di Alessandro Artini, Il Sole 24 Ore, 2.4.2020
– Nell’emergenza, molti presidi e docenti italiani si sono impegnati per realizzare la didattica a distanza. Ma quanti, con precisione? A questa domanda il Ministero ha cercato di rispondere con dei monitoraggi. Di cosa si tratta?
I monitoraggi
Così risponde il vocabolario on line Treccani: il monitoraggio è un’«osservazione, a scopo di controllo, di una grandezza variabile eseguita mediante appositi strumenti». Ma, nel mondo scolastico, che affidabilità hanno le risposte? Se esse sono date dalle scuole, non si deve dimenticare che queste ultime (e i loro presidi) hanno tutto l’interesse a far bella figura. Inoltre, è difficile controllare la loro veridicità. In altri casi, se i monitoraggi sono rivolti ad alunni e genitori, forse il grado di attendibilità è maggiore, perché non entra in gioco l’elemento del prestigio, che può confliggere con l’oggettività. Ma i monitoraggi non sono censimenti e risponde chi vuole. Cosa potranno suggerire i dati, se in alcune scuole (o in alcune aree geografiche) molti rispondono e in altre no? Il dato quantitativo di questi monitoraggi, a macchia di leopardo, risulterebbe di difficile interpretazione. Allora, perché utilizzare un tale strumento?
La ricerca sociale
Oggi la ricerca sociale ha compiuto molti progressi ed è possibile, con le dovute conoscenze statistiche e sociologiche, strutturare un campione che sia adeguatamente rappresentativo dell’universo scolastico. Se un campione è ben costituito, non occorrono numeri elevatissimi di persone da intervistare. La ricerca, così, potrebbe portare (credo più rapidamente dei monitoraggi) a degli esiti. Del resto, più che il controllo di un processo (si rilegga la definizione più sopra), oggi l’opinione pubblica più evoluta vuol sapere se la didattica a distanza funziona oppure no. Vuol conoscere cioè i risultati.
In passato i monitoraggi ministeriali e quelli degli Uffici scolastici regionali erano piuttosto numerosi, tant’è che l’Associazione Nazionale Presidi aveva parlato di «molestia amministrativa». In questi giorni di grande lavoro, il rischio che una tale definizione risultasse ancora del tutto calzante è stato elevato.
La didattica a distanza
Del resto il Ministero dovrebbe sapere che la didattica a distanza funziona se il meccanismo con il quale è attuata è stato efficace. In alcuni casi, le scuole si sono affidate ai docenti coordinatori di classe per definire un orario di tanto in tanto; in altri, si è fatto affidamento sulla buona volontà dei singoli insegnanti. Sia nel primo, sia nel secondo caso, si sono creati dislivelli, talora forti, di attività tra una scuola e l’altra. Alcuni alunni hanno fruito di molte lezioni, altri no. È andata meglio con quelle scuole che hanno strutturato il nuovo orario «a distanza», utilizzando quello curricolare e riducendo la durata delle singole lezioni (più o meno la metà di quella tradizionale).
Forse la cosa migliore sarebbe stata quella di chiedere alle singole scuole come hanno fatto ad attuare la didattica a distanza e con quali criteri.
Alessandro Artini, Presidente Anp Toscana
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Didattica a distanza, tutti i limiti del monitoraggio del ministero ultima modifica: 2020-04-02T06:01:15+02:00 da