Valutazione comportamento studenti: quali norme, quali parametri e limiti

Orizzonte_logo14Orizzonte Scuola, 7.1.2020

– L’art. 2 del decreto legge n. 137 del 2008(convertito nella legge 169 del 2008), e l’art. 7 del d.P.R. n. 122 del 2009, consentono al consiglio di classe di attribuire il voto in condotta sulla base del “comportamento” degli alunni “anche fuori” della sede scolastica: quali sono i limiti interpretativi di tale locuzione? Quali ulteriori principi sono estrapolabili dalle pronunce dei giudici amministrativi?

Riferimenti normativi in tema di valutazione del comportamento. Due sono le fonti normative che disciplinano la tematica del voto sulla condotta degli allievi:

  • L’art. 2 del d.l. n. 137 /2008 (convertito nella l. n. 169/2208). Statuisce che in sede di scrutinio intermedio e finale viene valutato il comportamento di ogni studente durante tutto il periodo di permanenza nella sede scolastica, e pure in relazione alla partecipazione alle attività ed agli interventi educativi realizzati dalle istituzioni scolastiche “anche fuori” della propria sede. Al comma III si specifica che la votazione sul comportamento degli studenti, attribuita collegialmente dal consiglio di classe, concorre alla valutazione complessiva dello studente e determina, qualora inferiore a 6/10, la non ammissione al successivo anno di corso e all’esame conclusivo del ciclo.
  • L’art. 7 del D.P.R. n. 122/2009. Contiene importantissime indicazioni sulla ratio della valutazione del comportamento degli alunni nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado, identificata nel “(…) favorire l’acquisizione di una coscienza civile basata sulla consapevolezza che la libertà personale si realizza nell’adempimento dei propri doveri, nella conoscenza e nell’esercizio dei propri diritti, nel rispetto dei diritti altrui e delle regole che governano la convivenza civile in generale e la vita scolastica in particolare”. La valutazione del comportamento con voto inferiore a 6/10 in sede di scrutinio intermedio o finale è decisa dal consiglio di classe nei confronti dell’alunno cui sia stata precedentemente irrogata una sanzione disciplinare (secondo quanto disposto dal D.P.R. n. 249/1998). A ciò si aggiunga che la valutazione del comportamento con voto inferiore a 6/10, deve essere motivata e verbalizzata in sede di scrutinio intermedio e finale. Infine, ogni istituzione scolastica può autonomamente determinare, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, anche in sede di elaborazione del piano dell’offerta formativa, iniziative finalizzate alla promozione e alla valorizzazione dei comportamenti positivi, alla prevenzione di atteggiamenti negativi, al coinvolgimento attivo dei genitori e degli alunni, tenendo conto di quanto previsto dal regolamento di istituto, dal patto educativo di corresponsabilità, e dalle specifiche esigenze della comunità scolastica e del territorio. In nessun modo le sanzioni sulla condotta possono essere applicate agli alunni che manifestino la propria opinione (articolo 21 della Costituzione della Repubblica italiana).

I principi giurisprudenziali. La normativa sopraelencata è stata interpretata ed ulteriormente specificata dalla giurisprudenza, dalla cui casistica risultano ricavabili alcuni principi sulla valutazione della condotta dell’alunno:

  • L’addebito deve essere previamente contestato. Il voto di condotta, essendo diretto ad esprimere la valutazione complessiva dell’alunno, non solamente sotto l’aspetto della regolarità e/o della diligenza nel seguire le lezioni, bensì soprattutto sotto il profilo della maturazione della personalità con riferimento al comportamento in generale nei confronti della comunità scolastica ed al rispetto delle regole del buon vivere civile, se assume connotazione negativa deve necessariamente trovare riscontro nella previa contestazione degli addebiti, effettuata con le forme del procedimento disciplinare regolato, per la scuola secondaria, dall’art. 4 del D.P.R. n. 249/1998 (TAR Lazio – Roma, Sezione III-bis, Sentenza 3 luglio 2019, n. 8669).
  • Si estende a comportamenti esterni alla sede scolastica. L’art. 2 del d.l. n. 137/2008, convertito nella l. n. 169/2008, e l’art. 7 del d.P.R. n. 122 del 2009, consentono al consiglio di classe di attribuire il voto in condotta sulla base del “comportamento” degli alunni “anche fuori” della sede scolastica. Tuttavia, il riferimento al “comportamento di ogni studente” (di cui all’art. 2 della legge) e al “comportamento degli alunni” (di cui all’art. 5 del regolamento) va inteso nel senso compatibile col principio per cui la responsabilità è individuale, non essendo ammissibile che la mancata individuazione dell’autore di un illecito, all’interno o all’esterno della sede scolastica, consenta la punizione (quali coautori del fatto) di tutti coloro che sono risultati presenti (Consiglio di Stato, Sezione VI, Sentenza 4 dicembre 2012, n. 6211). È legittimo il provvedimento del Consiglio di classe di una scuola secondaria di primo grado che ha attribuito ad un’alunna, al termine dell’anno scolastico conclusivo del ciclo di studio, il voto di comportamento di 7/10 per avere la studentessa proferito frasi offensive verso una compagna nella chat whatsapp della classe. E’ irrilevante che la condotta non si sia svolta a scuola e in orario scolastico, dal momento che l’art. 7 del DPR n. 122/ 2009, nel definire i parametri ai quali il Consiglio di classe deve attenersi nel formulare il voto di comportamento, considera l’atteggiamento complessivo dello studente ed il suo porsi nei rapporti personali con gli insegnanti e con i compagni (TAR Campania – Napoli, Sezione IV, Sentenza 8 novembre 2018, n. 6508).
  • E’ insindacabile da parte del giudice di legittimità. Il giudizio di non ammissione di uno studente alla classe superiore, del Consiglio di classe, è espressione di discrezionalità tecnica e, in quanto tale, non sindacabile dal giudice di legittimità se non sotto il profilo della manifesta irragionevolezza e dell’errore sui presupposti rilevabili dagli atti. Ed infatti, il livello di maturità e preparazione raggiunto dai singoli alunni costituisce espressione di valutazione riservata dalla legge a tale organo collegiale, il cui giudizio riflette specifiche competenze solo da esso possedute. Pertanto, al giudice di legittimità spetta di verificare se il procedimento, a conclusione del quale detto giudizio è stato formulato, sia conforme al parametro normativo ovvero ai criteri deliberati preventivamente dal collegio stesso, e non risulti viziato di manifesta illogicità, difetto di istruttoria e di travisamento dei fatti (TAR Puglia – Lecce, Sezione II, Sentenza 27 settembre 2013, n. 2045).

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