La ricercatrice Sabrina Molinaro: “Questi ragazzi affermano di avere difficoltà relazionali. Hanno tra i 15 e i 17 anni e si sono rinchiusi in casa per oltre sei mesi”
Dottoressa Molinaro che novità fa emergere il vostro studio rispetto a quello che già si sapeva sul fenomeno?
“Il nostro studio offre il primo dato quantificativo rilevato attraverso un protocollo di studio standardizzato a livello europeo, ESPAD, consentendoci di proiettare una stima sulla popolazione studentesca. Anche se riguarda uno specifico target, gli studenti 15-19enni, i risultati emersi risultano importanti sia perché relativi alla popolazione più interessata dal fenomeno, sia perché ci permettono di osservare il fenomeno nelle fasi di nascita, quando le motivazioni e le spinte a intraprendere l’autoreclusione stanno maturando all’interno del ragazzo o della ragazza. Nonostante non esista ancora un chiaro criterio diagnostico o di screening dell’hikikomori, lo studio aggiunge molte informazioni rilevanti riguardo ai giovani che possiamo considerare a rischio di ritiro sociale, suggerendo pattern di isolamento diversificati tra ragazzi e ragazze e fattori di rischio che meritano di essere tenuti in considerazione in un’ottica di prevenzione e monitoraggio del fenomeno”.
L’identikit dei ritirati sociali
In base ai dati che avete raccolto quale è l’identikit del ritirato sociale italiano?
“Grazie al nostro studio è stato possibile individuare gli adolescenti che al momento della rilevazione frequentavano la scuola ma che, in passato, si sono ritirati dal contesto sociale per un tempo superiore ai sei mesi. Si tratta soprattutto di ragazzi e di giovanissimi tra i 15 e i 17 anni. Ci dicono di essersi ritirati per problematiche di natura psicologica, perché non avevano voglia di vedere nessuno o per problemi relazionali con il partner o gli amici. Inoltre, rispetto a coloro che sono rimasti isolati per un tempo inferiore ai sei mesi, affermano più spesso di essersi ritirati a causa di problemi familiari o per motivazioni legate alla scuola, come il non aver voglia di frequentare o l’avere problemi relazionali con gli insegnanti e il personale scolastico. Nel caso in cui non abbiano mantenuto alcun contatto con amici e parenti riferiscono di averlo fatto perché socializzare crea loro particolare ansia o perché non gli interessa. Durante il periodo di ritiro volontario hanno largamente utilizzato la tecnologia, molti riferiscono di aver ascoltato musica (69,4%), giocato online (55,3%) o utilizzato i social network (55%). Questo aspetto trova conferma nel fatto che, tra coloro che si sono isolati per più di 6 mesi, vi è un maggior numero di giovani che presentano un profilo di utilizzo di Internet e di videogiochi a rischio rispetto a coloro che sono rimasti ritirati per minor tempo. I ragazzi che in passato sono rientrati nella definizione di hikikomori affermano in percentuale maggiore che i propri genitori abbiano accettato il loro isolamento senza porsi domande. Si osservano inoltre associazioni tra questo fenomeno e il consumo di psicofarmaci senza prescrizione medica o l’essere stati vittima di cyberbullismo. Infine, è interessante notare che quasi un quinto dei ragazzi hikikomori, non esce mai dalla propria stanza se non per andare a scuola. Questa fetta di ragazzi risulta oltre tre volte superiore rispetto a quella osservata tra tutti gli studenti”.
Quali sono le attività preferite dagli hikikomori?
“Le attività prevalentemente svolte durante il periodo di ritiro sono state quelle legate all’utilizzo di Internet e della tecnologia: ascoltare musica, stare sui social o giocare ai videogame, guardare la tv. Vi è inoltre una quota di giovanissimi che ha riferito di aver trascorso il suo tempo prevalentemente dormendo. Differenziando i ragazzi che si sono isolati per più di 6 mesi da quelli che lo hanno fatto per un tempo minore, si osservano soprattutto differenze relative al giocare online e al fare uso di sostanze psicoattive”.
Quanto è importante l’integrazione sociale per arginare il fenomeno del ritiro sociale?
“Come è emerso anche dal profilo di questi giovani delineato precedentemente, l’aspetto sociale del fenomeno risulta molto importante sia in termini di relazione con i familiari sia con gli amici o con il personale scolastico. Questi ragazzi affermano di avere difficoltà sociali e relazionali che talvolta si traducono in uno scarso interesse verso il frequentare qualcuno. Non è detto però che all’interno della loro camera non instaurino o mantengano relazioni con altre persone, aiutati dall’uso di Internet e social media. Spesso sono relazioni basate su specifici interessi comuni, come per esempio la predilezione per determinati videogame. Tuttavia questo non è l’unico aspetto che emerge in quanto molti ragazzi che sono rientrati nella definizione di hikikomori riferiscono problematiche di natura psicologica o l’utilizzo disfunzionale di Internet o dei videogame, fattori che potrebbero contribuire all’aggravarsi o al mantenimento dell’isolamento”.
