Perché è importante insegnare ai bambini a scrivere a mano nell’era digitale

di Roberto Travaglini, Il Corriere della sera, 5.9.2022.

Abbandonare la scrittura a mano potrebbe significare non riconoscere quanto essa contribuisca ad attivare numerosi processi cognitivi come l’arricchimento del lessico, le capacità mnemoniche, la comprensione della lettura, lo sviluppo del pensiero critico

Gilda Venezia

Pubblichiamo uno stralcio dell’intervento « Scrittura a mano versus scrittura digitale: conflitto o integrazione?» del professor Roberto Travaglini dal primo numero di «Graphos, Rivista Internazionale di Pedagogia e didattica della scrittura», Edizioni Ets (16 euro).

Bisognerebbe iniziare col chiedersi che cosa rappresenta oggigiorno lo scrivere a mano, in un tempo storico in cui la scrittura digitale sta assumendo globalmente un nuovo e diverso significato rispetto a quando gli strumenti tecnologici non consentivano altro se non l’uso della tecnica manuale di scrittura per la costruzione del linguaggio scritto. Bisognerebbe chiedersi pure se si possa intravedere la possibilità di un’integrazione tra le due forme di scrittura, tra la scrittura manuale (che è materiale) e la scrittura digitale, quest’ultima costruita virtualmente con i nuovi mezzi tecnologici (ciò che produce una virtualità scrittoria e al contempo una sorta di dematerializzazione del pensiero). Bisognerebbe anche, sempre preliminarmente, chiedersi quanto pesi questa trasformazione sociale della comunicazione, da materiale a digitale, in campo educativo-formativo. (…)

La scrittura manuale è una tecnica sviluppatasi nel corso della storia dell’umanità talmente evoluta che non dovrebbe stupire l’idea secondo cui il suo naturale esercizio si ponga a fondamento di un sano sviluppo psicofisico dell’essere scrivente in un dato spazio-tempo sociale e culturale: l’apprendimento della scrittura è un processo che in genere comincia in un’età psicologica caratterizzata da una notevole plasticità cerebrale e mentale, e da una rapida e costante evoluzione psicofisica. (…) Se nella scrittura manuale troviamo al contempo elementi narrativi ed elementi metacomunicativi, nella scrittura digitale rimane vivo solo l’aspetto narrativo, comunicativo, esterno e oggettivo, perdendosi del tutto quello interiore, cinestetico-corporeo e non-verbale. Bisogna chiedersi quali conseguenze possa comportare l’avvento così massiccio e rapido di un globalizzato processo di crescente traslazione della scrittura dalla mano dell’individuo a quella, qui metaforicamente intesa, del mezzo digitale: la scrittura si spersonalizza, diventa uguale per tutti i fruitori del mezzo che la produce, si disincarna virtualizzandosi. (…)

Se, in genere, non è auspicabile assumere un atteggiamento da caccia alle streghe verso i nuovi mezzi tecnologici di comunicazione, tanto meno dovrebbe esserlo verso i nuovi media, con cui si costruisce la scrittura digitale quando si scrive, per esempio, al computer o digitando la tastiera che troviamo sullo schermo tattile (touchscreen) di uno smartphone o di un tablet. Come annota Roberto Maragliano, l’adattamento a questo genere di mutazione storica dettata dall’avvento della tecnologia digitale dovrebbe avvenire compiendo un duplice passo: primo passo, prendere confidenza con la tecnologia, interiorizzarla, e quindi interiorizzare la codificazione di realtà che le è propria; secondo, lavorare a portare alla luce quella codificazione, coglierne le caratteristiche e i limiti, non soltanto d’ordine materiale, ma anche e soprattutto di tipo concettuale. Ricordiamo pure che Platone stigmatizzava l’uso della scrittura manuale, imputandole la colpa di limitare gravemente i processi mnemonici: nel Fedro (e altrove) criticava la scrittura (allora un nuovo medium), perché indeboliva la memoria; con la nascita e diffusione di questa nuova tecnica la memoria avrebbe subìto un duro colpo. Oggi un’idea del genere ci potrebbe solo far sorridere. Neppure però deve considerarsi tanto diverso l’atteggiamento di chi più recentemente nella storia osteggiava (o non credeva in una loro possibile diffusione) mezzi che oggi sono divenuti di massificata fruizione quali, per esempio, la radio o la televisione, o in epoca più recente il personal computer o lo smartphone. (..)

