di Silvia Sperandio, Il Sole 24 Ore 18.2.2017
– Con i gessetti che riempivano la lavagna di fogli bianchi, il maestro Manzi entrava nelle case in tarda serata, con modi garbati, per insegnare a leggere e a scrivere agli analfabeti italiani. Tanti ce n’erano, negli anni ’60 nel nostro Paese. La tv era ancora in bianco e nero e la trasmissione si intitolava “Non è mai troppo tardi”. Migliaia di adulti presero allora la licenza elementare.
A quasi 50 anni di distanza, un’ondata di analfabetismo funzionale sta imperversando tra gli italiani, e ad essere colpiti questa volta sono soprattutto i giovani. Tanti arrivano al primo anno di università con lacune linguistiche (a livello grammaticale, sintattico e lessicale) mai colmate negli anni precedenti.
«Alla fine del percorso scolastico troppi ragazzi scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente» , è la denuncia della “Lettera aperta” firmata da quasi 700 docenti universitari e inviata al Governo per chiedere interventi urgenti contro il declino dell’italiano a scuola.
L’iniziativa, promossa dal “Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità”, sta suscitando un ampio dibattito, con crescenti adesioni ma anche reazioni di segno opposto, accuse di passatismo e risposte un po’ piccate dal mondo della scuola.
«La Lettera – tiene a precisare Giorgio Ragazzini, del gruppo di Firenze – è firmata, sì, da docenti universitari, ma non vuole ovviamente essere un atto di accusa verso gli insegnanti della scuola primaria e della media, né tantomeno vuol essere una difesa passatista della scuola che fu». «Invece si tratta di un documento progressista e democratico che ribadisce l’urgenza di intervenire su un tema che è importante per la stessa identità nazionale».
Da dove partire, dunque, e quali interventi mettere in atto contro il declino dell’italiano a scuola?
Aumentare il budget per i docenti, fare un Libro Bianco, creare un raccordo tra licei e università. Ecco alcune proposte concrete di tre docenti – tra i firmatari dell’appello al Governo – che insegnano rispettivamente in atenei del Nord, del Centro e del Sud Italia.
Tre proposte diverse e una consapevolezza comune: è scattato il conto alla rovescia, perché non diventi davvero troppo tardi.
MASSIMO ARCANGELI: «UN LIBRO BIANCO SULLE SCUOLE ITALIANE»
«La Lettera che anch’io ho sottoscritto non riguarda solo le carenze grammaticali e ortografiche, ma evidenzia un fenomeno ben più grave». Così Massimo Arcangeli ordinario di Linguistica italiana all’università di Cagliarie direttore del primo “Festival della Lingua italiana”, che si terrà a Siena dal 7 al 9 aprile. «Non si tratta soltanto di virgole e apostrofi messi a casaccio o di accenti sbagliati, o di qualche acca in meno. Le difficoltà lessicali, così diffuse tra le matricole, rischiano di portare con sé problemi di tipo cognitivo: mi riferisco all’incapacità di radicarsi in un sapere verticale, da parte dei giovani, e dunque di analizzare la realtà con atteggiamento critico».
«È chiaro che questa situazione rivela la mancanza di una seria politica linguistica in Italia. Siamo in ritardo, a differenza di altri Paesi come la Francia o la Germania che lavorano con grande attenzione su queste tematiche. Ecco perché è necessario convocare al più presto un tavolo nazionale che coinvolga tutti gli attori, dalla scuola all’università, alla politica».
«Propongo di creare un “Libro Bianco” sulle scuole italiane: si potrebbero prendere a campione due o tre istituti per ogni regione, monitorando annualmente con appositi test la padronanza della lingua italiana degli alunni. Parlo di esami semplici e oggettivi, qualcosa di molto diverso dalle prove Invalsi che invece considero troppo astruse e astratte. Il primo parametro da considerare dovrebbe essere la capacità di lettura ad alta voce. Oggi molti giovani universitari fanno fatica a leggere speditamente un testo, si inceppano lungo il percorso e alla fine non hanno compreso il contenuto. È dunque importante verificare anche la capacità interpretativa e quella riassuntiva di un testo scritto». «Tra le strade possibili per favorire la padronanza lessicale, a Cagliari abbiamo seguito un metodo tradizionale come la lettura delle voci del dizionario italiano».