Secondo i dati da voi raccolti l’isolamento è un fenomeno che riguarda più le città o i paesi?
“La letteratura è ancora incerta sul fatto che il fenomeno sia maggiormente diffuso nelle zone rurali o urbane. Sicuramente esso è particolarmente legato alle tipologie di relazioni che intercorrono in un determinato ambiente e alla pressione sociale. Questo dato potrebbe essere interpretato alla luce di una maggiore difficoltà relazionale che si potrebbe riscontrare in piccoli paesi così come alle minori possibilità di svolgere attività di gruppo attraverso la presenza di luoghi di aggregazione e di ritrovo sportivo o culturale”.
Quali sono le differenze riscontrate fra i ragazzi e le ragazze coinvolti nel fenomeno?
“I ragazzi affermano in percentuale maggiore di aver trascorso il proprio tempo giocando online mentre le ragazze guardando la televisione o dormendo. Quest’ultimo dato risulta particolarmente interessante e suggerisce la necessità di rivolgere una particolare attenzione verso le ragazze nonostante esse siano un numero minore rispetto ai ragazzi. In linea con questo, le ragazze affermano più frequentemente che, pur non essendosi socialmente ritirate, avrebbero voluto farlo e si auto identificano più spesso nella definizione di hikikomori”.
Invece, le differenze fra gli Hikikomori giapponesi e i ritirati sociali italiani?
“La cultura italiana differisce in molti modi da quella giapponese e questo si ripercuote inevitabilmente anche sulle caratteristiche degli hikikomori e sulle motivazioni del ritiro. Tuttavia, negli ultimi anni, il fenomeno del ritiro sociale ha riguardato anche altri contesti, soprattutto paesi ad alto reddito e con ampio sviluppo e diffusione della tecnologia. Questo ha quindi portato a rivedere l’ipotesi di sindrome legata alla cultura. Il quadro che emerge dal nostro studio è sostanzialmente in linea con quanto osservato tra i ragazzi giapponesi e ne riprende le caratteristiche principali. In questo contesto, il monitoraggio del fenomeno risulta particolarmente importante per poter approfondire le diverse sfaccettature che caratterizzano il ritiro sociale nel contesto italiano e, soprattutto, i campanelli di allarme che possono portare a una individuazione precoce dei ragazzi a rischio”.
Scuola e ritiro sociale
Quanto è connessa la dispersione scolastica con il ritiro sociale?
“La dispersione scolastica e il ritiro sociale sono profondamente collegati. Il fenomeno hikikomori generalmente si sviluppa proprio a partire da un lungo periodo di assenza da scuola, per evitare il contatto con i compagni o con gli insegnanti che, in alcuni casi, viene percepito come doloroso e fonte di disagio. In questi casi può venirsi a creare un circolo vizioso e infine cronicizzare. La scuola è il primo baluardo, riuscire a mantenere il ragazzo nelle maglie della frequentazione, anche differita, per esempio in orario extrascolastico o in sedi separate, è un passo decisivo per limitare precocemente l’allontanamento. In base a quanto ci hanno riferito i dirigenti ci sono già Istituti scolastici che, in caso di certificazione di ritiro sociale, intraprendono azioni atte a consentire in qualche modo il proseguimento degli studi anche eventualmente attraverso il sostegno didattico alla famiglia o la didattica a domicilio. Inoltre, come suggerito in letteratura, anche la condizione di NEET (Not in Employment Education or Training), ovvero di giovane non impiegato né a livello lavorativo né scolastico, risulta essere un potenziale fattore di rischio per lo sviluppo della sindrome hikikomori”.
Quanto è conosciuto il fenomeno degli Hikikomori a scuola e come si sta organizzando la scuola per recuperare questi ragazzi?
“Questo dato non è ancora del tutto chiaro, servirebbero ulteriori rilevazioni che tengano in considerazione anche le specificità territoriali, però possiamo dire che i dirigenti hanno mostrato una certa conoscenza e gli insegnanti una grande sensibilità all’argomento. Quasi il 27% dei dirigenti che ci hanno fornito indicazioni sulla propria esperienza ha riferito di aver ricevuto una certificazione di ritiro sociale mentre circa il 23% degli insegnanti ritiene che almeno uno degli alunni della sua classe sia a rischio di ritiro sociale. Riguardo alla conoscenza del fenomeno quasi il 13% dei professori ci ha detto di non saper rispondere alla domanda sugli studenti a rischio di isolamento e l’82% che sarebbe favorevole a una formazione specifica a questo riguardo. Per quanto riguarda le situazioni in cui gli insegnanti stessi hanno riscontrato una situazione a rischio le principali azioni intraprese hanno riguardato l’adozione di interventi creati in accordo con l’AUSL o il comune, l’istituzione di spazi appositi per accogliere gli studenti a rischio e il concordare con loro orari di frequenza ridotti o personalizzati”.