Il problema intorno ai nuovi media non è tanto se farne uso o meno; il dibattito dovrebbe spostarsi sul modo in cui questi mezzi sono vissuti dal singolo e dalla società che, volenti o nolenti, non possono sottrarsi dall’utilizzarli nel momento in cui si fanno di uso comune: sappiamo bene quanto l’attuale epoca storica sia divenuta esageratamente tecnologica al punto da dovervi osservare un’esagitata mitizzazione della tecnica. (…) In effetti, sull’onda di queste considerazioni critiche, dovremmo chiederci che cosa potrà succedere in futuro se il mezzo tecnologico adibito alla costruzione della scrittura si sostituirà del tutto alla tecnica manuale, se la macchina che produce la scrittura si sostituirà in toto alla mano dell’uomo nel costruire le forme convenzionali della comunicazione scritta. Si può allora ipotizzare che il ruolo della mente umana sarà solo quello di dare forma a un processo narrativo fine a se stesso e non più anche a quello, contemporaneo all’altro, di esprimersi non-verbalmente con contenuti caratterizzanti un modo unico e originale di proporsi delle masse grafiche che fanno da sfondo alla storia narrata. La scrittura non sarà più un oggetto materiale, una diretta espressione ricca e vibrante dell’essere umano, un’evoluta rappresentazione grafico-simbolica e grafomotoria di un sé soprattutto inconscio e corporeo, ma sarà semplicemente la traduzione virtualizzata del sé pensante e razionale. D’altra parte, qualcosa del genere sta già avvenendo da qualche anno in importanti istituti di credito, come quello bancario e quello postale, in cui la firma manuale di convalida di una propria volontà giuridicamente vincolante si è andata sostituendo con la firma grafometrica che, stando ai più, proporrebbe le stesse potenzialità espressive della firma manuale – anche se si può sostenere con prudente certezza che le macchine che attualmente producono firme digitali, da più parti testate, non sono così affidabili, a quanto pare, sulla loro originalità e inimitabilità, né sembra che siano in grado di tradurre in un soddisfacente linguaggio digitale l’ossatura psichica dell’essere scrivente, come invece tende a fare una scrittura prodotta manualmente, diretta espressione di un sé pensante e al contempo di un sé corporeo (mente e corpo qui interagiscono costruttivamente). (…)

Scrivendo sempre meno con carta e penna, si osservano importanti segnali di crisi della scrittura manuale provenienti sia dal mondo della scuola sia dal mondo della società civile: a scuola si evidenziano uno stato emergenziale di casi particolarmente difficili di apprendimento e, di conseguenza, un incremento numerico di bambini etichettati come disgrafici, perché presentano un «deficit che riguarda la componente motoria della scrittura» (…). Sui banchi scuola si può osservare che le scritture prodotte a mano vacillano, sono insicure, spesso incomprensibili; non presentano una sana, naturale e fluente espressione grafomotoria: anziché essere educate in modo adeguato fin dall’inizio, le scritture finiscono per rappresentare un grave handicap per il bambino che produce una scrittura non leggibile e disorganica, con cui fatica a comunicare e che dovrà poi essere ripensata grazie a un processo di prolungata e attenta cura rieducativa dell’intero assetto scrittorio. Come si chiede stupito Robert Oliveaux, «Sarà necessario rieducarla in continuazione, quando sarebbe invece così semplice educarla all’inizio?». Il contesto sociale certamente non facilita questo compito educativo, se è vero che raramente il bambino o il ragazzo ai giorni nostri sono indotti a scrivere manualmente nella vita quotidiana, laddove invece i nuovi mezzi di comunicazione sociale (per esempio, i social network) hanno senz’altro la meglio, esercitando una seduttività maggiore rispetto alla “sorpassata” e forse “anacronistica” scrittura manuale, ormai considerata dai giovani delle ultime generazioni una sorta di moda vintage, disprezzata o tutt’al più stimata come un oggetto di relativo o molto scarso interesse.

