di Marina Boscaino, Il Fatto Quotidiano 22.5.2015.
A proposito di “ascolto” e demagogia. È proprio normale che – se discussione deve, come dovrebbe esserci, in Commissione ed in Aula – il governo abbia già deciso un implacabile calendario, con audizioni limitatissime e decise in camera caritatis e comunque arbitrariamente? Eppure il testo licenziato mercoledì dalla Camera dei Deputati non è identico a quello presentato all’inizio dell’iter. Perché, allora, non audire tutti i soggetti aventi diritto? Perché non inaugurare una nuova stagione, quella dell’ascolto e del dibattito reali, senza ghigliottine sugli emendamenti proposti, senza contingentamento dei tempi?
La risposta c’è e sta nei numeri dei “sì” che mercoledì hanno votato a favore del Ddl, restituendo all’opinione pubblica l’immagine di un governo arrogante ed incurante della volontà del popolo. Di un Parlamento prono alla volontà del Capo, dell’uomo solo al comando. Ma, se la democrazia è stata sconfitta – e lo sappiamo bene noi docenti che per 3 giorni abbiamo presidiato lo spazio antistante Montecitorio, come tanti altri spazi simbolici in Italia, producendo, solo con i nostri estemporanei interventi, non solo dissenso fine a se stesso, ma pensiero critico e divergente – il governo e il Pd (anomala ma sostanziale equazione) non hanno trionfato.
Alla Camera su 454 presenti, 1 astenuto, 316 sì, 137 no. In tutto i deputati sono 630; il Presidente a inizio della seduta ha comunicato che94 erano da considerare “in missione”. I formalmente assenti sono stati dunque 82. Tra loro, indubbiamente, i 28 della minoranza del Pd, che hanno deciso di non partecipare al voto. E gli altri? Magari qualcuno – ci si perdoni l’ipotesi maliziosa – era impegnato nella campagna per le imminenti elezioni regionali…
In ogni caso, non sarebbe opportuno impedire che provvedimenti che interessano tanto nevralgicamente la vita democratica e l’interesse generale siano discussi con una quantità di assenze così elevata?
Intanto, una cronologia chirurgica: è fissata per lunedì 1° giugno alle 12 la scadenza per la presentazione degli emendamenti al Ddl Scuola, in commissione Istruzione al Senato, come deciso dalla VII commissione che ha “discusso” il calendario dei lavori.
La commissione lavorerà inoltre anche durante la settimana di ‘silenzio elettorale’. I lavori inizieranno infatti mercoledì 27 alle 9,30. Come possibile relatrice, si fa l’ipotesi Puglisi, responsabile Scuola del Pd: quanto ad assenza di ragionevolezza e capacità di ascolto, nulla da invidiare a Coscia, relatrice di maggioranza alla Camera!
Dopo il termine per la presentazione degli emendamenti, dovrà pronunciarsi anche la commissione Bilancio del Senato, visto che il provvedimento è stato collegato al Def.
Ma a ribadire, qualora ce ne fosse bisogno, le intenzioni di coloro che ormai si ritengono i padroni assoluti dello Stato e delle sue istituzioni, un’altra informazione: mercoledì alle 18.30 Maria Mussini (gruppo Misto al Senato, prima firmataria della Lipscuola) aveva avuto la conferma dell’ammissibilità del suo spostamento dalla commissione Esteri a quella Istruzione. Dopo 40 minuti, però, ha ricevuto un ulteriore messaggio, che annullava la comunicazione precedente.
Si tenga presente che Mussini appartiene, appunto, al Gruppo Misto: pertanto il suo spostamento non avrebbe alterato alcun equilibrio tra maggioranza e minoranza. Ieri mattina, infine, il Senato ha assunto a maggioranza una decisione politicamente e formalmente molto grave: escludere dai lavori della Commissione Mussini.
«Per blindare la riforma della scuola – denuncia il presidente del gruppo Misto Loredana De Petris – hanno impedito il trasferimento di una nostra senatrice in commissione Istruzione, Maria Mussini, così com’era nostro diritto fare». «È davvero grave che il presidente del Senato ci abbia detto invece di no perché si doveva garantire l’equilibrio in commissione tra maggioranza e opposizione», prosegue De Petris. «La Mussini non solo è professoressa, ma è anche la prima firmataria del ddl di iniziativa popolare sulla scuola presentato in Parlamento molto prima che il governo decidesse di intervenire. Il regolamento mi consente di avere un terzo esponente come gruppo Misto in commissione, perché non avrei dovuto mandarla in commissione per seguire la riforma? E perché il presidente del Senato mi ha dovuto dire di no?»
Questo episodio e una discussione che si vuole condurre in tempi rapidissimi confermano insomma anche al Senato l’assoluta indisponibilità allo svolgimento di un serio e approfondito confronto di merito sul testo di legge approvato dalla Camera, a riprova che l’apertura all’ascolto e alle modifiche sbandierata ai quattro venti da Presidente del Consiglio e da esponenti vari della maggioranza è una pura e vergognosa finzione.
Riforma scuola, il governo non ascolta e decide in camera caritatis ultima modifica: 2015-05-22T22:15:53+02:00 da