di Antonio Murzio, Linkiesta, 5.5.2018
– Tra i 14 e i 18 anni, il 28 per cento dei ragazzi è stato vittima di bullismo tradizionale e l’8,5 per cento di cyberbullismo. E l’età dei giovani coinvolti tende ad abbassarsi. I numeri e le storie del bullismo nel libro “Educati alla violenza” .
Che cos’è il bullismo?
Lo psicologo e docente universitario norvegese Dan Olweus, uno dei maggiori studiosi del fenomeno, ha dato la seguente definizione di bullismo: «Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato e vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, ad azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni». Il bullismo, pertanto, presenta queste caratteristiche generali:
- intenzionalità: il bullo agisce deliberatamente con lo scopo di offendere, danneggiare o far del male;
- durata nel tempo: si tratta di atti ripetuti con una certa frequenza;
- disuguaglianza tra bullo e vittima: il bullo è quasi sempre più forte della media dei suoi coetanei; al contrario, la vittima è più debole dei suoi pari; esiste una disuguaglianza di forza e di potere, per cui uno dei due sempre prevarica e l’altro sempre subisce, senza riuscire a difendersi;
- mancanza di sostegno: la vittima si sente isolata ed esposta, spesso ha molta paura di riferire gli episodi di bullismo perché teme rappresaglie e vendette;
- danno per l’autostima della vittima, che si mantiene nel tempo e induce il soggetto a un considerevole disinvestimento dalla scuola e a un progressivo isolamento.
Nei casi più gravi si possono avere anche conseguenze nel medio e lungo termine come l’abbandono scolastico e lo sviluppo di patologie legate alla sfera psichica. Le manifestazioni di prevaricazione si distinguono in dirette o indirette, e quelle dirette possono essere fisiche e verbali. Il bullismo diretto fisico si manifesta in molti modi, per esempio nel picchiare, prendere a calci e a pugni, spingere e appropriarsi degli oggetti degli altri o rovinarli. Il bullismo diretto verbale implica azioni come minacciare, insultare, offendere, esprimere pensieri razzisti, estorcere denaro e beni materiali. Il bullismo indiretto è meno evidente e più difficile da individuare ma altrettanto dannoso per la vittima. Si tratta di episodi che mirano deliberatamente all’esclusione dal gruppo dei coetanei, all’isolamento e alla diffusione di pettegolezzi e calunnie sul conto di chi è preso di mira. Comunemente quando si pensa al bullismo ci si riferisce soltanto a due tipi di soggetti coinvolti: i bulli e le vittime. In realtà esiste una terza categoria, gli spettatori che, anche se non prendono parte attiva agli atti di prepotenza, assistono e svolgono comunque un ruolo importante nella legittimazione di tali condotte.
Capiamone di più con l’aiuto della dottoressa Maura Manca, psicologa e psicoterapeuta, presidente dell’Osservatorio nazionale adolescenza, direttrice del magazine online adolescienza.it e blogger dell’«Espresso» e Agi, che è stata consulente del programma di Raidue #maipiùbullismo. La dottoressa Manca ha deciso di accompagnarci in qualità di esperta nel “viaggio” intrapreso con questo libro.
Quali sono le dimensioni del fenomeno in Italia?
L’Osservatorio nazionale adolescenza monitora anno dopo anno tutte le problematiche degli adolescenti italiani e l’indagine svolta nel corso del 2017 su un campione di ottomila ragazzi ha evidenziato come, nella fascia tra i 14 e i 18 anni, il 28 per cento sia stato vittima di bullismo tradizionale e l’8,5 per cento di cyberbullismo. Nella fascia tra gli 11 e i 13 anni i numeri sono più alti: il 30 per cento dei preadolescenti, infatti, è stato vittima di bullismo tradizionale e il 10 per cento di cyberbullismo. L’indagine svolta nel corso dell’anno scolastico 2017-18 su un campione di undicimilacinquecento ragazzi ha evidenziato come, nella fascia tra i 14 e i 18 anni, il cyberbullismo sia incrementato del 2 per cento passando dal 6,5 per cento all’8,5 per cento.
Un dato preoccupante è che l’età dei minori coinvolti si sia abbassata notevolmente, indice di una manifestazione sempre più precoce di tali condotte. Certamente, il fatto che i ragazzi siano sempre più allo sbaraglio nella rete e senza un adeguato controllo genitoriale porta a una maggiore diffusione di episodi di bullismo digitale e al dilagare di nuove forme di violenza in rete, che vedono le ragazze come vittime predilette dai cyberbulli (70 per cento), che sono per oltre il 60 per cento di sesso maschile. Le chat di messaggistica istantanea, i famosi gruppi su WhatsApp, se usati in modo distorto diventano terreno fertile per i cyberbulli: tre adolescenti su dieci vengono intenzionalmente esclusi dai gruppi classe, mentre quando restano all’interno vengono presi di mira, derisi ed esortati a fare silenzio e a non intervenire perché non hanno nessun diritto di parlare. In altri casi, invece, si arriva a creare gruppi specifici, con il nome delle vittime, in cui scambiare foto, video, immagini ritoccate e modificate, frasi, battute, rigorosamente alle loro spalle.
