastici, affinché si parli bene della “loro” “azienda”; facile la vuole la burocrazia ministeriale; facile, e orientata all’”Alternanza Scuola Lavoro”, la vogliono i Sindacati “maggiormente rappresentativi, che di recente hanno chiesto più soldi per questa attività (aborrita dagli studenti, ma sempre più accettata perché, in fondo, permette di studiare di meno); facile, e finalizzata alle “competenze” del lavoro esecutivo, la vuole la classe dirigente, Confindustria in primis.
Cosa fare per ribaltare questa situazione? C’è qualche forza politica che abbia il coraggio di ammettere che stiamo sbagliando tutto?
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