di Gianni Trovati, Il Sole 24 Ore, 13.9.2017
– Pochi laureati, troppo concentrati sulle materie umanistiche all’interno di un sistema universitario pesantemente sottofinanziato, e caratterizzato da un Sud che arranca sempre di più. Anche dalla nuova indagine Ocse che mette a confronto i sistemi educativi dei Paesi sviluppati ( Education at a Glance 2017 , presentata ieri a livello mondiale, e in Italia da Luiss e Associazione TreElle), la nostra accademia esce acciaccata. Complice un investimento strutturalmente ultraleggero nell’educazione terziaria (7.114 dollari per studente contro gli 11mila delle medie Ue e Ocse, 0,9% del Pil contro l’1,6% della media europea), capacità attrattiva e spinta dell’università continuano a essere modeste.
Nella popolazione in età attiva (18-64 anni), solo il 18% ha una laurea, cioè la metà esatta rispetto alla media Ocse, e il recupero fra i più giovani è lento (26% di laureati nella fascia 25-34 anni, la media Ocse è al 43%) e macchiato da due problemi. Il primo è il rapporto fra titolo di studio e successo occupazionale, complicato anche dal peso delle lauree umanistiche (30% dei laureati totali, e 39% fra i titoli di primo livello del 2015, rispettivamente 11 e 16 punti sopra la media Ocse) più difficili da spendere sul piano occupazionale. Un quadro che non piace alle imprese, che tornano a chiedere un orientamento più mirato ai profili scientifici e tecnologici: «Il futuro di Industria 4.0 – sostiene Giovanni Brugnoli, Vice Presidente di Confindustria per il Capitale Umano – chiede sempre più laureati Stem, ossia in Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica. L’istruzione senza una specializzazione in questi ambiti, non solo penalizza le imprese ma, spesso, favorisce la disoccupazione. Anche le lauree umanistiche accrescono la cultura dei nostri giovani e consentono sbocchi occupazionali, ma un eccesso di queste tipologie di laureati non è certo garanzia di futura occupazione».
Ma i numeri più preoccupanti si incontrano nella geografia delle lauree e del loro intreccio con l’occupazione. Il dato italiano nei giovani che non studiano né lavorano (26% di Neet fra i giovani di 15-29 anni, dietro solo al 28% della Turchia mentre l’Ocse nel suo complesso si ferma al 14%) è figlio della classica media del pollo: a Bolzano lo stallo riguarda un giovane su 10, mentre nel Sud ferma un ragazzo su tre e in Sicilia e Calabria la quota balza al 38%. Speculare il quadro dei laureati, con il Centro e il Nord che contano il 29 e il 27% di laureati fra i 25-34enni e il Sud che si ferma al 21%, con il record negativo di Sicilia e Sardegna (19%).
E la distanza sembra destinata ad aumentare, come suggeriscono i dati del ministero su iscrizioni e lauree. Fra 2009/10 e 2015/16 la platea degli universitari italiani si è alleggerita dell’8,8%, ma nel NordOvest il dimagrimento non c’è stato, nel NordEst è stato leggero mentre fra Sud e Isole è stato drammatico (-17,5% e -20%). Un quadro analogo si incontra fra gli immatricolati (stabili al Nord Ovest, -22,5% al Sud), a segnare un futuro senza cambi di rotta. Certo, su questi ultimi numeri pesa l’emigrazione accademica, che sposta gli studenti dalle Regioni del Sud agli atenei del Centro-Nord: solo chi può permetterselo, però, frenendo ulteriormente quell’ascensore sociale che è un altro dei grandi assenti italiani secondo l’Ocse.
Anche la scuola evidenzia luci e ombre: le risorse sono più o meno in linea con la media Ocse (anzi negli ultimi anni la spesa per studente è rimasta sugli stessi livelli, se non aumentata, a fronte di una contrazione dei ragazzi). Il punto è che continuiamo a spendere male: il rapporto alunni/insegnanti (dato 2015) è 12 a 1 (alla primaria la media Ocse è 15 a 1; nella secondaria 13 a 1 – l’Italia viaggia a livelli più bassi); e il tempo di insegnamento netto, a medie e superiori, dei nostri docenti resta di 616 ore (nell’area Ocse la media è 712 ore alle medie, 662 ore alle superiori). I prof italiani sono poi anziani: gli over50 alla primaria sono il 60% si sale al 71% nella secondaria superiore, a fronte, rispettivamente, del 32% e del 40% della media Ocse. E l’elevato numero di insegnanti spiega buste paghe piuttosto leggere. La buona notizia arriva dall’infanzia: la partecipazione degli alunni italiani è «quasi universale»: i tassi d’iscrizione sono del 92% per i bambini di tre anni, del 94% per gli alunni di quattro e del 97% per quelli di cinque.
.
.
Italia senza lauree scientifiche ultima modifica: 2017-09-13T06:06:05+02:00 da