di Claudia Fanti, ReteScuole 2.7.2016
Il ma è enorme.
Sì perché oggi, anche insegnando al meglio delle proprie possibilità, non si può non accorgersi di ciò che manca, che bambini e bambine chiederebbero se avessero voce in capitolo. Tanto tempo fa, ricordo che scrissi qualcosa a proposito della scuola dei sogni, oggi a quelle righe, aggiungerei molto altro.
Tutti noi vorremmo salvare essere umano e ambiente, eppure stiamo crescendo persone che vivono al buio psicologico, senza mai mettere mani e piedi, corpo e mente, dentro alla vita che le circonda. Ore e ore tra quattro pareti, in un movimento circoscritto nel migliore dei casi, ferme al proprio banco nel peggiore. Esattamente il contrario di ciò che agognerebbero: ambienti esterni ricchi di stimoli e di spazi aperti incolti da modificare, studiare, coltivare. Oggi perfino apprendere il ciclo delle stagioni è riservato a pochi fortunati nati in zone lontane da traffico e smog. I nostri bambini devono accontentarsi di illustrazioni, di un’uscita rara (quando qualche compresenza di maestre e maestri ancora resiste e quando essi credono ancora nel valore dell’esperienza diretta).
Ho visitato un nido, di quelli che applicano l’outdoor, e sono rimasta piacevolmente coinvolta fino al punto di dirmi che è profondamente ingiusto relegare tutti gli altri bambini in strutture troppo organizzate per la sicurezza e con minuscoli ambienti esterni a cui accedere soltanto col bel tempo. Ingiusto e dannoso arginare il mare con poco personale, spesso inviperito perché privo dello spazio vitale e dell’aria per respirare.
Ci sono ormai tanti filoni pedagogici che ci parlano di orti, uscite, giardini da creare, campagna da fruire, tuttavia le politiche scolastiche non ne tengono mai conto. Anzi, si definiscono riforme cose che assomigliano a elenchi della spesa, a bilanci della massaia.. Per favore, non chiamiamole riforme. Chiamiamole elucubrazioni mentali di adulti frustrati: controllo su controllo, orari rigidi e tagliati, formazione in direzione di livelli standard di produzione, gerarchie per l’organizzazione interna e per i rapporti col territorio, esperti che entrano nelle aule al posto degli insegnanti per addivenire ad apprendimenti che tengano conto dei codici formali delle materie ben separate le une dalle altre, strumentazione bell’e confezionata, magari il più tecnologica possibile…
In tale clima ciò che dà cuore alla ricerca e alla creativa risoluzione di problemi è totalmente annientato. Stiamo creando soldatini che passeranno al servizio della produzione o al massimo alla guida della produzione, ma stiamo dimenticando totalmente l’essere umano.
Chiamerò Riforma quella che mi darà spazi, verde, fango, neve e pioggia, pozzanghere per giocare ed esplorare, spazi in cui tanti e tante maestri possano darsi il cambio e condurre bambini e bambine alla scoperta della vita, alla ricerca sulle cose e sugli altri esseri viventi, in cui i collaboratori scolastici siano numerosi e formati per il ruolo che occupano di vitale importanza per sostenere un’organizzazione “disorganica”, per scelta, che accetti gli imprevisti e non li maledica.
Chiamerò Riforma quella che lascerà libere le maestre e i maestri di entrare e uscire dalle aule, di soffermarsi, con tutto il tempo che ci vuole, su domande e risposte su qualsiasi argomento emerga nelle classi, senza voti e scalette di varia tipologia, quella che aiuterà gli insegnanti a lasciare il segno ricercando insieme con bambine e bambini, a farli pensare con calma, senza alcun eccesso, senza le prove Invalsi e senza crocette, sostituendole con l’argomentazione e la conversazione, con le camminate pedagogiche, con la possibilità di rallentare i ritmi, quella che ripristini le compresenze, piani orari rispettosi dei bambini e delle bambine e non soltanto del monte ore delle materie e dell’alternanrsi di docenti nell’arco di un tempo ristretto o allungato fino all’inverosimile la mattina per chiudere la scuola il pomeriggio.