EDOARDO LOMBARDI VALLAURI: BUDGET PIÙ ALTO PER LA SCUOLA
«La ragione per cui ho firmato quella petizione è che riporta l’attenzione su ciò che il Governo programma e stabilisce in materia di scuola, che è di importanza vitale per il paese».Edoardo Lombardi Vallauri, ordinario di Glottologia e linguistica all’Università Roma 3, punta il dito sulla carenza di risorse.
«Il punto problematico vero è che oggi i docenti della primaria e della secondaria lavorano con budget per l’istruzione inadeguati. La scuola può contare su molti bravi insegnanti. Nell’insieme sono addirittura eroici, perché assicurano risultati in linea con gli standard europei, nonostante risorse insufficienti per le scuole e retribuzioni troppo basse. In queste condizioni, chi invece non ha la vocazione al sacrificio renderà necessariamente di meno». «Allineare le risorse della scuola a quelle degli altri paesi ricchi consentirebbe ai docenti di fare il loro lavoro, liberandosi di compiti amministrativi e organizzativi che li asfissiano e che dovrebbero essere svolti da personale apposito».
«E soprattutto: il mestiere stesso di docente dovrebbe conquistare un maggiore fascino. A un professore bravo che però va in giro con i segni della quasi povertà, gli alunni più predisposti a riconoscere l’importanza della cultura daranno retta lo stesso, e forse anche di più; ma quelli che seguono i modelli di prestigio sociale più diffusi non lo prenderanno sul serio perché ai loro occhi sarà solo “un poveraccio”. E sono proprio quelli che avrebbero più bisogno di lui.
Aumentare la retribuzione degli insegnanti incrementerà i bravitra le loro file: quando i nostri migliori laureati cominceranno a voler insegnare nella primaria o nella secondaria, allora nel giro di una generazione avremo un paese più civile e più competitivo».
ROBERTO ESPOSITO: È IN GIOCO L’IDENTITÀ NAZIONALE, SERVE UN RACCORDO SCUOLA-UNIVERSITÀ
«Il declino non riguarda solo la lingua italiana, ma l’italianità stessa, e con essa la politica e la cultura del nostro Paese». Roberto Esposito, ordinario di Filosofia teoretica alla Scuola Normale Superiore di Pisa, non ha dubbi quando parla di identità italiana da recuperare.
«L’identità italiana si è formata per secoli insieme alla lingua italiana, forgiandosi intorno alla ricchezza delle nostre opere letterarie e filosofiche. Ecco perché temo che l’attuale declino linguistico possa comportare anche problemi più ampi di natura identitaria».
«Il primo segnale rivelatore è il fatto che assistiamo a un generale abbandono dell’italiano a favore dell’inglese: molti studiosi tendono ad adottare una terminologia anglosassone quasi senza farci caso, in maniera acritica, e questa pratica diffusa risulta alla fine deleteria per l’“identità” culturale italiana. Mi riferisco soprattutto alle discipline umanistiche, nelle quali, a differenza di quelle scientifiche, esiste un rapporto strettissimo e necessario tra la lingua e i contenuti che essa veicola».
«Guardiamo invece cosa accade in altri Paesi europei, dove è in atto un’intransigente difesa della propria identità linguistica. Basta pensare alla Francia, che mantiene l’uso del francese a tutti i costi».
«Per contrastare il declino dell’italiano tra i giovani propongo di istituire un raccordo stabile tra l’ultimo anno della scuola secondaria e il primo anno di università. Una sorta di segmento intermedio, all’interno del quale verificare la capacità espressiva, le competenze linguistiche e l’abilità nel parlare l’italiano. I corsi dovrebbero essere tenuti in maniera congiunta da docenti delle secondarie e da docenti universitari. Un po’ come accade d’estate alla Scuola Normale di Pisa, quando teniamo dei corsi rivolti alle potenziali matricole per presentare programmi e prospettive culturali della Scuola».
silvia.sperandio@ilsole24ore.com
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