di Franco Manzoni, Il Corriere della sera, 18.2.2017
– La ricetta di Ivano Dionigi, ex rettore dell’Università di Bologna, presidente della Pontificia accademia.
Nell’era di Twitter, WhatsApp, Messenger e cittadini digitali, che trascorrono buona parte della propria esistenza a colpi di like, ha ancora senso studiare il latino? Perché non cancellare definitivamente questa lingua «antica e morta» dal liceo per aumentare la spazio orario dedicato all’informatica? E poi «la lingua dei signori», come la definì Pietro Nenni, non venne forse abolita come materia dalla scuola dell’obbligo quale atto di democrazia e progresso?
A queste domande, frutto di pregiudizi ideologici, fraintendimenti egualitaristici e miopie storiche, con vigorosa autorevolezza risponde Ivano Dionigi nell’affascinante saggio Il presente non basta, sottotitolo La lezione del latino(Mondadori).
Nato nel 1948 a Pesaro, ex rettore dell’Università di Bologna, presidente della Pontificia accademia di latinità e fondatore del Centro studi «La permanenza del classico», acuto commentatore di Lucrezio e Seneca, Dionigi sottolinea l’impossibilità di privarsi del latino, memoria culturale dell’Europa intera, a meno di non scegliere la via dell’ignoranza e la negazione di sé: «Un capitale da far fruttare e non già un patrimonio inerte da custodire». Resta implicito che in Italia oggi il latino debba lottare contro la dittatura delle «tre I»: inglese, Internet, impresa. Una tirannia dettata dall’idea che il mondo contemporaneo sia polarizzato esclusivamente sulla temporalità dell’hic et nunc, di simultaneità e sincronia. Conservare e capitalizzare il nostro patrimonio culturale era un chiodo fisso anche per lo scrittore Giuseppe Pontiggia, che ricordava: «Se Roma fosse sorta in Texas, mai gli Stati Uniti si sarebbero comportati come fa la scuola italiana».
Alle affermazioni che il latino sia elitario, inutile, reazionario, Dionigi replica con la testimonianza di Parigi dopo gli attentati del 13 novembre 2015. Sui muri di Place de la République e proiettata sulla Torre Eiffel i francesi scrissero la frase latina fluctuat nec mergitur, vale a dire «è sballottata dai flutti ma non affonda», il motto della città fin dalle sue origini. Per ritornare a vivere nella normalità, Parigi non scelse espressioni tratte dai filosofi illuministi o pensatori contemporanei ma parole di una lingua morta, eppur sempre vivida.
In tale senso di generazione in generazione la continuità e la trasmissione della fiaccola della cultura è il fondamento delle grandi istituzioni millenarie. Tutto ciò si abbina perfettamente a un aforisma del compositore Gustav Mahler: «La tradizione è salvaguardia del fuoco, non adorazione delle ceneri», che l’autore mette in epigrafe al volume. Tuttavia la maggior parte degli italiani non riesce più a recepire il latino e gli autori classici quale parte essenziale dell’identità individuale e collettiva del nostro Paese. Si osservi invece la considerazione e il risveglio degli studi della lingua latina in Cina, Giappone, Stati Uniti e in particolare in Gran Bretagna. E la scuola italiana, afflitta da incongruente riformite cronica, che privilegia a tutti i costi l’inglese veicolare?
Per Dionigi la cura sta in tre provvedimenti: dilatare gli orari scolastici non tralasciando come disciplina il latino, pagare adeguatamente gli insegnanti e abolire i compiti a casa.
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