Coronavirus, cosa può dire la scienza sulla riapertura delle scuole

Lo scenario è complesso e zeppo di domande senza risposta, ma ci sono indicatori ed evidenze scientifiche che possono aiutare i decisori politici a fare le proprie scelte. Una cosa è certa: il responso della comunità scientifica non potrà mai essere un dicotomico sì o no.

Quando e come andranno aperte di nuovo le scuole, di tutti gli ordini e i gradi, è una delle questioni che fin dall’inizio accompagnano la pandemia del nuovo coronavirus. Una domanda che va ben oltre la semplice questione della formazione, e che è tornata a farsi pressante proprio con l’inizio di maggio e l’esordio per il nostro Paese della cosiddetta fase 2. Oltre all’istruzione delle giovani generazioni, infatti, nel bilancio di questa decisione entrano anche aspetti di salute – fisica e psicologica – degli studenti stessi, ma pure l’equilibrio della gestione quotidiana di molte famiglie, l’attività lavorativa di parecchie categorie professionali e in fin dei conti un pezzetto della nostra economia.

Per di più, come è parso evidente dagli annunci dei politici nostrani e dai provvedimenti adottati da altri Paesi nel mondo, non esistono solo lo scenario delle scuole aperte e quello delle scuole chiuse. Come minimo c’è una terza via, fatta di modalità ibride tra la didattica a distanza e quella in presenza, oppure fondata su una nuova organizzazione delle scuole stesse nonché su una serie di misure di distanziamento e precauzionestudiate ad hoc. Ed è proprio su quest’ultima via che molto probabilmente si svilupperà il futuro del nostro sistema d’istruzione e su cui pure la scienza (o meglio, qualcuna delle varie task force di tecnici e scienziati) è chiamata a dare un proprio parere. Ma non aspettiamoci indicazioni perentorie né tantomeno certezze assolute.

Il ruolo dei bambini nella pandemia

Non a caso questo è anche il titolo (parafrasato) di un editorialepubblicato questa settimana su Science e che ha come tema centrale proprio la riapertura delle scuole. Senza troppi giri di parole, la prestigiosa rivista scientifica ha utilizzato il termine “mistero” per sintetizzare i tanti punti oscuri che ancora restano.

Se ormai è solidamente verificato che l’incidenza dei casi gravi della Covid-19 è molto bassa nelle persone giovani e giovanissime, d’altra parte mancano studi a sufficienza che possano farci affermare che i bambini non possano trasmettere il virus ad altri proprio come accade per gli adulti. Ad esempio, sappiamo che la carica virale presente nella faringe dei pazienti infetti non cambia con l’età. Ci sono peraltro ricerche dai risultati contrastanti: una condotta in Islanda ha concluso che i bambini hanno una capacità di infettare gli altri praticamentenulla, mentre un’altra molto più ampia sulla popolazione cinese è arrivata al risultato opposto, ossia che dal punto di vista del contagio non ci sono differenze tra giovani, adulti e anziani.

Su un paio di punti però pare esserci un largo accordo all’interno della comunità scientifica. Anzitutto, la chiusura delle scuole non serve tanto per proteggere la salute degli studenti stessi, ma per tutelare le loro famiglie e per ridurre la circolazione del virus nella popolazione in generale. E poi che, per moltissime malattie a trasmissione aerea, i contesti scolastici o di aggregazione sono eccellenti occasioni di contagio e di proliferazione dei patogeni, sia per il gran numero di persone tipicamente concentrate in una sola stanza sia per le dinamiche sociali di interazione.

Una fonte ricchissima di contatti stretti

La valutazione qualitativa che a scuola ci sono molte persone con cui si entra in contatto è stata quantificata con precisione nel rapporto della Fondazione Bruno Kessler reso noto alla fine di aprile, e prodotto insieme al Comitato tecnico scientifico. Dai dati emerge per esempio che tra i 5 e i 19 anni la scuola rappresenta il contesto sociale con il maggior numero medio di contatti, superiore a casa, trasporti, lavoro e tempo libero per qualunque fascia d’età. Si parla infatti, in media, di una decina di contatti stretti a testa, molti più di quelli in ambiente domestico (che si collocano tra i 3 e i 5), sul lavoro per gli adulti (dove sono al massimo 8) e collegati a tempo libero, sport e altre attività.

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Il numero medio di contatti stretti per attività e per fascia d’età (tabella: Fondazione Bruno Kessler)

Senza entrare in tutti i dettagli numerici della valutazione, il messaggio conclusivo è che la scuola più di ogni altra attività può incidere sulla risalita della curva epidemica, sulla crescita del tasso di riproduzione R0 e dunque a livello di impatto sul sistema sanitario. Secondo le previsioni pessimiste di un’apertura completamente priva di attenzioni e precauzioni, la scuola da sola potrebbe in pochi mesi determinare la comparsa di circa 50mila casi critici di Covid-19. In termini quantitativi, secondo gli esperti italiani che hanno svolto le varie simulazioni, la sola riapertura (indiscriminata) delle scuole porterebbe il valore di R0 dall’ipotetico 0,65 a un insostenibile 1,35. Naturalmente si tratta di valori che andrebbero accompagnati da una serie di spiegazioni sulle ipotesi a priori, ma in ogni caso il raffronto numerico pare abbastanza eloquente.

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(grafico: Fondazione Bruno Kessler)

I figli a scuola non coincidono col sistema scolastico

Un aspetto decisivo, che è stato fin da subito preso in considerazione ma che resta molto complesso da valutare, è quale sia l’impatto sulla circolazione del virus non tanto dell’avere gli studenti piazzati dentro le rispettive aule, ma della riattivazione di tutta la macchina della scuola. Vale a dire, occorre tenere conto che aprire le scuole significa far tornare al lavoro anche insegnanti, personale amministrativo e addetti a servizi come pulizie, mense e sorveglianza. Per di più, gli studenti non possono essere teletrasportati in classe, ma c’è tutta una componente di trasporto – pubblico e privato – che determina traffico, occasioni di contagio e riflessi su tutta la filiera (pensiamo all’approvvigionamento delle mense, o agli insegnanti che risiedono fuori regione). Infine, l’attività scolastica non consiste solo di alunni diligentemente seduti ciascuno al proprio banco, ma anche di ricreazioni, bagni in comune, uscite e ingressi nei complessi scolastici, per non parlare di attività accessorie ma fondamentali come i laboratori didattici, l’educazione fisica, le gite e i percorsi extracurricolari.

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Coronavirus, cosa può dire la scienza sulla riapertura delle scuole ultima modifica: 2020-05-08T06:57:13+02:00 da
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