TuttoscuolaNews, n. 1154 del 27.1.2025.
L’inchiesta di Fanpage sui certificati falsi per scalare le graduatorie dei docenti fa tremare il mondo della scuola.
Dopo l’indagine di Tuttoscuola, che ha puntato i riflettori sui “diplomi facili” di maturità, con una mappatura precisa degli istituti paritari sospetti e del relativo, inqualificabile “turismo da diploma” di decine di migliaia di studenti da Nord a Sud, arriva ora un altro pregevole lavoro giornalistico, che scoperchia il pentolone di quel mercimonio di certificati e titoli di studio, rilasciati truffaldinamente in un sistema pressoché privo di controlli. Che danneggia tutti, a partire da chi analoghi certificati li ottiene con onestà e da chi li rilascia con serietà. Nelle notizie successive parliamo della “Cattiva scuola” di chi ne sfrutta le falle, raccontata da Fanpage.it.
La presa di coscienza che la scuola italiana sia contaminata da chiazze così sudice – né piccole, né comparse oggi, attenzione – è dolorosa. Deprimente. E imbarazzante per il Paese, perché non si può nascondere che certi mali che attecchiscono da noi sono persino difficili da raccontare all’estero, perché quasi sconosciuti, almeno nelle dimensioni assunte in Italia (e soprattutto in certe aree, non può essere sottaciuto anche se addolora: l’accento ascoltato nelle ultime intercettazioni è lo stesso che si parla nella “terra dei diplomifici“). Ma tale presa d’atto è improcrastinabile. E deve essere quanto mai profonda, non si può fermare né alle denunce da teatrino della politica (certi traffici prosperano da lustri durante i quali si sono avvicendate tutte le principali forze politiche) né a tardive ispezioni esposte a ricorsi. Vanno irrobustite le regole.
C’è da augurarsi che il Ministero dell’Istruzione e del Merito reagisca prontamente, come ha fatto per i diplomifici. Il comunicato a firma di Giuseppe Valditara rappresenta una risposta chiara cui devono seguire interventi di sistema, con la partecipazione e l’impegno convinti del mondo politico, sindacale e associativo. Né può bastare tirare in causa altri Ministeri, perché allora lo sguardo andrebbe rivolto alla Presidenza del Consiglio.
Per fare veramente pulizia è bene aver chiare un altro paio di cose.
Primo: coloro che più di tutti sono danneggiati dal traffico di titoli falsi per insegnare sono gli studenti, sempre loro (poveracci), che si ritrovano troppi insegnanti che non hanno i requisiti per svolgere quel delicatissimo mestiere.
Secondo: quegli aspiranti docenti che abbiamo sentito dire “se vuoi entrare sei costretto” e accettano le scorciatoie invece di rafforzare la propria preparazione, non hanno giustificazioni e dovrebbero stare lontani dalla scuola, invece di superare i colleghi di graduatoria che non possiedono (come loro) quelle competenze ma non imbrogliano: “chiagni e fotti”, secondo l’espressione vernacolare napoletana.
Chi pensasse che la strada sia quella di rinunciare a verificare le competenze per lavorare nella scuola -che siano linguistiche, informatiche o di altro tipo – sarebbe in malafede. Il problema non è lo strumento, ma come lo si usa e se lo si inquadra in un solido sistema di regole e controlli.
Ma non ci vogliamo limitare alla denuncia, parliamo anche di soluzioni. Per cancellare i certificati-fici senza buttare il bambino con l’acqua sporca, la soluzione è una: si chiama certificazione sotto accreditamento ed è già applicata ad alcune competenze, come quelle digitali che nell’epoca che viviamo sono imprescindibili per tutti, a partire da chi aspira a lavorare nella scuola. Proprio quel “sistema comune di certificazione” suggerito dal Rapporto Draghi per il rilancio della competitività dell’Unione europea “per rendere le competenze acquisite attraverso i programmi di formazione facilmente comprensibili dai potenziali datori di lavoro in tutta l’UE”.
Di che si tratta? Ne parliamo nella notizia successiva.
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