Chiamerò Riforma quella che rende seriamente autonome le scuole, affinchè esse possano scegliere e sperimentare modalità di valutazione che non imbriglino le persone in griglie, scalette, sistemi inflessibili.
Chiamerò Riforma quella che lascerà libertà ai Collegi di valorizzare i diversi modi di approcciare discipline e persone, affinchè i docenti possano liberare creatività e originalità, competenze capacità, le quali, come ben sa chi fa l’insegnante, si arricchiscono nel tempo soltanto con il provare e il riprovare, tramite il confronto con altre modalità di lavorare di colleghi e colleghe.
Chiamerò Riforma quella che eliminerà il vecchio e ammuffito utilizzo della competizione fra adulti e studenti come stimolo al risultato, per porre invece sul tavolo della discussione, l’uso di strumenti quali la ragione, il sentire, l’agire, l’ascoltare e il ripensare azioni didattiche e pedagogiche, formazione in servizio, rivalutazione delle discipline del corpo e del loro essere mezzo per rilassare e disporre la mente ad apprendimenti formali.
Chiamerò Riforma quella che darà dignità allo studio della lingua madre come veicolo di espressione del sè in situazione di apprendimento, fuori e dentro gli edifici scolastici, e gli darà dignità riproponendo al centro della formazione iniziale dei docenti, così come di quella dei bambini più piccoli, quegli strumenti cognitivi che permettono di saper leggere, scrivere, studiare, esprimere qualsiasi sfumatura dell’io in situazioni sempre mutevoli, a volte conflittuali, altre serene, altre ancora formali. La lingua dovrà tornare ad essere strumento di pensiero per tutti e per tutte, ciò per consentire di difendersi o aggredire costruttivamente il reale senza subirlo o accettarlo per quel che viene detto che sia.
Chiamerò Riforma quella che favorirà il tempo del dialogo/ incontro fra vecchi e nuovi insegnanti, quel tempo che ora è in modo sovrabbondante dedicato alla “non vita”, a documenti, relazioni, compilazioni, a criteri scritti accanto ai giudizi per giustificarli, spiegarli senza mai raggiungere alcuna meta di significato.
La scuola per essere appetibile, profumata, odorosa di vita e saperi, deve diventare un continuo incontro fra esseri in apprendimento libero, ricerca costante, dialogo fra persone imparanti e insegnanti, deve essere qualcosa di mai conchiuso e concluso, un outdoor di corpo e anima, per riportare a indoor tanti sè ricostruiti, rigenerati, pronti a costruire riflettendo sui processi e i procedimenti dei vissuti e delle esperienze, siano esse le più formali o informali.
La scuola deve, per esistere, essere vita, prova, coraggio di affrontare gli imprevisti, volontà di capirli, di rifiutarli o accoglierli.
Diamo una vera autonomia agli istituti e la scuola italiana sarà la migliore, perchè essa ha già in sè infinite risorse, proposte,differenze, gente che lavora nonostante i limiti asfissianti e soffocanti imposti da un sistema di controlli sulle persone e gli ambienti. Non si voglia che la vita si fermi al Nido per diventare poi brutta copia della vita.
In ultimo: non si faccia che vicende come quella del “bonus” umilino sia chi lo accetta, sia chi lo rifiuta, costringendo gli insegnanti a sprecare energie psichiche, preziose se impegnate a insegnare e a dare a tutti e a tutte la possibilità di avvicinarsi ai propri sogni, in direzione di una continua ed estenuante lotta a favore o contro assurdità depistanti! Torniamo a parlare di insegnamento/apprendimento, per favore. Personalmente non mi pare ci sia nulla di “importante” nelle ultime tristi vicende riformistiche, nulla che cambi verso, nulla che entusiasmi…permane il non senso, la non vita, trionfa l’indoor più piccolo e angusto, quello della persona-insegnante ridotta a piccolo salvadanaio soprammobile in cui far cadere la mancetta domenicale, premio per il comportamento conforme alle richieste dell’autorità.
Claudia Fanti
Chiamerò Riforma ultima modifica: 2016-07-03T06:23:51+02:00 da