L’ossimoro INVALSI: valutazione formativa ma standardizzata

roars_logo

di Renata Puleo, Roars, 7.12.2020.

Gilda Venezia

La cornice ammiccante della nuova proposta INVALSI è già stata commentata nella prima parte del contributo dedicato ai cosiddetti Test Formativi. Quel che vogliamo richiamare qui è la base stessa su cui si fonda il progetto: l’ossimoro-chiave, insito nella locuzione “Formative Testing”. La  valutazione formativa esclude i test, nel senso di elenchi di items  – risposte aperte o chiuse – che vanno a cercare ciò che ci si aspetta di trovare.  E nonostante tutti gli aggettivi utilizzati dall’INVALSI per segnare  la differenza tra i test obbligatori e i nuovi “formativi” (“diverse e complementari”,  “volontarie, non sostitutive”)  non si alleggerisce la contraddizione:  l’aggancio alle prove censuarie è evidentissimo. I test Formativi esisteranno in quanto esistono i test censuari obbligatori. I primi non sono dati senza i secondi.  Il nuovo progetto INVALSI, insomma, proposto come novità e cambiamento, è una solo una variazione sul tema. La stessa volontarietà, letta alla luce di ciò che è accaduto alla scuola in questi ultimi anni, non lascia certo ben sperare. La storia dei test INVALSI, da sperimentazione a estensione dell’obbligo di somministrazione, fino a ruolo dell’Istituto come Perito di Stato – a spese del contribuente –  è una storia di minuziosa elaborazione di consenso, veicolato dai Dirigenti Scolastici di rango manageriale e pseudo autonomi, cullato dalla pigrizia degli insegnanti, viziato dalla spocchiosa  indifferenza di una larga fetta di docenti e sindacati –  che ritengono i test inutili ma non dannosi –  favorito dalla stampa compiacente, da alcuni intellettuali, editorialisti e dai gruppi di potere.


Pubblichiamo qui la seconda parte del contributo di approfondimento dedicato al progetto Persoci s Strumenti INVALSI.

Qui il link alla prima parte.

La lettura delle pagine dedicate alla presentazione dei Formative Testing (FT), mentre si attende la pubblicazione delle prove in questione, è esperienza straniante. La prosa dell’ex Direttore Paolo Mazzoli sembra arrivare dal suo passato di Maestro elementare pieno di buon senso e di consapevolezza che l’anima, intesa banalmente come spirito benigno e confortante, abbisogna di quell’aiuto che solo la mano degli esperti può offrire. Questa volta senza termometro alla mano, metafora della misurazione oggettiva che oggi sarebbe apparsa beffarda. Dalla psicologia spicciola sulle sofferenze e sulle paure in questi tempi bui, dal richiamo all’opera missionaria degli insegnanti del nostro, si passa al discorso più tecnico di Roberto Ricci già noto mentore della valutazione equa, e al severo richiamo di Anna Maria Ajello al lavoro serio, visto che la valutazione non può essere solo “un lusso per i tempi agiati”.

Fra sperimentazione e estensione dell’obbligo di somministrazione, gli anni sono molti di più di una decina. Dall’anno scolastico 2002/2003 [1] trascorre  un tempo congruo perché l’INVALSI possa darsi lo statuto di ente autonomo e di Perito di stato, di ente di ricerca e di titolare unico del Sistema di Valutazione Nazionale (SNV), a spese del contribuente. Dal 2005, grazie alle norme sul SNV, si riempiono le scuole italiane di test, di attività didattiche di preparazione ai test, di formazione alla somministrazione da parte dei docenti, all’inserimento di simulazioni di prove in ogni libro di testo [3].  Si tratta di una minuziosa elaborazione di consenso veicolato dai Dirigenti Scolastici di rango manageriale e pseudo autonomi, cullato dalla pigrizia degli insegnanti, viziato dalla spocchiosa  indifferenza dei docenti che le ritengono inutili ma non dannose, favorito dalla stampa compiacente.
La cornice ammiccante della proposta è già stata commentata nella prima parte di questa riflessione e la storia del SNV variamente indagata [4].

L’ossimoro-chiave è la locuzione stessa Formative Testing. Infatti, la valutazione formativa (VF) esclude i test, nel senso di elenchi di items che – risposte aperte o chiuse – vanno a cercare ciò che ci si aspetta di trovare; gli aggettivi “diverse e complementari” e “volontarie, non sostitutive” non alleggeriscono la contraddizione perché – come è stato già annotato – l’aggancio alle prove censuarie è evidentissimo, sia nelle parole dei dirigenti dell’istituto, sia nella scansione temporale che dovrebbe creare il cosiddetto “ponte” fra VF e Valutazione Sommativa (VS). E qui si annida un paradosso: una prova formativa (cito pillole di letteratura di riferimento) è caratterizzata da molti diversi aspetti formali (individuale, di gruppo, scritta, orale, ecc) e da contenuti volti a evidenziare nel feedback con la classe (tutti gli alunni), anche nella forma della critica auto-valutativa, gli aspetti positivi e gli ERRORI. Su questi si lavora. Dopo di che tale prove, esercizio, attività, rimangono un episodio del percorso didattico che il passaggio attraverso la correzione può modificare.

