Istat: Italia sotto la media europea per i bambini iscritti ai nidi per l’infanzia

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Il Sole 24 Ore, 5.11.2021.

I dati contenuti nel report «Nidi e servizi integrativi per la prima infanzia». Rimane ampio lo scarto territoriale Nord-Sud. Gli effetti della pandemia.

Sotto la media europea la frequenza al nido d’infanzia. Sulla base dell’indagine campionaria europea sui redditi e le condizioni di vita delle famiglie, in Italia i bambini sotto i 3 anni che frequentano una qualsiasi struttura educativa sono il 26,3% nel 2019, valore inferiore alla media europea (35,3%). Sono dati contenuti nel report «Nidi e servizi integrativi per la prima infanzia». In altri paesi del Mediterraneo si registrano nello stesso anno tassi di frequenza ben superiori (Spagna 57,4%, Francia 50,8%). Il dato si riferisce alla frequenza di qualsiasi servizio educativo, inclusi gli “anticipatari” alla scuola d’infanzia che in Italia rappresentano il 5,1% dei bambini sotto i 3 anni. Al netto degli anticipatari e dei
beneficiari dell’offerta comunale (14,7%), si stima intorno al 6,5% la quota di bambini iscritti nei nidi privati non finanziati dai Comuni. Tra i fattori che influiscono sulle scelte delle famiglie vi sono i costi del servizio, soprattutto per l’accesso ai nidi privati, e la scarsa diffusione dei servizi, che penalizza soprattutto i residenti in alcune aree del Paese. I criteri di selezione delle domande da parte dei Comuni per l’accesso ai nidi pubblici tendono
inoltre a favorire le famiglie in cui entrambi i genitori lavorano, per sostenere la conciliazione degli impegni lavorativi e di cura. I servizi per la prima infanzia hanno però anche una funzione educativa e concorrono all’inclusione sociale e al riequilibrio delle distanze socio-economiche (come sancito dal Decreto legislativo 65 del 2017) e si configurano quindi come un diritto per i bambini, per cui occorre monitorare i divari di utilizzo e accessibilità in base alle condizioni socio-economiche delle famiglie di appartenenza.

I genitori

La condizione lavorativa della madre ha un peso determinante per l’accesso ai nidi: le famiglie in cui la madre lavora usufruiscono per il 32,4% del nido, contro il 15,1% delle famiglie in cui solo il padre lavora; tale differenza non si riscontra se si considera la condizione lavorativa del padre. Le famiglie in cui lavora un solo genitore possono avere difficoltà ad accedere ai nidi privati, per l’onerosità delle rette, eai nidi pubblici per i criteri di accesso applicati dai comuni. Le famiglie con due redditi, invece, hanno maggiore probabilità di iscrivere i bambini al nido. Infatti, il reddito netto annuo equivalente delle famiglie con bambini che usufruiscono del nido è mediamente più alto (24.213 euro) di quello delle famiglie che non ne usufruiscono (17.706 euro) e i tassi di frequenza aumentano all’aumentare della fascia di reddito delle famiglie (dal 19,3% del primo quinto direddito si passa al 34,3% dell’ultimo quinto). Il titolo di studio dei genitori si conferma una discriminante della scelta del nido. Prendendo inconsiderazione il titolo di studio più alto in famiglia, il possesso di laurea o titolo più alto è associato al33,4% di frequenza del nido, che scende al 18,9% per i genitori con al massimo il diploma superiore.

Meno beneficiari “bonus asilo nido”: effetto pandemia

Il “bonus asilo nido” è una misura di sostegno economico, introdotta nel 2017 con la legge 232/2016vii,che ha l’obiettivo di incentivare la fruizione di nidi pubblici e privati attraverso l’erogazione di uncontributo annuo a rimborso delle spese sostenute dalle famiglie.Dal 2017 al 2020, l’Inps ha erogato complessivamente per il bonus 523 milioni di euro, con una spesacrescente fino al 2019. Nel 2020 i dati forniti dall’Inps mostrano una battuta d’arresto, a causa dellechiusure temporanee dei servizi per la pandemia da Covid-19 e della rinuncia delle famiglie a utilizzareregolarmente il servizio nel corso dell’anno.Sono 271.780 i beneficiari del bonus nel 2020 (21,2% dei bambini 0-2 anni), quasi 18mila in menorispetto all’anno precedente (21,5%). Il lieve calo dei percettori del bonus si accompagna a un minornumero di mensilità percepite nell’anno: la media per beneficiario passa da 6,4 mensilità nel 2019 a 4,6nel 2020. Diminuiscono quindi l’importo medio annuo percepito dal singolo beneficiario (da 833 a 725euro annui) e la spesa complessivamente erogata dall’Inps (197 milioni di euro nel 2020, 44 milioni inmeno rispetto al 2019).Nel 2020 si rilevano diseguaglianze territoriali già riscontrate negli anni precedenti. La quota di bambinidi 0-2 anni fruitori del bonus è 28,8% al Centro, 24,3% al Nord-est, 21,6% al Nord-ovest, 14,7% al Sud e 16,1% nelle Isole. Varia notevolmente anche l’importo pro-capite percepito: al Centro un bambino residente di 0-2 anni riceve in media 210 euro all’anno a fronte dei 93 euro erogati a un bambinoresidente del Sud. Queste differenze sono strettamente correlate alla eterogeneità dell’offerta sul territorio. Nelle regioni meridionali il numero di utenti del bonus raggiunge quasi sempre il livello dei posti disponibili e a volte lo supera leggermente per la possibile rotazione dei bambini nell’anno di riferimento. Nel Mezzogiorno, quindi, l’aumento ulteriore dei beneficiari dei contributi richiederebbe una maggiore capacità ricettivadel sistema di offerta. Al Nord e al Centro, invece, esiste una quota di posti disponibili per altri potenzialibeneficiari del bonus.Le diseguaglianze territoriali nell’offerta di servizi possono limitare quindi la funzione di sostegno alladomanda del contributo statale, meno accessibile alle famiglie laddove i servizi sono poco diffusi.

