di Sara Gentile, Huffington Post, 25.11.2022.
La scuola come un carcere minorile: il ministro procede in un sentiero in cui ordine, disciplina e strumenti educativi sembrano i soli attrezzi di cui disponga
Abbiamo ingoiato la intitolazione del Ministero dell’Istruzione e del Merito che rimane indigesta poiché il merito non può essere slegato da alcune cose: situazione di partenza degli studenti (di cultura familiare, di reddito ed altro). Il merito è sicuramente importante, una delle finalità della istituzione scuola, ma a patto che vi siano le condizioni preliminari che rendono possibile l’apprendimento a pari condizioni per tutti gli utenti, quindi politiche adeguate dello Stato a colmare disparità iniziali. Le zampette del rospo sono rimaste impigliate nella gola ed ora proprio non scendono poiché il ministro Valditara, ordinario di Diritto romano, continua su un sentiero preciso in cui ordine, disciplina e strumenti educativi sembrano i soli attrezzi di cui disponga e la scuola un surrogato del carcere minorile, come avveniva forse più di un cinquantennio fa nelle scuole del dopoguerra dove maestri solerti erano armati di bacchetta e dispensavano castighi a destra e a manca esponendo ad umiliazione alunni esuberanti o ritenuti poco dotati.
Ora il ministro Valditara, parlando del contrasto al bullismo e ad episodi di violenza nelle scuole e di un caso specifico, si lancia in una orazione davvero singolare in cui tesse l’elogio della umiliazione: “Quel ragazzo “deve fare i lavori socialmente utili, perché soltanto lavorando per la collettività, per la comunità scolastica, umiliandosi anche, evviva l’umiliazione che è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità, di fronte ai suoi compagni è lui, lì, che si prende la responsabilità dei propri atti e fa lavori per la collettività. Da lì nasce il riscatto”(sic!).
Ora non solo gli studi sociologici sulla formazione della personalità sono ormai tantissimi e ricchi di proposte, intuizioni, analisi empiriche, ma in nessuno di questi si contempla l’umiliazione come strumento educativo; anzi vi si fa riferimento al pericolo dell’esclusione ed isolamento sociale che essa induce con sé poiché uno dei cardini della strutturazione e consolidamento di una persona è l’autostima che il soggetto, un qualsiasi individuo, deve produrre per vivere, come avviene per l’insulina o altre sostanze nel nostro organismo se esso deve mantenersi in equilibrio. E l’autostima non può che venire dalla stima degli altri, da come noi percepiamo questa stima altra, esterna, nel gruppo dei pari o nei detentori di autorità e ruoli diversi.
Inoltre è lunga la schiera dei pedagogisti che si sono occupati della scuola e delle dinamiche docente-discente che la connotano. Non sono un’esperta di ciò ma mia madre, dirigente scolastica di passione, mi faceva spulciare un po’ ogni tanto fra le sue letture ed esperienze e ne ho qualche utile ricordo.
John Dewey, pedagogista e filosofo statunitense, nato nell’Ottocento, che schiude già allora le porte ad un mondo rivoluzionario e rinnovato nel sistema dell’istruzione convinto dello stretto rapporto fra individuo e ambiente e quindi della necessità che la scuola parta dalle condizioni di vita quotidiane degli studenti se vuole assolvere al suo compito proficuamente. E poi la nostra Maria Montessori, di una generazione successiva, ma sempre tardo ottocentesca, laureata in Medicina, poi in Filosofia, neuropsichiatra e pedagogista, che dedica la sua ricerca alla decifrazione del mondo e dei bisogni infantili, realizzando metodi rivoluzionari per quei tempi nelle scuole da lei gestite nei primi anni del’900 poiché la comunità scuola – lei sosteneva – doveva essere a misura del bambino esplorando la sua personalità per sé e nel rapporto con gli altri. Per non parlare poi delle teorie ed esperienze di J. Jacques Rousseau che apre il sentiero dell’educazione del fanciullo, quindi del cittadino, a nuove frontiere già nel 1762, quindi ancora in pieno Ancien régime, ma già proteso verso la laicizzazione e la consapevolezza che la modernità avrebbe portato, affermando fra l’altro: “Che si destini il mio allievo alla spada, alla chiesa, all’avvocatura, poco importa. Vivere è il mestiere che io voglio insegnargli. Uscendo dalle mie mani egli non sarà né soldato, né prete, né magistrato. Egli sarà in primo luogo uomo”. E quanto ai metodi egli non proponeva certo l’umiliazione, ma la capacità dell’insegnante di leggere nell’animo del fanciullo, nella realtà che egli viveva, nelle sue contraddizioni e nello sviluppare una relazione ricca fra lui, le cose, il mondo attraverso un costante impegno educativo che si immergeva nel sociale. Un autentico rivoluzionario in ciò, questo Rousseau.
Non fu ministro di nulla naturalmente ma la sua intelligenza delle cose ancora ci soccorre. Allora ministro Valditara, faccia un bel ripasso.
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Merito e umiliazione: Valditara ripassi Rousseau ultima modifica: 2022-11-26T06:43:36+01:00 da