A proposito di tempistica, la confusione si nota anche nel binomio “prove ingresso /itinere”: la VF si effettua continuamente, anche se si possono formulare agli studenti problemi  legati a specifici percorsi di insegnamento, ad esempio, un esercizio o una scheda vero/falso sui tempi verbali come classificazione, costituiranno una base di lavoro per accertare se il contenuto specifico è utilizzato con proprietà o individuato per funzione, sempre in base all’esempio citato, se i predicati utilizzati in un testo ne costituiscono la coerenza grammaticale e la coesione logica. Anche il richiamo alla forma “multistadio” delle prove FT è dunque falsato dal fatto che la parte adattabile, a seconda delle risposte, è legata a quella rigida, delle risultanze dei test. Le prove multistadio potrebbero essere interessanti almeno nel metodo se non fosse sospetto il legame temporale con la somministrazione testuaria, nella consueta illusione che si possa lavorare e valutare gli apprendimenti in  longitudinale, come se da un anno all’altro, grazie ai test, si  potessero registrare cambiamenti inseguendo  alunni spesso oggetto di alterne vicende di continuità didattica, di cambi continui di insegnanti pescati nell’ampio, incerto settore del precariato. E’ allora significativo che si affermi che si è creata ricorrenza, e una certa stabilità di risultato nelle performances dei test, surrettiziamente fatto passare per buona tenuta della loro capacità valutativa.
Gli aspetti  della valutazione “diagnostico, formativo, di rinforzo/recupero” non sono nettamente divisibili, soprattutto i primi due: diagnosticare (senso letterale) è interpretare i sintomi  che denotano un comportamento, nella praxis che lega teoria di riferimento, attività didattica e ritorno. Il feedback è anche per il docente rispetto ai suoi convincimenti teorici [5]. Sulla base di essa di opererà alla condivisione con gli allievi, all’apertura di un lavoro sulla qualità della prestazione e, soprattutto, del percorso che ad essa ha portato (lavoro sugli stili di apprendimento e sulla elaborazione delle conoscenze sia di doxa che di episteme). In letteratura si parla di “scaffolding”, ossia della capacità del docente di dotare l’alunno di una impalcatura che lo assista nel lavoro di valutazione/autovalutazione, nella lettura delle difficoltà, nell’emersione del ragionamento effettuato. Le lacune devono essere lette come interne al cambiamento, il risultato qualunque sia è solo la condizione per continuare con la proposta di nuovi problemi. Problemi nati soprattutto in fase di discussione di gruppo, di tipo cooperativo [6].

Giorgio Bolondi, durante un convegno dedicato al GeoGebra Italian Day (2014), si occupa dei test di matematica e, assumendo attendibili i dati dell’INVALSI relativi a questa disciplina, parla anche della differenza fra VF e VS cogliendone l’origine in Michael Scriven  [7]. La citazione mi pare strumentale nel momento in cui anche in questo contributo si legano strettamente VF ai test censuari. Infatti, Scriven costituisce ancora un riferimento per molti insegnanti, decisamente più interessante di Robert Gagnè, autore di tassonomie per obiettivi orientate ai fattori impliciti e  senza spezzettamenti funzionali alla costruzione di prove ad hoc, e di Benjamin Bloom il cui nome è legato al Mastery Learning. L’interesse di Scriven nel momento in cui scrive di VF sta nel suo concetto “relazione valutativa”, rapporto che vede il docente poco interessato a goal, obiettivi rigidi, traguardi, al rientro che una prestazione offre a chi insegna.
L’idea di Bolondi mi pare sia quella di molti insegnanti che usano le prove dell’anno precedente per lavorarci, in buona fede pensando che basti attivare il piccolo gruppo e i processi autovalutativi (come suggerisce Bolondi) per riprendere le fila ormai perdute, di quando un certo alunno Rossi Luigi ha effettuato la sua prova a test. La Valutazione Formativa è un’azione sul presente mentre le cose si vanno svolgendo, proiettata al futuro.

