Boscolo, su riforma sostegno contraria all’obbligo di permanenza per 10 anni. Disegno di legge è palese dichiarazione di resa

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di Eleonora Fortunato Orizzonte Scuola,  9.11.2015.  

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Non più esperto nella didattica inclusiva delle sue discipline, ma tutor con formazione specifica separata da quella curricolare. E’ questo il nuovo profilo dell’insegnante di sostegno che emerge dal disegno di legge per la riforma del sostegno presentato in Parlamento dagli onorevoli Fossati, Argentin, Binetti, Carnevali, Coccia, Coscia, Faraone, Malpezzi e Molea.
Inevitabile che il progetto portato in Aula soddisfi qualcuno e scontenti qualcun altro, ma se a fare dure critiche è Daniela Boscolo, docente di sostegno nella scuola secondaria di secondo grado inserita dalla Varkey Foundation nella lista dei 50 “migliori” insegnanti al mondo, beh, la questione allora si fa un poco più interessante.

Professoressa Boscolo, perché non è d’accordo con l’idea di fondo espressa da questo disegno di legge?
“Non è in questo modo che si elimina la delega del progetto di inclusione del ragazzo con disabilità ai soli docenti di sostegno, obiettivo di questo disegno di legge. E’ lapalissiano che il “costruire” competenze specifiche significa automaticamente autorizzare e favorire le deleghe. Questa proposta di legge, non solo propone una preparazione specifica per alcune persone, ma addirittura ruoli diversi. Più che una proposta di Scuola Inclusiva mi sembra una curvatura verso una maggior discriminazione, operata attraverso un’inevitabile divergenza di ruoli, funzioni e utenti. Una discriminazione verso una tipologia di docenti (potranno ancora definirsi docenti della classe i futuri “docenti-assistenti” di sostegno?) e una tipologia di studenti: i disabili.
Operare una modifica così drastica sul ruolo del docente di sostegno è una palese dichiarazione di resa: l’inclusione non è possibile.
Quello che si deve fare, e non si è mai fatto in 40 anni di integrazione, è fornire una formazione di base sulla didattica speciale e disabilità a tutto il corpo docente, allora sì che si agevolerebbe l’inclusione, anche perché il docente di sostegno è assegnato alla classe sempre per meno ore. Inoltre, bisognerebbe agevolare le specializzazioni (ancora molto poche) e rispettare la normativa attuale che prevede, nel ruolo di docente di sostegno, un docente specializzato e si finisca di utilizzare i posti di sostegno come ammortizzatore sociale”.

Per quanto riguarda la formazione alla didattica speciale e alla disabilità, i docenti di sostegno nei quattro ruoli previsti (infanzia, primaria, secondaria di primo grado e secondaria di secondo grado) dovranno affrontare un percorso di sei anni di studi (cinque universitari più specializzazione) prima di raggiungere il loro obiettivo, ed è soltanto allora che si metteranno effettivamente alla prova nelle classi. Condivide anche lei le critiche di chi vorrebbe una pratica già negli anni della formazione universitaria?
“Non ho le stesse informazioni. La proposta di legge (art.4) prevede per gli insegnanti di scuola dell’infanzia e di scuola primaria un percorso di studi di durata quinquennale a ciclo unico.
Il percorso di studi destinato ai docenti di scuola secondaria di primo e secondo grado, sarà costituito da un corso di laurea triennale orientata verso discipline di insegnamento e successiva laurea magistrale in pedagogia e didattica speciale. Per quest’ultima tipologia di docenti è previsto un ulteriore anno di tirocinio formativo attivo, penso come per tutti i futuri docenti di scuola secondaria, ed è la medesima situazione di ora”.

Nella sua esperienza personale, le è capitato più spesso di avere rapporti collaborativi o di delega assoluta da parte dei colleghi?

“L’inclusione è possibile se tutto il personale scolastico è coinvolto e responsabilizzato, in modo speciale i docenti curricolari. La delega è molto più facile dove non c’è alcuna preparazione e dove c’è pregiudizio”.

In termini di didattica, quale valore aggiunto si può creare all’interno di una classe con ragazzi portatori di una qualche forma di disabilità? Certo sarebbe un cambiamento copernicano se i docenti curricolari iniziassero a pensare in questi termini.
“Innanzi tutto è una lezione di vita per tutti, che aiuta a vedere le cose in modo diverso e soprattutto dar loro un giusto valore.
Insegnando alle superiori mi accorgo subito chi, tra gli studenti delle prime classi, ha avuto tra i precedenti compagni di scuola qualcuno con una qualsiasi forma di disabilità. E’ più attento, maturo e sensibile. Direi competenze che un docente/educatore non può sottovalutare da parte di futuri cittadini attivi”.

Nel testo si parla di “indicatori idonei a valutare e ad autovalutare la qualità dell’inclusione scolastica nelle singole classi, nelle singole scuole e nell’intero sistema di istruzione”. Per lei quali dovrebbero essere questi indicatori?
“In primis le strategie didattiche adottate dai docenti. Ci sono modalità di insegnamento/apprendimento che sono inclusive nei confronti di tutti gli studenti, non solo per i ragazzi con disabilità o altri bisogni educativi speciali, quali il cooperative learning, il peer to peer, la didattica laboratoriale. Dove c’è la sola lezione frontale difficilmente c’è inclusione”.

Che cosa ci dice della continuità didattica, non si potrà richiedere il passaggio a un’altra cattedra prima dei dieci anni, è d’accordo?
“Sono fermamente contraria all’obbligo di permanenza a “vita” sul posto di sostegno che la proposta di legge avanza, anche perché si tratta di un ruolo altamente impegnativo, sia dal punto di vista psicologico, ma anche fisico, tanto da far rientrare la professione tra quelle a rischio di burnout. Inoltre, la qualità della vita lavorativa del docente di sostegno dipende molto anche dal contesto più o meno inclusivo e accogliente in cui si trova ad operare. Anche per questo motivo spero nell’aggiornamento obbligatorio in tema di disabilità di tutto il corpo docente e dirigente. D’altra parte ci deve essere una seria e maturata convinzione nel ricercare e accettare il ruolo su posto di sostegno, vista la sua delicata natura, soprattutto dal punto di vista relazionale. Una convinzione tale che possa permettere di svolgere il mestiere con scienza, coscienza e senza la smania di cambiare per alcuni anni (gli attuali 5 mi sembrano adeguati), solo in questo modo, con una certa continuità, si può migliorare il livello di insegnamento, attraverso ricerca ed esperienza. Ripeto, bisogna lavorare sul contesto. Ci sono docenti di sostegno che non cambierebbero mai perché operano in un ambiente positivo e si sentono gratificati, altri purtroppo non vedono l’ora di passare alla propria disciplina, non tanto per il lavoro in sé, quanto piuttosto per fuggire da un contesto infelice”.

Boscolo, su riforma sostegno contraria all’obbligo di permanenza per 10 anni. Disegno di legge è palese dichiarazione di resa ultima modifica: 2015-11-09T14:48:26+01:00 da
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