Roars, 15.12.2022.
Segnaliamo questo articolo Pubblicato su Il Bo live il 30 novembre 2022
“Noi siamo contrari al merito”. “Premiare il merito è una pessima idea”. “Noi odiamo i meritevoli, non troveranno mai posto nella nostra azienda”. Queste sono frasi che probabilmente nessuno di noi ha mai sentito pronunciare, e per una buona ragione: quasi tutti sono favorevoli al merito, e pochissime persone sarebbero disposte ad ammettere di preferire favori e scorciatoie. Proprio per questo motivo, parlare di merito in molte circostanze rende inattaccabile chi lo fa, o quantomeno complica la vita a chi cerca di esprimere qualche perplessità.
In realtà, se andiamo alle radici etimologiche di questa parola, l’accezione non era necessariamente positiva. Deriva infatti dal latino merĭtum, a sua volta derivante da merere, meritare, che poteva indicare anche una punizione per un comportamento scorretto. Le prime attestazioni in italiano sono invece quasi tutte positive, tanto che anticamente poteva significare anche “ricompensa”o “premio” (1250, anonimo e 1294 B. Latini). La parola è semanticamente legata all’etica e alla morale, e se utilizziamo il suo opposto, “demerito” andiamo automaticamente a designare qualcosa di negativo, che non fa onore alla persona interessata. Per quali motivi ultimamente si sono levate “voci contro il merito” come sono state non certo ingenuamente definite?
Parlarne in generale significherebbe scoperchiare un vaso di Pandora che potrebbe costituire l’argomento di un congresso più che di un articolo, quindi abbiamo scelto di restringere il discorso all’ambito dell’istruzione, e nemmeno di tutta: se entrassimo nel discorso universitario, dovremmo affrontare anche l’argomento della pubblicazione sulle riviste scientifiche, che richiederebbe a sua volta una sede diversa (Daniela Ovadia e Fabio Turone ci hanno dedicato un intero capitolo del libro Scienza senza maiuscola). Abbiamo scelto invece di dedicarci al mondo della scuola, perché in questo settore parlare di “merito” senza limitarsi a un concetto evanescente che vuol dire poco o nulla apre delle questioni interessanti, per esempio il tema della sua misurazione. Per comprendere meglio lo scenario, abbiamo intervistato Mino Conte, docente di filosofia dell’educazione all’università di Padova.
Come accennavamo, misurare il merito è ben diverso dal parlarne in generale. Se proviamo a ipotizzare gli scenari futuri, fermo restando che siamo tutti favorevoli al premiare i meritevoli, “è necessario – dichiara Conte – pensare a un sistema di valutazione palese che possa offrire una misura del merito non arbitraria né discrezionale, o che almeno riduca al massimo queste componenti. In questo senso non tutte le direzioni che potrebbe prendere la scuola sono auspicabili. Chi definisce i criteri con cui misuriamo il merito e con quali scopi? Cosa esattamente sarà sottoposto a valutazione?È chiaro che non c’è una risposta univoca a queste domande, e in base alla risposta che diamo prefiguriamo diversi scenari attorno alla parola merito. Per esempio è chiaro che se il presupposto del merito dovesse incorporare, poniamo, la logica del mercato come suo presupposto unico fondamentale, questo indicherebbe una certa direzione”.
È evidente che a seconda della strada intrapresa ci saranno dei rischi, sempre diversi a seconda dell’interpretazione che diamo a un concetto che, come abbiamo detto, è piuttosto astratto e si presta quindi a essere utilizzato con scopi non del tutto nobili, se qualcuno decidesse di farlo. Entrando nel concreto, quali potrebbero essere i rischi ipotetici? “Partendo dall’idea che va avanti chi se lo merita – si chiede Conte – cosa succede a chi rimane indietro? C’è qualcuno che se ne curerà? Ma, al di là delle semplificazioni, il rischio è che prevalga un’idea del merito legata ad aspetti sanzionatori orientati alla selezione, al correggere, al disciplinare per riportare in qualche modo tutti dentro un ordine prestabilito, condendo magari tutto questo con un tocco di paternalismo”. Potremmo assistere insomma a una netta divisione, riduttivisticamente nozionistica, tra giusto e sbagliato, a una tendenza a correggere l’errore senza permettere al discente di comprenderne la natura formativa, allontanandolo di fatto da ogni possibilità di miglioramento autonomo, per non parlare dell’espressione della propria unicità. “Si rischia – aggiunge Conte – di coniugare al ribasso il richiamo a quello che per un certo periodo di tempo si è definito lo Stato etico con la logica unica dell’impresa, del mercato, fondata quindi sulla prestazione e sull’efficienza, dimenticando il valore formativo della stessa valutazione e della stessa, imperfetta, misurazione del merito. È necessario poter apprendere dagli errorisenza che questo comporti automaticamente essere inclusi in una classifica dove c’è chi sta sopra chi sta sotto. L’aspetto sanzionatorio può diventare discriminatorio e avere un impatto molto negativo sugli studenti meno fortunati per condizione sociale, che dovrebbero anzi essere aiutati a raggiungere questo merito, come non hanno potuto fare nell’ambiente familiare, a differenza dei loto compagni”.
“La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.Costituzione, art. 34
In ambito narrativo, una scuola come questa è stata immaginata da Christina Dalcher, che in La classe, edito da Nord, racconta di un mondo dove gli studenti più efficienti vengono premiati, e dove tutto il sistema scolastico si basa sulla performance e su un rigido sistema di punteggio. Gli studenti che non riescono a stare dietro ai pressanti ritmi loro imposti, vengono relegati nelle temutissime scuole gialle, che dovrebbero servire per aiutarli a recuperare e a tornare con i loro compagni, ma che in realtà non hanno permesso a nessun bambino di tornare indietro: chi entra in una scuola gialla non riesce mai a uscirne: ecco come il merito può sovrapporsi alla ghettizzazione. Certo, parliamo di un romanzo distopico, ma forse non si distanzia così tanto da certi modelli scolastici.
Interpretare il merito secondo questa logica significa tradire i principi di quell’articolo 34 della Costituzione che diceva che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, avevano il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi: “Non dobbiamo dimenticare – aggiunge Conte – che l’articolo 34 va legato all’articolo 3, che sancisce l’uguaglianza formale e l’uguaglianza sostanziale dei cittadini e che dice che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. In quest’ottica quel capaci e meritevoli non va inteso in senso selettivo, ma va invece collegato a quell’uguaglianza sostanziale, facendo in modo che tutti, senza distinzioni, possano diventare capaci e meritevoli”.
Secondo Conte, infine, per salvaguardare l’interesse degli studenti quando si parla di merito, questa parola andrebbe risignificata nell’ottica che abbiamo visto, in modo che sia messo al centro lo sviluppo della persona, quel portarla dal punto A al punto B dove B è necessariamente migliore di A; un passaggio che implica un affrancamento culturale indipendente dalla condizione sociale della famiglia di provenienza, attraverso la conquista della capacità di comprendere eventuali errori e di poter apprendere grazie a essi, individuando le proprie responsabilità e assumendosele. Il merito andrebbe dunque inteso come qualcosa di cui individualmente appropriarsi come permanente tensione autoformativa e non come adeguamento progressivo a indicatori esterni normativi.
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Vogliamo davvero una scuola basata sul merito? ultima modifica: 2022-12-15T16:00:28+01:00 da