In realtà, non dovremmo dimenticare che l’esercizio grafico della scrittura, i suoi processi di apprendimento e la sua naturale evoluzione sono esperienze associabili pedagogicamente alla naturale attività ludica del bambino, che è puer ludens, come lo chiama Francesca Antonacci nella sua disamina sul gioco quale fondamento educativo dei processi di apprendimento nelle prime età della vita: l’azione grafico-scrittoria è una specifica espressione simbolica e narrativa che tende a «valorizzare la facoltà di entrare in relazione con le immagini del mondo, con la sua qualità simbolica e con la sua sostanza sognante per tornare a giocare» . Il senso profondo dell’attività giocosa svolta in età evolutiva è riconducibile alle sue potenzialità formative anche quando il bambino si esprime graficamente: così come lo scarabocchio e il disegno sono strumenti ludico-espressivi ineludibili nel percorso emancipativo dell’individuo , altrettanto si deve affermare per la scrittura la quale, però, a differenza delle altre espressioni grafico-gestuali, induce la mente e la mano del bambino a entrare necessariamente in contatto con le regole sociali rappresentate dalle norme calligrafiche, stimolandolo a svolgere un’attività di mediazione tra il proprio essere e la cultura, un’attività che ha tutte le caratteristiche «ludiformi» – come le chiamerebbe Aldo Visalberghi – piuttosto che strettamente ludiche, perché quello della scrittura è un gioco normativo, essendo impegnativo, continuo e progressivo, che richiede un prolungato processo di apprendimento di specifiche norme calligrafiche condivise da un’allargata collettività e un correlato processo di continuato esercizio grafomotorio. (…) Il metodo d’insegnamento della scrittura non dovrebbe dunque sottovalutare questa ibridazione tra le caratteristiche individuali dello scrivente, il suo stile cognitivo nell’approcciarsi alla scrittura, i suoi tempi di apprendimento, le motivazioni interiori verso una simile forma di apprendimento, il suo sentire profondo e le caratteristiche normative della cultura di appartenenza; non si dovrebbe sottovalutare l’aspetto ludiforme sotteso a questa forma di apprendimento. Sarebbe auspicabile che quest’ultimo aspetto non abbandoni mai l’esperienza scrittoria, qualunque sia l’età anagrafica dello scrivente, anche se, di fatto, raramente si ravvisa un simile atteggiamento quando si scrive a mano. (…)

Va pure annotato che esistono dei particolari dispositivi performativi che, servendosi in modo rinnovato delle strutture grafemiche, tentano di riabilitare certe fasi ludico-gestuali trattenute da tensioni profonde della struttura psicofisica di soggetti adulti, dispositivi come quelli messi a punti e sperimentati nelle fasi di attività del Gioco della scrittura libera e del Laboratorio di arte-scrittura, che sono contesti esperienziali e performativi finalizzati a trasformare il materiale grafico-scrittorio in materia prima per la produzione di rappresentazioni grafiche alternative a quelle correnti, che consentono anche particolari addentellati con la dimensione estetica. Durante queste esperienze profondamente coinvolgenti riemergono spesso contenuti grafici altrimenti imbrigliati all’interno di sé e mai più espressi dai tempi di una remota infanzia: si torna a giocare con la scrittura, con la sua primigenia materia informe e creativa, liberandosi, almeno per un tempo limitato, dai cliché normativi richiesti dalle regole di composizione della scrittura sociale. Questi spazi creativi potrebbero porsi a integrazione dell’uso ripetuto e abitudinario non solo della scrittura a mano (sempre meno praticata), ma anche e soprattutto dell’imperante scrittura digitale, verso cui non dovrebbe essere mosso un attacco frontale ma verso cui si dovrebbe ipotizzare un atteggiamento di integrazione e assorbimento, in modo da evitare spostamenti socio-ideologici sia nella direzione della scrittura manuale sia in quella della scrittura prodotta artificialmente con i nuovi mezzi di comunicazione di massa. Il mantenimento di un esercizio continuato con i dinamismi della scrittura manuale consente allora di mantenere vivi i correlati dinamismi neurocognitivi, emotivi e pulsionali che sono alla base della sua naturale espressione: dinamismi soggettivi irrinunciabili dell’essere umano quali narrazione, fantasia, creatività, estro personale, lo sviluppo di particolari formae mentis e chissà quant’altro di misterico e non indagabile in questo modo possono continuare a prendere forma e a essere praticati con tutta la loro originale vitalità.

Roberto Travaglini è  Professore associato di Pedagogia generale e sociale, Università di Urbino Carlo Bo

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Perché è importante insegnare ai bambini a scrivere a mano nell’era digitale ultima modifica: 2022-09-06T06:10:53+02:00 da
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