“Quota 103” costerà meno della precedente “quota 100”. Ma produrrà comunque un aumento della spesa pensionistica. L’anticipo della pensione cesserà di essere un problema con il contributivo a regime, quando serviranno risposte per problematiche nuove.

Gilda Venezia

Cosa significa “quota 103”

Dopo quota 100 e quota 102, vigenti rispettivamente tra il 2019 e il 2021 e nel 2022, il Governo in carica propone quota 103 per il prossimo anno. In attesa di una revisione complessiva del sistema pensionistico, rinviata per ora al 2024, i lavoratori che nel 2023 matureranno 41 anni di contribuzione con un’età pari almeno a 62 anni potranno accedere in anticipo e senza penalizzazioni attuariali al pensionamento rispetto ai due canali – 42 anni e 10 mesi in assenza di vincolo di età, oppure 67 anni e 20 di contributi – attualmente previsti per il pensionamento anticipato e per quello di vecchiaia. Tecnicamente, dal momento della maturazione del nuovo diritto, dovranno aspettare qualche mese (da 3 a 9 a seconda del settore occupazionale) prima di percepire la pensione. Inoltre, e questa è una novità rispetto alle vecchie quote, l’importo della prestazione, almeno fino al 67esimo anno di età, non potrà superare una soglia massima di circa 2.800 euro mensili. L’importo medio delle prestazioni pensionistiche erogate nell’ambito di quota 100 nel triennio 2019-2021 si aggirava intorno a valori di poco superiori ai 2 mila euro mensili.

Assieme a una nuova revisione del meccanismo di indicizzazione delle pensioni, previsto per il 2023, che peggiorerà l’assetto attuale per quelle superiori a quattro volte l’importo minimo e prefigura risparmi importanti per il bilancio pensionistico e alla riconferma, modificata, di “Opzione donna” e dell’Ape sociale, quota 103 è uno dei provvedimenti che caratterizzerà il pacchetto pensionistico della legge di bilancio proposta dall’esecutivo che sarà discussa in Parlamento.

Aumenta la spesa pensionistica

Una nuova coorte di lavoratori, dunque, troverà una via di uscita al di fuori dei principi generali del sistema contributivo, che tra le altre cose correla negativamente l’importo della pensione all’aspettativa di vita al pensionamento e assicura, per questa via, l’equità attuariale e quella tra le generazioni. Il numero dei soggetti interessati da quota 103, secondo le stime dell’esecutivo, si aggirerebbe intorno ai 50 mila, più di quanto previsto per quota 102, molto meno di quanto realizzato con quota 100. Con le due quote precedenti, il nuovo provvedimento condivide il segno degli effetti finanziari per il bilancio pensionistico e delle convenienze individuali per i soggetti beneficiati. Ci sarà un anticipo della spesa per pensioni, causato dall’accelerazione nelle uscite rispetto alla normativa vigente, a cui seguiranno, nel medio termine, minori spese a seguito del più basso importo delle prestazioni erogate rispetto a quanto sarebbe avvenuto senza il provvedimento. Tuttavia, la somma delle maggiori uscite sarà superiore alla somma dei risparmi e quindi l’operazione aumenterà il valore del debito pensionistico.

Simmetricamente, dal punto di vista individuale, la presenza nelle pensioni erogate di una ancora non trascurabile quota di pensione calcolata con la regola retributiva genera un vantaggio attuariale legato al fatto che quel meccanismo di computo non tiene in considerazione l’aspettativa di vita al pensionamento e rende vantaggioso anticipare l’uscita del mercato del lavoro. In altri termini, al di là del mero effetto di cassa per il bilancio pensionistico, e di conseguenza per quello pubblico, quota 103 determina un trasferimento netto di risorse a vantaggio dei neo-pensionati che ne beneficeranno, che graverà sulle spalle dei lavoratori di oggi e soprattutto di quelli futuri.

Nell’ambito di una manovra che ha l’esplicito obiettivo di non forzare la tenuta dei conti pubblici, sarà un’operazione con effetti finanziari meno forti rispetto a quota 100. Al tempo stesso, consentirà ai partiti politici che sostengono l’esecutivo di sventolare una bandierina significativa in termini di consenso.

Quando il contributivo sarà a regime

Per le riforme vere, quelle che dovranno affrontare in maniera strutturale i temi aperti nel cantiere delle pensioni, c’è ancora tempo. Del resto, a ormai più di 25 anni dall’approvazione della riforma contributiva del 1995, molti sono i governi che anche in passato si sono occupati di agire al margine della nuova normativa. L’obiettivo, spesso, è stato quello di individuare situazioni particolari, eccezioni giustificate dalla congiuntura, per le quali i principi del 1995 non venivano considerati corretti e per rinviare a una data futura la transizione definitiva al sistema contributivo. Per aggredire la spesa e il suo corpaccione sempre crescente, poi, le modifiche all’indicizzazione sono state un veicolo efficace e poco trasparente perché interessano lo stock complessivo dei pensionati e non i piccoli gruppi interessati dalle modifiche marginali.

Il tempo però è dalla parte del legislatore: piano piano, con il passare degli anni, le quote retributive nelle prestazioni dei neo-pensionati si esauriscono. Quando questo avverrà, e non manca molto, la questione della flessibilità in uscita smetterà di creare preoccupazioni al bilancio pubblico. A quel punto, le quote non serviranno più per regolamentare le uscite. L’età di pensionamento sarà indicizzata alle dinamiche dell’aspettativa di vita e la grande parte dei lavoratori potrà accedere al pensionamento in una forchetta, ragionevolmente, compresa tra i 65 e i 70 o più anni. Sarà un sistema pensionistico nel quale l’adeguatezza delle prestazioni per i futuri pensionati risulterà fortemente dipendente dalla presenza di carriere contributive lunghe e continue e da età di uscita dal mercato del lavoro molto superiori a quelle attuali, nonché dalla partecipazione alla previdenza complementare, oggi molto bassa tra i lavoratori più giovani.

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