Dedico qualche considerazione sulle prove relative a Italiano. Per ora i contributi annunciati per i vari livelli di somministrazione sulla  “Comprensione del testo/ Competenze Grammaticali” non sono disponibili, pertanto commento brevemente il Working Paper n. 39/2019 di Z. Toth. Il contributo della ricercatrice a contratto sulla comprensione del testo è frutto di uno studio sulla prove standardizzate. Annoto solo due chicche: la prestazione per accertare la competenza grammaticale secondo l’autrice deve essere ridotta a segmenti, nella logica per cui si tratta di apprendimenti stadiali, di abilità solo di tipo discreto, una dopo l’altra, in ordine crescente per età cronologica. Peccato che la competenza grammaticale si formi in modo analogico: certe intuizioni appaiono molto presto prima degli insegnamenti formali. Se è una evidenza che nella maggior parte dei bambini l’uso delle preposizioni e altri funzionali siano legati alla capacità di decentramento cognitivo (nelle ipotetiche e nelle avversative), anche qui si notano salti imprevedibili su cui lavorare. “Attesi imprevisti” che non smettono di stupire gli insegnanti anche della scuola dell’Infanzia a fronte di ragionamenti argomentativi e di capacità di costruzione di metafore e metonimie. Ma la lingua nel testo della Toth è considerata per i suoi effetti di automatismo, nella assoluta ignoranza di secoli di Linguistica e di Filosofia del Linguaggio sul nodo Langue/Parole, su uso e convenzione. La bibliografia citata in calce non ne fa alcun riferimento, i testi sono tutti legati alla definizione degli standard, del predominio del paradigma basato sulla rilevanza della informazione ricavata nell’asse comunicativo produttore/canale/ricevente, scartato, dato l’effetto di complessità, ogni riferimento ai fenomeni di interpretazione, di anamnesi, di hipomnesis da parte del lettore, inadatti a prove come quelle proposte [8].

Ancora qualche breve riflessione sulla presentazione del trio Mazzoli, Ricci, Ajello. Da anni Giorgio Agamben scrive intorno alla utilizzazione del linguaggio teologico in politica e nell’uso quotidiano, viziato anche dalla stampa economica divulgativa. Tralascio anima e aiuto a cui si è già scritto. Aggiungo che Pharmakos, ha origine sacra, rituale,  legata alla espulsione dell’impuro. Nella lunga strada percorsa nei secoli sono farmacologici anche la lingua e la conoscenza: entrambi percorsi accidentati, capaci di curare ferite originarie e di rimediare alla nostra perpetua ignoranza. Ma il Pharmakos è anche ciò che avvelena, angustia, fa avvertire tutte le nostre fragilità e la paura del contagio con l’impuro [9].


[1] Nell’ambito del Progetto Pilota Valutazione Scuola Italiana, vengono promosse prove cartacee campionare, cavia la scuola primaria.

[2] I fondi per la parte più cospicua della produzione dell’INVALSI sono di fonte europea, per lo più progetti PON. A gennaio 2021 si firmeranno i protocolli settennali ad essi relativi e l’INVALSI non vorrà certo perdere l’occasione. Non solo, ma sono già in atto le manovre per accedere al ristoro del Recovery Fund.

[3] Pertanto, la ricorrenza dei dati raccolti, citata nella presentazione dell’attuale fatica FT, è verosimilmente dovuta alla ripetitività della struttura del test standardizzato che non può rilevare cambiamenti significativi proprio negli apprendimenti che vorrebbe sondare. I dati tra l’altro riguardano solo le cosiddette discipline di apice, in cui è stata inserita anche la lingua dell’Impero, la loro attendibilità rinforzata dalla pratica Computer Based; tralasciati altri ambiti disciplinari malgrado le prove OCSE Pisa che pure vengono sì costantemente tradotte e citate, operino in tal senso.

[4] Ormai vasta la letteratura di riferimento, favorevole e contraria.

[5] M. Lichtner,Valutare l’apprendimento:teorie e metodi, MI, 2004; ovviamente la bibliografia su questi aspetti è vastissima.

[6] La bibliografia è vastissima, cito solo nel merito degli aspetti evidenziati: M. Lichtner, cit;  J.Dewey Esperienza ed educazione, FI, 1949; C. Pontecorvo/ A.M. Ajello/ C. Zucchermaglio, Discutendo si Impara. Interazione sociale e conoscenze a scuola, Roma, 1991.

[7] Scriven, M. (1987). Theory and practice of evaluation. Auckland.

[8] B.Stiegler, Etat de choc. Betise et savoir au XXI siecle, 2012.

[9] R.Esposito Immunitas. Protezione e negazione della vita, 2002/2015, J. Derrida, La farmacia di Platone, MI 1985.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

L’ossimoro INVALSI: valutazione formativa ma standardizzata ultima modifica: 2020-12-07T21:40:43+01:00 da

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com

GILDA VENEZIA - Associazione Professionale GILDA degli INSEGNANTI - Federazione Gilda Unams

webmaster: Fabio Barina



Sito realizzato da Venetian Navigator 2 srl