di Dario Siess, Il Sole 24 Ore, 16.4.2020
– La rapidità con cui la scuola italiana ha dovuto affrontare l’emergenza sanitaria e il blocco sine die delle lezioni ha generato, al suo interno, un flusso di reazioni concatenate e contraddittorie: dalla diffidenza pregressa per le piattaforme digitali si è passati d’incanto all’euforia per la novità del “telelavoro”, a cui è seguito l’altrettanto repentino disincanto per un mezzo che ha interrotto il consueto rapporto “caldo” con gli alunni e il normale format didattico articolato in lezione-verifica-valutazione. La pluridecennale latenza della politica italiana nell’affrontare il problema della riforma dell’insegnamento, ha infine accentuato l’impreparazione del sistema scolastico nel gestire uno scenario di cambiamento didattico e organizzativo, ora imposto dall’esterno, non frutto di un’elaborazione interna e di una scelta condivisa.
Di fronte a questo scenario incerto si profilano due risposte, apparentemente divergenti, in realtà (pericolosamente) complementari. Da un lato una sorta di adattamento superficiale alla didattica a distanza, con la trasposizione forzata dentro il medium digitale dello schema tradizionale, basato sulla centralità del docente e della “spiegazione” (ora) via webinar, in attesa che la scuola “normale” riapra i battenti e possa ripartire quella “reale” ovvero in presenza.
Dall’altro una declinazione tecnicistica dell’e-learning che esalta la capacità di convertire il mondo scolastico nell’«universo della precisione» digitale, aumentando semplicemente la potenza di controllo delle variabili del sistema: registrazione “elettronica” di assenze-impegni collegiali-lezioni-voti ecc., classi “virtuali” e “somministrazione” di compiti, webinar sempre più raffinati che consentono al docente (il sogno del “panopticon” che si avvera..) di osservare-controllare tutti gli studenti durante la lezione.
Il principale indizio della “relazione pericolosa” che si profila tra ortodossia didattica e “rivoluzione digitale” (tra apocalittici e integrati) è l’abuso unanime del termine “virtuale” associato a scuola, classe, lezione e altro., che manifesta linguisticamente la subalternità della didattica a distanza nei confronti di quella “reale”, rappresentata sempre dall’aula fisica e dalla lezione in presenza.
Una distorsione semantica e ideologica (ma perché la presenza fisica implica necessariamente una comunicazione “reale”?), che riduce l’apprendimento in Rete a facsimile (appunto virtuale) delle normali procedure didattiche, oppure lo esalta come versione hi-tech, ipertecnologica e smaterializzata della trasmissione-riproduzione del sapere.
Dal fraintendimento ideologico della rivoluzione digitale è derivato l’attuale tentativo di trasporre il vecchio modello “trasmissivo” (basato sostanzialmente sulla centralità del docente e della lezione in presenza) dentro la “botte nuova” digitale, con effetti aberranti e difficoltà che molti addetti al lavoro hanno puntualmente segnalato: l’intasamento mattutino di videolezioni e compiti (con un sovraccarico cognitivo nemico dell’apprendimento); la reiterazione velleitaria di procedure di controllo e sanzione disciplinare; la dilemmatica valutazione e misurazione oggettiva delle prove senza un controllo reale dello studente da parte dell’insegnante. Lungi dall’essere “virtuale” la didattica on line sta mostrando plasticamente tutte le criticità della scuola in presenza “reale”, con il suo portato di nevrosi e interrogativi irrisolti (Lo studente è presente o in ritardo? Segue realmente la mia spiegazione? Cosa pensa? Ha svolto da solo il test o ha copiato?).
Il Covid-19 e il lockdown hanno quindi all’improvviso svelato l’arcano del nostro sistema scolastico, mostrando di colpo la vetustà del suo impianto culturale e la conseguente difficoltà nel cogliere la specifica vocazione cognitiva della Rete. Come se d’un tratto decenni di anomalie e incongruenze costringessero ora a prendere atto che l’universo “tolemaico” della scuola italiana non regge più, che il suo “centro” non può più essere l’insegnante in cattedra, ma altri “mondi possibili”, altre modalità di produzione e comunicazione del sapere.
Ecco quindi che la crisi che stiamo vivendo può essere l’occasione storica per voltare pagina, spostando il baricentro della scuola dal binomio docente-lezione allo studente, con la creazione di ambienti di studio innovativi e diversificati rispetto alla filiera tradizionale dell’apprendimento, articolata in lezione in presenza-ripetizione a casa-verifica in presenza: dove l’inizio e la fine rappresentati della produzione del sapere e dalla valutazione conclusiva, avvengono dunque in “sincrono” e in un unico spazio fisico condiviso, intervallati da momenti di studio separati e (per lo più) individuali, questi sì lontani dallo sguardo dell’insegnante.
L’idea (antica) di apprendimento “attivo” può essere la risorsa pedagogica e culturale che consente di ripensare virtuosamente la “rivoluzione digitale” nella scuola, realizzando infine un superamento delle unità “aristoteliche” di azione-tempo-luogo didattici che inquadrano il format educativo classico.
