Bussetti, il finto rivoluzionario che realizza il programma di Renzi

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di Mauro Monti,  il Sussidiario, 4.9.2018

– Diversamente da quello che potrebbe sembrare, le mosse del ministor Bussetti sono in forte continuità con il centralismo che ha segnato la gestione Renzi-Gentiloni. 

Si avvicina l’inizio delle scuole e il ministro dell’Istruzione Bussetti concede  una raffica di interviste alle principali testate nazionali, sciorinando i temi forti del cambiamento promesso dal suo governo. Le esternazioni si aprono con una toccata e fuga sulla parità scolastica: “le scuole paritarie svolgono un ruolo fondamentale, tuttavia è necessario rivedere il meccanismo di erogazione delle risorse. Andranno poi fatti accurati controlli per l’ottenimento e il mantenimento della parità”.

Si continua con un annuncio di cambiamento dell’esame di maturità che suona come un “cambieremo il cambiamento” che la Fedeli aveva concluso. Si approda ad una bordata contro l’alternanza scuola-lavoro che rappresenta “una esperienza che ha avuto risultati positivi ma è stata molto faticosa e non sempre funziona”. Per questo, promette il ministro, la dimezzeremo, togliendo dall’imbarazzo tante scuole, soprattutto al Sud e soprattutto licei, che appunto “facevano fatica” a gestirla.

Ognuno dei temi proposti meriterebbe un approfondimento specifico, ma giova forse tentare una lettura d’assieme della direzione di governo che ne emerge, certo agganciata al patto Di Maio-Salvini che, ricordiamolo, relegava i temi della scuola ad una paginetta scarna e generica. Verrebbe da dire che il cambio di rotta promesso trova la sua traduzione spicciola nell’azione di smantellamento della cosiddetta “Buona Scuola”. Via quindi la chiamata diretta, via l’alternanza, via l’idea che il nuovo esame di Stato, con debutto al 2019, abbia una paternità renzian-gentiloniana. Ma forse rimarcando questi aspetti si finisce per chiamare “svolta” ciò che è solo maquillage comunicativo, su temi che sicuramente garantiscono visibilità e consenso, ma che non intaccano nel profondo il limite delle gestioni precedenti.

Andando oltre gli slogan il vero punto debole della stagione renziana deve essere individuato nell’arroccamento centralista, sostanzialmente sordo alle istanze di crescita delle autonomie scolastiche. Si tratta del peccato originale che accompagna ogni pensiero riformatore (e rottamatore) perché fa coincidere la novità con il proprio punto di vista e quindi inevitabilmente la vuole introdurre top-down, piuttosto che riconoscerla e agevolarla per una sua presenza dal basso.

Il centralismo sta alla radice dei principali errori che hanno prodotto insoddisfazione e resistenze nel mondo scolastico. Ha spinto fatalmente al dirigismo e quindi a conseguenze funeste come  la centratura  sul preside-demiurgo (chiamata diretta, valutazione premiale dei docenti) oppure la crescita esponenziale della burocrazia scolastica (erogazioni  considerevoli di risorse, ma con meccanismi asfissianti di controllo, come ad esempio per i Pon).

Accettata questa lettura le mosse bussettiane, più che di svolta, appaiono piuttosto di forte continuità con il passato. Partire dalla riforma dell’esame di Stato, infatti, è partire dalla coda, applicando il criterio tipico degli apparati ministeriali, che vogliono armi affilate con cui controllare l’esistente, piuttosto che  scioline per liberarne le potenzialità creative. Per paradosso un vero ministro della svolta sarebbe quello che avesse il coraggio di dire che “il re è nudo” e  che l’esame di Stato oggi serve  a poco, quasi a nulla, anche in relazione a quel che costa.

Più sostanziosamente un governo della svolta sarebbe quello che scegliesse di partire da dove Renzi e Gentiloni hanno fallito e quindi, ad esempio, dalla riforma del sistema della governance scolastica (cfr. il naufragio della riscrittura del Testo Unico). La scuola italiana funziona ancora con meccanismi di governo pensati nel 1974 (gli organi collegiali) e temo continuerà a reggersi  su  tanti anacronismi ancora per molti anni. Così il paradosso a cui assistiamo è che, sul piano politico, oggi è più facile parlare di svolte epocali come l’uscita dall’Europa piuttosto che far evolvere e modificare piccoli, ma consolidati riti scolastici. Probabilmente questa è l’inevitabile realtà a cui oggi siamo condannati, stante gli assetti di una maggioranza che non ha al proprio interno visioni omogenee su questioni centrali come l’idea di nuovi equilibri tra centro e autonomie, tra gestione statale e non statale della scuola, tra difese dei lavoratori e valorizzazione del merito, tra crescita degli apprendimenti e difesa dell’occupazione.

Al ministro Bussetti, che vanta una lunga militanza nei ruoli gestionali della macchina amministrativa, vanno gli auguri di saper almeno esercitare le virtù del buon padre di famiglia che riesce ad oliare i punti più arrugginiti dei processi e contribuisce a distendere le tensioni tra i vari protagonisti della vita scolastica. Anche di questo la scuola ha bisogno, per continuare a produrre quel lavoro dal basso che è l’unica vera speranza di svolta.

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Bussetti, il finto rivoluzionario che realizza il programma di Renzi ultima modifica: 2018-09-04T09:28:08+02:00 da
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