di Corrado Zunino la Repubblica, 12.10.2015.
Renzi: “Mancano numeri chiari sui costi per chi vuole ritirarsi prima, nostra proposta nel corso dell’anno” Novità nella legge di Stabilità: “Gruzzolo per 500 professori universitari se vengono ad insegnare in Italia”
ROMA . La flessibilità in uscita nelle pensioni resta fuori dalla legge di Stabilità: “I numeri non sono chiari e dobbiamo rimandare tutto al 2016”. Sull’università, invece, Matteo Renzi vuole investire subito, nell’imminente legge di stabilità che giovedì sarà presentata in prima stesura e che si chiuderà prima delle ferie natalizie.
Ieri sera a Che tempo che fa , RaiTre, il presidente del Consiglio ha detto molte cose. Tra cui due su pensioni e alta istruzione. Sulle prime: “Modificare il sistema pensionistico è possibile solo sulla base di numeri chiari. Senza saggezza, senza numeri, si fa danno. Proporremo una soluzione solo quando tutto sarà chiaro. Non abbiamo ancora trovato la soluzione per consentire di andare in pensione un paio d’anni prima”. Sulla seconda questione – l’università, che conoscerà nei prossimi mesi riforme mirate – Renzi ha svelato un progetto cui sta lavorando un consigliere economico di Palazzo Chigi e che prevede di portare in Italia 500 professori, italiani e stranieri: “Faremo un concorso nazionale, chi lo vincerà avrà la possibilità di attivare progetti di ricerca”. Il concetto ispiratore è: i prof-ricercatori avranno il lavoro finanziato (oggi non è così), ma dovranno svilupparlo negli atenei italiani. “Sarà una misura ad hoc, un modo per attirare i cervelli. Diamo un gruzzolo per progetti da realizzare “.
L’università italiana è la seconda questione del sapere pubblico che il governo sta affrontando dopo aver chiuso con 3 miliardi e un conflitto acceso la partita della Buona scuola. Nella legge di stabilità, confermano alti dirigenti del Miur, dovrebbero entrare 600 milioni destinati alle “riforme mirate”. Trecentocinquanta milioni li ha chiesti il Pd per avviare un piano straordinario per l’assunzione di giovani ricercatori. L’idea è quella di creare subito un fondo certo in Stabilità per poi andare a discutere successivamente le modalità con cui utlizzarlo.
Il 23 ottobre si apre a Udine una due giorni di discussione sull’università organizzata dal Pd e la questione “ricerca e ricercatori” sarà architrave dell’intero convegno, da cui uscirà un progetto da trasformare in proposta di legge. “Il mondo della ricerca italiana è sottodimensionato rispetto ai pari grado dell’Unione europea”, dice Francesca Puglisi, responsabile scuola e università del Pd, “noi proporremo non una maxi-stabilizzazione dei ricercatori, ma l’aumento dei ricercatori attivi e l’abbassamento della loro età”. In Italia oggi sono 150 mila i ricercatori universitari contro, per esempio, i 510 mila in Germania.
La questione si va a innestare sul secondo punto di riforma di governo la semplificazione delle figure pre-ruolo, oggi schiacciate – spesso con contratti precari – tra il dottorato e la docenza. Gli assegnisti, i contratti a tempo determinato su progetti specifici e i ricercatori di tipo A e B dovrebbero confluire in un’unica figura a tutele crescenti. Per questa fase assunzionale il governo ha sempre parlato di Job acts universitari. Ci sarà un intervento concreto (con i 250 milioni rimanenti dopo l’investimento sui ricercatori) sul diritto allo studio. Sono peggiorati ancora i numeri degli aventi diritto a una borsa di studio che non possono usufruirne per mancanza di fondi. E su questo storico buco italiano si è inserita quest’anno la revisione dei parametri Isee che ha portato, secondo stime degli studenti di Link, al taglio di un altro 30 per cento di aventi diritto. Resta in piedi la questione di sottrarre l’università dal comparto pubblica amministrazione offrendo agli atenei un contratto unico e autonomia di budget (nel rispetto del pareggio di bilancio). La nuova legge vorrebbe cancellare una serie di vincoli costrittivi in particollare su missioni all’estero, spesa nella formazione del personale, centralizzazione delle spese.