E’possibile ipotizzare e praticare un modello più flessibile e decentrato di scuola che modula in termini diversi momenti “sincroni” e “asincroni”, che ridimensiona la “lezione” (in quanto “lectio”) in presenza proponendo fonti diversificate d’informazione e conoscenza, che assegna al docente un ruolo (fondamentale) di regista dell’apprendimento più che “attore protagonista” delle diverse fasi della vita scolastica. Ecco in sintesi le coordinate del nuovo modello d’insegnamento e della “nuova alleanza” tra pedagogia e rivoluzione digitale.
Una scuola dove non è necessario intasare il mattino con tante lezioni consecutive perché il docente non è il player principale dell’istruzione e la sua lezione, assieme ad altre fonti di conoscenza, grazie al Web può vista-letta in “asincrono” e in spazi diversi, sia rispetto all’aula fisica che a quella “virtuale”. In questo modo viene a dissolversi la vecchia querelle tra orario mattutino e tempo prolungato, perché non esiste più un “tempo” definito e rigido che scandisce le fasi dell’apprendimento e assegna gli spazi dell’incontro didattico tra studenti e docenti.
Un docente-regista capace di stare dietro alle quinte e non occupare sempre il palcoscenico, ma che in questo modo assume una funzione sempre più importante e complessa: la proposta di percorsi di ricerca motivanti, l’organizzazione razionale di attività di studio (il più possibile) autonomo, la supervisione del lavoro degli studenti in corso d’opera e al termine di un percorso didattico. Il compito primo dell’insegnante è la creazione quindi di un ambiente di lavoro e di relazione con gli studenti diversificato e flessibile, che centellina le videolezioni in plenaria per favorire l’interazione con piccoli gruppi di studenti fuori dalle maglie strette di un canone “orario” prestabilito.
Dove lo studente non è più quindi solo il terminale (e il ripetitore) dell’istruzione trasmessa, ma viene coinvolto nella produzione di conoscenza attraverso la proposta di attività di ricerca e problem solving calibrate sulla “struttura delle discipline” scolastiche e quindi sulle “competenze” che egli dimostra attraverso una presa in carico responsabile dell’onere-onore educativo. Uno studente che può mostrare autonomia e responsabilità solo se gli viene concesso lo spazio per sviluppare le sue potenzialità in un fare per lui significativo, da solo o in progetti di studio condivisi con altri studenti. In ambedue i casi la Rete consente di attivare la ricerca e la condivisione di idee prescindendo dai vincoli spaziali e temporali della didattica frontale.
Pensiamo ad una scuola che rompe infine il tabu rappresentato dalla “valutazione certificativa” in presenza, la vera pietra angolare di una didattica fondata integralmente sul “sapere esperto” del docente, in cui la prova in classe dello studente deve essere la riproduzione fedele (la “verifica”) delle conoscenze apprese, certificata dallo sguardo vigile dell’insegnante che garantisce l’oggettività finale della preparazione. Questo schema secolare, basato sulla presenza fisica docente-studenti, diventa improponibile ora nell’aula digitale, costringendo quindi la scuola a ripensare radicalmente lo statuto stesso dell’insegnamento-apprendimento e, al suo interno, la nozione e la pratica della valutazione.
In un mondo in rapida trasformazione i problemi devono essere l’opportunità per trasformare il nostro sguardo sul mondo, per cercare nuove strade, non per difendere strenuamente il passato.
La difficoltà della “valutazione certificativa-verificativa” negli ambienti di apprendimento digitale può dunque essere l’occasione per sperimentare vie nuove, ricalibrando l’insegnamento sull’autonomia degli studenti, sulla loro capacità di affrontare compiti complessi non riconducibili al piano delle semplici conoscenze (copiabili da internet), ma che richiedono ragionamento, rielaborazione personale e creatività. Una didattica che, sposando la complessità e i “compiti di realtà” spinge infine i docenti a condividere percorsi multidisciplinari e, nel contempo, incentiva gli studenti a cooperare in piccoli gruppi dentro i percorsi di studio.
Il sacrificio di “oggettività” delle prove in “sincrono” sotto il controllo dell’insegnante può essere compensato dal valore aggiunto reso da prove più personali e meno standardizzate, perché non riducibili semplicemente alla lezione del docente, alla pagina del libro di testo, né al documento wikipedia, che non “conosce” il percorso mirato e specifico scelto dal singolo docente o da un gruppo di insegnanti.
La crisi attuale sarà forse l’occasione per un ripensamento complessivo delle relazioni interumane, dalle politiche ambientali a quelle sanitarie ed economiche. Nessun esito è prestabilito, che sia una conservazione del presente o uno scenario di mutamenti strutturali. Nel caso della scuola la fine della pandemia potrà lasciare tracce profonde, oppure un graduale ritorno all’ordine e alla “normalità”. Sta a noi, agli operatori della scuola, alla sensibilità sociale diffusa, al mondo delle istituzioni, compiere delle scelte in una o in un’altra direzione.
Con una consapevolezza che ci deve ispirare: “Nulla sarà come prima” è una frase vuota, perché la scuola già da molto tempo non è più “come prima” e, quando l’emergenza sarà finita, non dovremo dimenticarlo.
Dario Siess, docente del liceo “Peano” di Tortona
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Una pericolosa normalità. Quale scuola dopo l’emergenza ultima modifica: 2020-04-16T06:26:01+02:00 da