Un dato allarmante è rappresentato dal 4 per cento degli adolescenti dai 14 ai 19 anni e dal 5 per cento dagli 11 ai 13 anni, che ha filmato o fotografato un coetaneo nel mentre che qualcuno gli faceva del male, senza intervenire, pur di immortalare il momento e renderlo poi virale. Inoltre, dopo l’introduzione nei vari social network delle storie a dissolvenza, i cui contenuti si cancellano automaticamente dopo ventiquattr’ore, la possibilità di inviare messaggi anonimi e la diffusione del fenomeno dell’hate speech (commenti aggressivi e di odio, che riguardano il 22 per cento dei casi), i ragazzi si sentono ancor più legittimati ad aggredire l’altro, perché ulteriormente deresponsabilizzati dall’essere nascosti dietro a uno schermo, dall’anonimato e dalla temporaneità delle storie. Infine, a partire dal fenomeno del sexting, che vede gli adolescenti scattarsi e condividere foto intime e senza vestiti o a sfondo erotico, già dagli 11 anni è sempre più emergente il problema del cyberbullismo sessuale, che coinvolge il 33 per cento dei ragazzi, legato proprio allo scambio di questo tipo di immagini.
Le ragazze rappresentano la categoria più a rischio dal punto di vista della diffusione di materiale intimo e privato, e il 4 per cento racconta di essere stata vittima della vendetta pornografica o revenge porn, ossia il vendicarsi, solitamente per essere stati lasciati o traditi sia in amore che in amicizia, attraverso la pubblicazione sui social o nelle chat di materiale compromettente, con lo scopo di colpire ferocemente l’altro e di esporlo alla gogna mediatica. È importante riflettere su quanto la maggior parte delle situazioni legate al bullismo e al cyberbullismo resti spesso sommersa e non arrivi all’attenzione degli adulti di riferimento, a volte anche perché è difficile riuscire a distinguere episodi transitori, non intenzionali o basati sullo scherzo da situazioni più gravi, in cui si agisce con violenza e in cui le forme di prevaricazione sono sistematiche e continuative.
Tendenzialmente, inoltre, gli adolescenti non parlano con i genitori e con gli insegnanti del dolore che provano e di quello che subiscono e, a volte, quando trovano il coraggio di farlo, evitano di raccontare il loro vissuto più profondo, cercando di alleggerire la situazione per non farli allarmare o per paura delle possibili conseguenze. Nell’indagine del 2016-17 è emerso che il 74 per cento delle vittime, dai 14 ai 19 anni, non ha mai parlato di quello che subisce a scuola o a livello digitale con i genitori e che l’87 per cento, circa nove vittime su dieci, non lo ha mai raccontato agli insegnanti, esprimendo un’importante sfiducia nei confronti dell’istituzione scolastica come strumento efficace di tutela ed intervento. I ragazzi più piccoli esprimono leggermente una maggiore apertura nel parlare con i genitori e con gli insegnanti, nonostante i numeri siano ancora troppo bassi: quattro preadolescenti su dieci, dagli 11 ai 13 anni, riescono a parlare in casa di ciò che vivono a scuola e in chat, rispetto al solo 20 per cento che parla con il corpo docente.
È quanto emerge dai risultati di un’indagine dell’Osservatorio nazionale adolescenza e Skuola.net per Una vita da social, l’iniziativa della polizia di Stato per il corretto uso di internet. Il cyberbullismo presenta risvolti più gravi rispetto al bullismo. Tra le vittime sistematiche delle prevaricazioni digitali, a volte anche quotidiane, il 59 per cento ha pensato almeno una volta al suicidio nel momento di sofferenza maggiore. La continua violenza e i comportamenti offensivi in rete possono generare un tale dolore tra i giovani coinvolti che più della metà di loro, il 52 per cento, confessa di provocarsi del male fisico intenzionalmente. Gli atti di autolesionismo avrebbero la funzione di alleviare, per quei pochi secondi, il disagio psicologico che sentono questi adolescenti. La tristezza è infatti una componente fissa della loro giornata. Se è l’82 per cento a dire di sentirsi frequentemente triste e depresso, circa il 71 per cento esplode in frequenti crisi di pianto. Ci si sfoga, purtroppo, anche attraverso abitudini alimentari sbagliate. Quasi la metà delle vittime di cyberbullismo, il 49 per cento, ammette di aver ridotto drasticamente il cibo, anche perché spesso vengono prese in giro per via dell’aspetto estetico che non corrisponde ai canoni della massa. All’inverso, quasi il 60 per cento si tuffa in abbuffate talmente eccessive da indurre malessere che serve per colmare un vuoto emotivo.
Estratto del libro Educati alla violenza. Storie di bullismo e baby gang di Antonio Murzio (Imprimatur)
.
.
.