Diminuiscono gli “anticipatari” alla scuola d’infanzia

Nell’anno educativo 2019/2020, a differenza di quanto si rileva per i servizi dedicati ai bambini sotto i 3anni (che nel 73,7% dei casi non frequentano alcuna struttura), nella scuola d’infanzia si registra il90,5% di frequenza per i bambini tra i 3 e i 5 anni. Frequentano la scuola d’infanzia anche 68.324 bambini di 2 anni, iscritti come “anticipatari”, che sonoil 14,6% dei residenti della stessa età, e il 5,1% dei bambini sotto i 3 anni. Una piccola parte degli anticipatari sono “irregolari” (0,7% dei bambini di 2 anni), perché compiono 3 anni dopo il 30 aprile dell’anno educativo di riferimento, limite previsto per l’accesso anticipato alla scuola d’infanzia. Il fenomeno appare inversamente correlato alla diffusione dell’offerta dei servizi specifici per la prima infanzia: in Emilia-Romagna e in Valle d’Aosta, dove la copertura dei posti rispetto ai bambini di 0-2anni supera il 40%, gli anticipatari sono poco più del 2% di questa fascia di età; in Calabria si registra invece il 10,9% di copertura e il 9,9% di anticipatari. Nelle aree del Paese dove l’offerta di servizi è carente la domanda insoddisfatta sembra indirizzarsi verso un percorso educativo non appropriato alla delicata fascia di età dei bambini sotto i 3 anni. Inoltre, le scelte delle famiglie possono essere influenzate anche dalla gratuità della scuola d’infanzia, salvo la quota riferita alla mensa. Nel tempo gli anticipatari diminuiscono lievemente ma con andamento regolare: dal 15,7% dei bambinidi 2 anni nel 2011 passano al 14,6% nel 2019. Nell’ultimo anno la riduzione riguarda soprattutto leregioni del Mezzogiorno, e può essere messa in collegamento con l’arricchimento dell’offerta di servizieducativi: infatti a 4mila posti in più nel Mezzogiorno corrispondono 1.736 anticipatari in meno.L’incremento dei posti disponibili e la recente introduzione di contributi statali, che alleggeriscono i costisostenuti dalle famiglie per il nido, stanno contribuendo a indirizzare le scelte educative per i bambinidi 2 anni verso servizi specifici per la loro età piuttosto che verso la scuola d’infanzia.

I servizi

Al 31 dicembre 2019 (prima dell’interruzione del normale andamento dell’anno educativo 2019/2020 dovuta all’emergenza sanitaria da Covid-19) sono attivi sul territorio nazionale 13.834 servizi per la prima infanzia, circa 500 in più rispetto all’anno precedente. I posti complessivi sono 361.318, di cui il 50% all’interno di strutture pubbliche, a titolarità dei Comuni. L’offerta si compone principalmente di nidi d’infanzia (78,8%), ovvero gli asili nido istituiti nel 1971 (legge 1044/71). I posti rimanenti sono in parte nelle sezioni primavera (12,6%), che accolgono bambini dai 24 ai 36 mesi e si collocano prevalentemente nelle scuole d’infanzia, in parte nei servizi integrativi per la prima infanzia (8,6%), che comprendono le tipologie degli spazi gioco, dei centri per bambini e genitori e dei servizi educativi in contesto domiciliare. In lieve incremento, dal 25,5% dell’anno educativo 2018/2019 al 26,9% del 2019/2020, la percentuale di copertura dei posti rispetto ai residenti da 0 a 2 anni, sia per l’aumento dell’offerta complessiva e sia per la riduzione dei bambini sotto i tre anni (dovuta al calo delle nascite). Nonostante i segnali di miglioramento, l’offerta si conferma ancora sotto il parametro Ue pari al 33% di copertura dei posti rispetto ai bambini. Questo era il target da raggiungere entro il 2010, stabilito nel 2002 in sede di Consiglio europeo di Barcellona, a sostegno della conciliazione tra vita familiare e lavorativa e della maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

 

Il Report ISTAT: Nidi e servizi integrativi per la prima infanzia

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Istat: Italia sotto la media europea per i bambini iscritti ai nidi per l’infanzia ultima modifica: 2021-11-05T06:58:21+01:00 da

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